Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12786 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12786 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 26875/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende con l’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrenti –
contro
COGNOME COGNOME, COGNOME, elettivamente domiciliate in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrenti –
avverso la sentenza n. 155/2020 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 17/07/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
NOME e NOME COGNOME convennero in giudizio NOME e NOME COGNOME figlie di NOME COGNOME (fratello degli attori) chiedendo che fosse accertato il loro diritto di comproprietà, per la quota indivisa di 1/3 ciascuno, acquisito per usucapione, della particella f. 1297/173 C.C. Ischia, costituita dal terreno che separava la loro casa dal lago Caldonazzo, terreno adibito a giardino e posteggio e al termine del quale erano stati realizzati due pontili aggettanti sul lago.
1.1. Le convenute, oltre a resistere alla domanda, svolsero riconvenzionale, con la quale chiesero accertarsi l’inesistenza di servitù di passaggio o di parcheggio in favore della p. ed. C.C. COGNOME e a carico della particella f. 1297/173 C.C. Ischia.
1.2. Gli attori, in ‘reconventio reconventionis’, chiesero, in via di subordine, nel caso di mancato accoglimento della domanda d’usucapione della comproprietà dell’anzidetta particella, accertarsi l’intervenuta acquisizione per usucapione della servitù di passo, e con mezzi meccanici, sempre a carico della medesima particella.
Il Tribunale di Trento, rigettata la domanda principale e dichiarata inammissibile quella proposta quale ‘reconventio reconventionis’, accolse la domanda di ‘negatoria servitutis’ proposta in riconvenzionale dalle contenute.
La Corte d’appello di Trento rigettò l’impugnazione degli attori.
3.1. Per quel che qui rileva deve, in sintesi, ricordarsi che la Corte locale giunge all’anticipato epilogo attraverso i passaggi argomentativi di cui appresso:
-la svolta istruttoria non aveva dimostrato l’assunto attoreo e, per contro, gli intimi rapporti familiari giustificavano comportamenti di tolleranza;
-non aveva significato apprezzabile l’affermazione degli appellanti, i quali avevano evidenziato che le appellate nel corso degli anni si erano limitate a fare un uso saltuario e limitato dell’area, in quanto che <>;
sotto altro profilo, essendo rimasto provato che le appellate accedevano liberamente allo stacco di terreno, passando dalla proprietà degli appellanti, essendo in possesso del telecomando azionante l’apertura del cancello, non era dubbio che fruissero del terreno di loro proprietà;
con la scrittura privata del 4/4/2001 gli appellanti avevano fatto riconoscimento dell’altruità del diritto di proprietà, che successivamente, invece, avevano affermato essere loro comune per usucapione;
-la domanda proposta quale ‘reconventio reconventionis’, in effetti non poteva qualificarsi tale, in quanto non consequenziale alla domanda riconvenzionale; a tal fine la sentenza spiega che: <>.
NOME e NOME COGNOME propongono ricorso sulla base di cinque motivi.
Le intimate resistono con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Con il primo motivo viene denunciata nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ.
I ricorrenti assumono che la sentenza sia sorretta da motivazione apparente in ordine all’affermata mancanza di prova del possesso che NOME e NOME COGNOME avrebbero esercitato sull’area oggetto di contesa.
Nel dettaglio, si sostiene che la sentenza, con l’affermazione, secondo la quale, <>. La Corte di merito non aveva tenuto conto della testimonianza di NOME COGNOME, che aveva dato conferma che oltre trenta anni prima i fratelli COGNOME avevano riportato terra sulla particella 1297/173, al fine di renderla complanare alla particella 515; che, all’epoca, i fratelli COGNOME avevano realizzato un’area destinata a parcheggio; che, alla medesima epoca, gli stessi fratelli avevano realizzato muretti di contenimento, pavimentazione, aiuole e un pergolato; che, sempre trenta anni prima, i fratelli COGNOME, sulla stessa particella 1297/173 avevano fatto mettere in opera un pontile con trampolino.
Asserzioni, queste, non smentite da altri testi, che avevano trovato conferma nelle fotografie prodotte.
Non avendo la sentenza impugnata espresso giudizio d’inattendibilità dell’anzidetta testimonianza e d’irrilevanza delle foto, non era dato cogliere il ragionamento logico seguito dalla Corte di Trento.
Con il secondo motivo viene denunciata violazione degli artt. 1140 e 1158 cod. civ.
Secondo i ricorrenti la sentenza era incorsa in errore per avere negato maturata usucapione della quota di comproprietà di 1/3 ciascuno della p.f. 1297/173, sul presupposto che gli esponenti non avessero fornito sufficienti elementi dai quali poter dedurre che avessero esercitato <>.
L’affermazione, per i ricorrenti, violava le norme evocate, poiché essi non avevano chiesto l’usucapione della proprietà esclusiva della p.f. 1297/173, essendosi limitati a dedurre una situazione di compossesso pro indiviso. Quindi, non sarebbe occorso dimostrare l’esclusione del possesso del proprietario.
Con il terzo motivo viene denunciata violazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ.
La Corte d’appello, spiegano i ricorrenti, confermando la statuizione del Tribunale, aveva assegnato un significato non conforme alla volontà delle parti alla scrittura del 4/4/2001, contenente una proposta d’acquisto degli attori nei confronti delle convenute.
La sentenza aveva tratto il convincimento che con la scrittura di cui si discute NOME e NOME COGNOME avevano riconosciuto quali proprietarie del terreno NOME e NOME COGNOME.
I ricorrenti sostengono che la Corte di merito aveva interpretato in spregio alle norme regolanti l’ermeneutica negoziale la scrittura del 4/4/2001. Si trattava, spiegano i ricorrenti, di una ‘lettera d’intenti’, firmata non solo da NOME e NOME, ma anche dagli altri fratelli COGNOME e, in particolare, (oltre che da NOME COGNOME, da NOME COGNOME, proprietarie di fondi confinanti) da NOME, comproprietario della particella ed. 515 e padre delle convenute, che per ragioni ben comprensibili, non aveva voluto agire, insieme ai suoi fratelli, al fine di richiedere l’usucapione della particella f. 1297/173. Era stato solo NOME a dichiarare proprietarie le convenute e non gli altri firmatari; si leggeva, infatti: <>.
Con il quarto motivo viene denunciata violazione dell’art. 183, co. 5, cod. proc. civ., al tempo vigente.
Ingiustamente, si chiarisce, la sentenza aveva dichiarato inammissibile la proposta ‘reconventio reconventionis’.
A fronte della domanda di ‘negatoria servitutis’, avanzata dalla controparte in riconvenzionale, sussisteva <> con la contrapposta domanda <>.
Pur vero <>.
Con il quinto motivo viene denunciata violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
I ricorrenti addebitano alla statuizione di secondo grado di non essersi pronunciata sul motivo d’appello con il quale sarebbe stata criticata la sentenza del Tribunale nella parte in cui aveva reputato insussistente l’apparenza della servitù di passo e parcheggio e, per converso, nella parte in cui aveva accolto la domanda riconvenzionale di ‘negatoria servitutis’.
Per ragioni di logica espositiva è opportuno esaminare per primo il terzo motivo.
La doglianza, peraltro gravemente insufficiente quanto a specificità, non essendosi proceduto all’integrale riproduzione o all’allegazione della scrittura, è destituita, comunque, di giuridico fondamento.
Si è, invero, più volte spiegato che, in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Sez. Sez. 3, n. 2465, 10/02/2015, Rv. 634161 -01; conf., ex multis, Cass. nn. 10891/2016, 2074/2002).
Nel caso in esame è del tutto plausibile e non irragionevole l’interpretazione cui giunge la Corte di merito. Mentre è il risultato di essa che i ricorrenti contestano, auspicando un inammissibile nuovo sindacato.
Il riconoscimento della signoria delle proprietarie ha un duplice effetto:
(a) interrompe il decorso del tempo per la prescrizione acquisitiva;
(b) fa escludere in radice l’ ‘animus possidendi’, stante che la parte non si pone in contrasto frontale con il diritto di proprietà del titolare (giurisprudenza consolidata: Cass. nn. 5920/2025, 19706/2014, 2319/2010, 25250/2006).
È appena il caso di soggiungere che la qualità di ‘proprietarie’ delle controricorrenti non è assegnata da NOME, padre di costoro, in contrasto col volere degli altri fratelli, che, per contro, la scrittura condivisero in tutto e per tutto, senza porre distinzioni. Sul punto la Corte di merito correttamente evidenzia che gli odierni ricorrenti <>.
Rigettato il terzo motivo, il primo e il secondo restano assorbiti in senso improprio: il riconoscimento della piena titolarità in capo alle controricorrenti renderebbe comunque vano lo scrutinio delle anzidette due doglianze.
Il quarto motivo, anch’esso assorbito, a cagione del rigetto del terzo motivo, propugna un’estensione della ‘reconventio reconventionis’ incompatibile con il dettato normativo di cui al comma 5 dell’art. 183 cod. proc. civ., al tempo vigente: ‘Nella stessa udienza l’attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto’.
Deve ricordarsi che i ricorrenti avevano agito per vedersi dichiarare comproprietari del bene, le convenute, oltre ad opporsi a una tale domanda, in via riconvenzionale agirono in ‘negatoria
servitutis’. L’esigenza di chiedere la dichiarazione d’usucapione della servitù di passo non è conseguenza della domanda riconvenzionale, bensì pretesa che avrebbe dovuto farsi valere con l’atto di citazione, sia pure in via di subordine. Né, la mancata diligente articolazione della domanda iniziale può essere tardivamente integrata, in violazione delle preclusioni processuali inderogabili.
Il quinto motivo non supera lo scrutinio d’ammissibilità.
L’atto d’appello non risulta essere stato riportato nella sua integralità (la Corte d’appello sintetizza i motivi e non si rinvengono censure corrispondenti a quella enunciata nel motivo qui in esame) e nella sintesi dei ricorrenti non si rinviene un compiuto motivo d’appello (ragioni di contrasto alla decisione), bensì solo la nuda conclusione contraria alla statuizione di primo grado.
Inoltre, la domanda di servitù di passaggio è stata dichiarata inammissibile e il rigetto della tesi della sua legittima proposizione quale ‘reconventio reconventionis’ renderebbe comunque vano lo scrutinio di tale profilo di doglianza.
Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore del controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in favore delle controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20 febbraio