Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10746 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10746 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15426-2020 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
PROVINCIA DI LECCE, in persona del Presidente pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZOc/o INDIRIZZO COGNOME), presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1179/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 06/12/2019 R.G.N. 1205/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
06/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
R.G.N. 15426/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 06/03/2025
CC
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con sentenza del 6 dicembre 2019, la Corte d’Appello di Lecce confermava la decisione resa dal Tribunale di Lecce e rigettava la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti della Provincia di Lecce, avente ad oggetto il riconoscimento del d iritto dell’istante – transitato per mobilità volontaria alle dipendenze della Provincia di Lecce con contratto part-time, lo stesso in base al quale prestava servizio presso la Provincia di Crotone, da cui proveniva, a seguito della trasformazione a part-time del contratto a tempo pieno con cui era stato originariamente assunto presso la Provincia di Monza -a riconvertire a tempo pieno il rapporto in essere con la Provincia di Lecce con condanna dell’Ente al risarcimento del danno commisurato alla differenza tra quanto percepito e quanto gli sarebbe spettato ove la domanda, reiteratamente avanzata nel febbraio e nel maggio 2012, fosse stata accolta; la decisione della Corte territoriale discende dall’aver e questa ritenuto, non diversamente dal primo giudice, applicabile alla fattispecie, non già il disposto dell’art. 4, comma 15, del CCNL per il comparto Regioni ed Autonomie locali, ma, in quanto dipendente originariamente assunto a tempo pieno, il comma 14 , secondo cui ‘ I dipendenti con rapporto a tempo parziale hanno diritto di tornare a tempo pieno alla scadenza di un biennio dalla trasformazione, anche in soprannumero, oppure, anche prima della scadenza, a condizione che vi sia la disponibilità del posto in organico ‘ , atteso che il contratto a tempo parziale al 30% sottoscritto con la Provincia di Lecce doveva ritenersi una mera modificazione soggettiva dell’originario contratto oggetto di cessione, rilevando, pertanto, ai fini del sancito diniego del diritto azionato il mancato decorso del biennio d ecorrente dall’1.12.2011, data di inizio del rapporto con la Provincia di Lecce, per essere rimasta estranea al giudizio, stante il silenzio a riguardo del Covelli, la
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questione della concreta esistenza di posti in organico comparabili a tempo pieno, comunque non previsti nell’ambito del servizio cui era assegnato il Covelli e destinati a specifica procedura di mobilità quelli indicati nel programma triennale del fabbisogno 2012/2014, che, peraltro, aveva previsto la modifica del contratto del Covelli con incremento delle ore di lavoro fino al 75%;
per la cassazione di tale decisione ricorre il COGNOME affidando l’impugnazione a cinque motivi, cui resiste, con controricorso, la Provincia di Lecce
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 4, comma 14, CCNL 14.9.2000 e 12 ter d.lgs. n. 61/2000 vigente ratione temporis (oggi art. 8, comma 6, d.lgs. n. 81/2015), estende alla norma invocata l’impugnazione laddove la si voglia intender e preclusiva della trasformazione a tempo pieno del rapporto part-time in difetto del decorso del biennio, quando viceversa va letta nel senso che tale condizione non è ostativa della trasformazione ove esiste in organico un posto vacante di pari inquadramento;
con il secondo motivo, denunciando il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e in subordine e gradatamente la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, co mma 2, n. 4, c.p.c., imputa alla Corte territoriale l’aver e erroneamente circoscritto la causa petendi della pretesa azionata all’intervenuto decorso del biennio per la computabilità del periodo di servizio prestato in precedenza presso le altre Amministrazioni, per avere il ricorrente fondato la pretesa anche sotto l’ulteriore profilo della disponibilità del posto in organico, supportando la prospettazione con idonea documentazione, circostanza che, ove negata, concreterebbe o il malgoverno
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delle regole in materia di distribuzione dell’onere della prova e/o di valutazione delle prove e/o la mera apparenza della motivazione per intrinseca contraddittorietà tra l’esposizione in fatto e le ragioni di diritto;
con il terzo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione dell’art. 12 ter d.lgs. n. 61/2000 vigente ratione temporis (oggi art. 8, comma 6, d.lgs. n. 81/2015), lamenta la non conformità a diritto della statuizione che nega il diritto alla trasformazione a tempo pieno del rapporto part-time che la norma invocata attribuisce al lavoratore con priorità rispetto ad ogni altra determinazione in ordine alla copertura del posto resosi disponibile;
con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del CCNL 31.3.1999 e degli artt. 4, comma 14, CCNL 14.9.2000 e 12 ter d.lgs. n. 61/2000 vigente ratione temporis (oggi art. 8, comma 6, d.lgs. n. 81/2015), imputando alla Corte territorial e l’erroneità del dato, che si dice assunto acriticamente dalla sentenza di primo grado e non riesaminato sulla base della censure dall’odierno ricorrente sollevate in grado di appello, per cui nell’ambito del servizio di assegnazione del ricorrente non vi erano posti disponibili a tempo pieno;
nel quinto motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 92, comma 2, c.p.c. è prospettata in via derivata in relazione all’erroneità della pronunzia cui consegue la soccombenza del ricorrente e l’accollo al medesimo delle spese di lite;
appare opportuno premettere come l’impugnazione proposta sia complessivamente volta a sostenere l’erroneità della valutazione operata dalla Corte territoriale circa la causa petendi sottesa alla pretesa azionata che qui si sostiene comprendere l’ulteriore profilo considerato dalla norma invocata , ovvero la sussistenza del diritto alla trasformazione a tempo pieno del rapporto part-time, a prescindere dal decorso del biennio dalla
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stipula del relativo contratto, considerato nella prima proposizione della norma, in ragione della disponibilità di posti comparabili con diritto di priorità rispetto ad ogni altra determinazione dell’amministrazione per la copertura dei medesimi;
lo stesso ricorrente, peraltro, finisce per ammettere di avere concentrato nel ricorso introduttivo la causa petendi della pretesa nel decorso del biennio, computato con riferimento al complessivo periodo di servizio così prestato anche presso le precedenti amministrazioni, lì dove invoca passi del ricorso di primo grado ove, come rilevato dalla Corte territoriale, si limita a richiamare il testo della norma, sostenendo genericamente la ricorrenza di tutte le condizioni ivi previste per il riconoscimento del diritto;
quanto, poi, al Programma Triennale del Fabbisogno 2012/2014, sul quale il ricorso fa leva, si tratta di documento non riprodotto, né specificamente indicato nel rispetto dell’onere imposto dell’art. 366 n. 6 c.p.c., del quale, inoltre, non sono dimostrate la funzionalità alla qui invocata causa petendi e l’erroneità della lettura che in senso contrario ne ha operato la Corte territoriale;
il terzo motivo, con il quale si denuncia il contrasto della pronuncia con la priorità sancita dall’art. 12 ter del d.lgs. n. 61/2001, finisce per prospettare una questione giuridica nuova implicante accertamenti di fatto, inammissibile nel giudizio di legittimità ove il ricorrente non assolva all’onere di dimostrare che la stessa fosse stata proposta nel ricorso di primo grado e devoluta anche al giudice di appello;
le censure, in sintesi, non valgono a contrastare la ratio decidendi sottesa alla sentenza impugnata data dalla non ravvisabilità nella prospettazione originaria della causa petendi qui invocata, il che vanifica ogni censura oggi diretta a
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contrastare quanto ad abundantiam aggiunto dalla Corte territoriale in ordine alla non disponibilità di posti comparabili; nel giudizio di cassazione, a critica vincolata, i motivi devono avere i caratteri della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, sicché la proposizione di censure prive di specifica attinenza al decisum è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi, richiesta dall’art. 366 n.4 cod. proc. civ., e determina l’inammissibilità, in tutto o in parte del ricorso, rilevabile anche d’ufficio ( cfr. fra le tante Cass. n. 9450/2024, Cass. 15517/2020, Cass. n. 20910/2017, Cass. n. 17125/2007, Cass. S.U. n. 14385/2007)
il ricorso va dunque dichiarato inammissibile;
le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 6 marzo 2025
La Presidente NOME COGNOME