Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27485 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 27485 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/10/2024
SENTENZA
sul ricorso 7309-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO COGNOME, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente-
avverso la sentenza n. 1233 della COPRTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 29/08/2018;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le memorie della ricorrente;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/10/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO per i ricorrenti;
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 410/2003 emesso dal Tribunale di Salerno in favore della RAGIONE_SOCIALE, alla quale avevano conferito mandato l’ing. NOME COGNOME e l’arch. NOME COGNOME, per l’importo di € 442.757,32, a titolo di corrispettivo per gli incarichi professionali conferiti ai due professionisti.
Deduceva che a seguito di un precedente giudizio definito con la sentenza n. 2995/2001 aveva versato la somma di £. 653.403.045 per le medesime causali, così che nulla era più dovuto. Inoltre, evidenziava che la richiesta di pagamento di ulteriori somme si fondava, non su di un riconoscimento del debito o su di un credito liquido ed esigibile, ma su di una certificazione del RAGIONE_SOCIALE che attestava, ancor prima della sentenza del 2001, l’esistenza di una richiesta da parte della
società di pagamento di un determinato importo, che però doveva reputarsi superata a seguito della decisione citata.
Il Tribunale rigettava l’opposizione ed il RAGIONE_SOCIALE proponeva appello, cui resistevano gli appellati.
La Corte d’Appello di Salerno, con la sentenza n. 1233 del 29 agosto 2018, ha accolto il gravame, revocando il decreto ingiuntivo opposto.
Ad avviso dei giudici di appello, il RAGIONE_SOCIALE aveva sempre negato che la nota invocata dagli opposti avesse valenza di riconoscimento del debito, trattandosi solo dell’attestazione della presenza agli atti del RAGIONE_SOCIALE di una richiesta di pagamento, come da prospetto prodotto dalla società.
Con una prima sentenza il Tribunale aveva condannato il RAGIONE_SOCIALE al pagamento di una somma pari al corrispettivo per le prestazioni professionali rese dai due tecnici, sulla base di una serie di documenti attestanti il conferimento di incarichi di progettazione esecutiva di lavori di risanamento e consolidamento del patrimonio edilizio del RAGIONE_SOCIALE, mentre il decreto opposto in questa sede -oltre a porre dubbi circa la ammissibilità del frazionamento del credito -si fondava sulla sola nota del 27 marzo 1997 sottoscritta dal Sindaco e dal Segretario Comunale.
Secondo i giudici di appello alla stessa non poteva annettersi l’efficacia del riconoscimento del debito, in quanto si limitava a certificare la posizione debitoria del RAGIONE_SOCIALE alla data della sua redazione, precisando che l’importo avrebbe potuto subire delle riduzioni ove si fosse addivenuti a transazione.
Non poteva però sostenersi che fosse anche una valida prova del credito richiesto in questa sede, sul presupposto che fosse successivamente maturato.
La nota, infatti, attestava la richiesta del creditore, ma lasciava immutata la possibilità di incidere sul quantum ; inoltre, la stessa non era avallata da ulteriori atti, quali la delibera formale dell’ente, che si palesa necessaria per il regime pubblicistico dell’attività negoziale dell’ente comunale.
Né poteva sostenersi che la qualificazione della nota fatta nella precedente sentenza avesse valore di giudicato, in quanto era una valutazione operata incidenter tantum , rispetto ad un atto che non assumeva carattere di antecedente logico -giuridico rispetto alla decisione stessa.
Una volta esclusa la riconducibilità della nota alla previsione di cui all’art. 1988 c.c., trattandosi di un’opposizione a decreto ingiuntivo, era onere del creditore dimostrare l’esistenza del diritto di credito azionato, prova che però era carente.
RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza sulla base di sei motivi, illustrati da memorie.
Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE San RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1988, 1362, 1324 e 2697 c.c., nonché degli artt. 116 c.p.c. e 2733 e 2735 c.c., quanto alla validità ed efficacia dell’atto di ricognizione del debito emesso dal RAGIONE_SOCIALE trattandosi di ricognizione titolata avente perciò valore confessorio.
La sentenza impugnata ha escluso che la nota del 27 marzo 1997 potesse costituire valida prova del credito azionato, ma trattasi di affermazione che contrasta con il tenore letterale del documento, dal quale si evince che il RAGIONE_SOCIALE si era riconosciuto debitore delle
somme ivi indicate (£. 1.510.790.765), affermando che il credito era liquido ed esigibile, e che la sua entità era riferita al contenuto della richiesta di pagamento n. 7173/1996, nella quale erano riportati gli incarichi conferiti ai professionisti, aggiungendosi poi che per il pagamento si era deciso di far ricorso ai fondi della ricostruzione di cui alla legge n. 219/1981.
A ciò deve aggiungersi che il RAGIONE_SOCIALE aveva offerto il pagamento di £. 500.000.000, che era stato rifiutato.
Trattasi, quindi, di una ricognizione del debito titolata che vale anche come confessione quanto ai fatti costitutivi della pretesa.
Il secondo motivo lamenta la falsa applicazione degli artt. 191 e 194 del D. Lgs. n. 267/2000, dell’art. 1988 c.c. e dell’art. 11 disp. prel. c.c., atteso che si è fatta applicazione nella fattispecie della disciplina del 2000, che è successiva rispetto alla data della dichiarazione del RAGIONE_SOCIALE, in violazione del principio di irretroattività della legge.
Inoltre, nella fattispecie gli impegni di spesa per gli incarchi conferiti ai due professionisti si rinvengono nelle delibere in atti, che prevedevano il finanziamento con i fondi statali previsti per la ricostruzione post sisma del 1980.
Il terzo motivo lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, co. 1, c.p.c. e 2697 c.c. quanto alla mancata contestazione da parte dell’opponente.
Si deduce che erroneamente la sentenza ha ritenuto che gli opposti non avessero dato la prova del proprio credito, ma nel compiere tale affermazione non ha tenuto conto della documentazione allegata alla memoria di cui all’art. 184 c.p.c., che comprovava il conferimento degli incarichi ed il loro
espletamento, documentazione che non è stata contestata dal RAGIONE_SOCIALE.
La sommatoria delle varie parcelle emesse consente di pervenire alla somma di cui alla dichiarazione di ricognizione del debito, dalla quale andava detratto quanto conseguito per effetto della prima sentenza.
Il quarto motivo lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, e precisamente l’omesso esame delle prestazioni professionali offerte dai ricorrenti, atteso che la sentenza impugnata si concentra sul contenuto della dichiarazione di ricognizione del debito da parte del RAGIONE_SOCIALE, senza considerare le prestazioni di cui ha fruito lo stesso RAGIONE_SOCIALE.
Il quinto motivo lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. in relazione al mancato recepimento del giudicato interno ed esterno.
Si rileva che nella sentenza n. 2995/2001, che aveva condannato il RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore dei due professionisti della somma di € 337.454,51, sentenza passata in cosa giudicata, si era affermato che la nota sopra menzionata valeva come riconoscimento del debito, ancorché si fosse ritenuto che la richiesta di pagamento delle ulteriori somme fosse inammissibile in quanto tardiva.
La stessa sentenza ha, quindi, attribuito piena efficacia probatoria a tale dichiarazione ed è perciò errata la conclusione della Corte d’Appello, che invece ha ritenuto che quanto affermato dal tribunale non fosse vincolante.
Inoltre si rileva che, in relazione al procedimento in esame, mentre il Tribunale aveva riconosciuto il diritto degli opposti,
nell’atto di appello il RAGIONE_SOCIALE si era limitato a contestare la sola nullità ed inefficacia della dichiarazione di ricognizione del debito, con la conseguenza che devono reputarsi passati in giudicato gli altri passaggi della sentenza del Tribunale quanto all’effettivo svolgimento delle prestazioni, alla regolarità del rapporto sorto tra le parti, all’assenza di contestazioni sull’operato dei professionisti ed alla congruità delle somme richieste.
Il sesto motivo lamenta la violazione dell’art. 345 c.p.c., in quanto la Corte d’Appello ha fatto leva sulla invalidità dell’atto di riconoscimento del debito da parte del RAGIONE_SOCIALE sulla base di una serie di eccezioni avanzate dall’appellante per la prima volta in secondo grado, e quindi fondando la sua decisione su di un’eccezione di nullità e/o inefficacia inammissibilmente avanzata per la prima volta in appello.
I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.
La sentenza impugnata, nell’accogliere il gravame del RAGIONE_SOCIALE, e nel ravvisare la mancata prova del credito azionato in via monitoria dai ricorrenti ha, in primo luogo, sottolineato come già una precedente richiesta di condanna del RAGIONE_SOCIALE fosse stata accolta dal Tribunale di Salerno, con sentenza passata in giudicato, e per un importo di £. 653.893.045, sulla base di una serie di documenti che però fondano anche l’odierna richiesta di condanna, evidenziando come tale richiesta si ponesse in potenza in contrasto anche con il divieto di frazionamento abusivo del credito.
Ha altresì sottolineato che la nota del RAGIONE_SOCIALE del 27 marzo 1997, sottoscritta solo dal Sindaco e dal Segretario Comunale, non potesse assurgere al rango di una valida ricognizione del debito,
sia per il suo tenore letterale (in quanto non certifica l’esistenza in via assoluta del credito vantato, ma il fatto che fosse pervenuta una richiesta di pagamento dei compensi da parte dei professionisti, essendo in ogni caso dato rimodularne l’importo), sia perché non avallata da ulteriori atti, quali la delibera formale dell’ente.
Ha, infine, escluso che quanto riferito nella sentenza passata in giudicato, circa la valenza di tale nota, potesse assumere valore di giudicato, e ciò in quanto era stata formulata una valutazione incidenter tantum , avuto riguardo alla circostanza che in quel giudizio la nota non rivestiva carattere di antecedente logico -giuridico rispetto alla decisione in quel caso assunta.
Così riassunte le argomentazioni del giudice di appello, ad avviso della Corte le censure dei ricorrenti non appaiono in grado di inficiare la correttezza della decisione impugnata.
In primo luogo, deve ribadirsi che è riservata al giudice del merito e sottratta al sindacato di legittimità l’indagine sul contenuto e sul significato delle dichiarazioni della parte, al fine di stabilire se esse importino una ricognizione di debito ai sensi dell’art 1988 c.c. (Cass. n. 20422/2019; Cass. n. 1653/1975), con la conseguenza che non appare censurabile la conclusione della Corte d’Appello che ha rilevato che lo stesso contenuto della nota del 27 marzo 1997, oltre che per ragioni di carattere formale (quanto alla sua provenienza da parte del Sindaco e del Segretario Comunale e non anche dall’organo collegiale sotto forma di delibera), non permetteva di reputare che vi fosse stato un chiaro riconoscimento del credito vantato.
Infatti, la valorizzazione del riferimento alla richiesta e ddlla possibilità di una rideterminazione del quantum appaiono degli
elementi di carattere letterale che non rendono di per sé assolutamente implausibile l’esegesi che della nota è stata fatta dalla Corte d’Appello, palesandosi anche del tutto generica l’allegazione di parte ricorrente quanto alla dedotta violazione delle regole di ermeneutica contrattuale.
Ciò comporta che risulta incensurabile la conclusione del giudice di merito che ha reputato che, una volta rivelatasi inidonea la detta nota a determinare l’inversione dell’onere probatorio, incombeva sul creditore dimostrare che il credito vantato fosse effettivamente esistente, prova che si è escluso fosse stata fornita, anche alla luce di quanto già accertato con la precedente sentenza passata in giudicato, che, in relazione alle medesime causali addotte anche a fondamento della domanda qui proposta, aveva riconosciuto un credito in favore dei professionisti, sebbene di importo inferiore rispetto al contenuto della richiesta di cui fa menzione la nota in esame.
Era, quindi, onere degli opposti di dimostrare, non solo l’esistenza dei presupposti formali per ravvisare l’effettivo obbligo gravante sul RAGIONE_SOCIALE per le prestazioni rese, ma altresì documentare che effettivamente il credito azionato successivamente in sede monitoria fosse afferente a prestazioni diverse e ulteriori rispetto a quelle per le quali già era intervenuto il riconoscimento in sede giudiziale.
Al riguardo i motivi di ricorso si palesano del tutto generici, in quanto si limitano a riferire circa il fatto che già con la memoria di cui all’art. 184 c.p.c. fossero state versate in atti le delibere del RAGIONE_SOCIALE con le quali era avvenuto il conferimento dell’incarico, ma si tratta di un richiamo del tutto generico, privo di specificità soprattutto per quanto attiene alla dimostrazione, che appare
decisiva ai fini del presente giudizio, che dalle stesse emergeva il diritto ad un compenso aggiuntivo rispetto a quello che già era stato riconosciuto in sede giudiziale. D’altronde, e ciò appare ancor più evidente al fine della formulazione del giudizio di difetto di specificità del ricorso, manca anche un puntuale richiamo al contenuto della precedente sentenza passata in giudicato tra le parti, relativamente all’individuazione delle ragioni che hanno portato alla condanna del RAGIONE_SOCIALE, essendo carente quindi l’illustrazione circa le ragioni per le quali deve reputarsi che la pretesa azionata in questa sede abbia una sua autonomia rispetto a quella già riconosciuta, ovvero che si tratti di diritti di credito che non potevano essere fatti valere già ab origine , onde sottrarsi alla preclusione derivante dal principio per cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile.
Occorre poi considerare che, ove anche volesse annettersi alla detta nota il valore di ricognizione del debito, per prestazioni assunte in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 191 del d.lgs. n. 267 del 2000, la stessa presuppone l’esistenza a monte di un valido titolo negoziale, che costituisce la condizione necessaria e sufficiente per l’efficacia di detto riconoscimento di debito e per l’operatività di detta delibera. (Cass. n. 12164/2024; Cass. n. 510/2021, che anzi esclude che la delibera comunale di riconoscimento di debito fuori bilancio possa configurarsi come ricognizione postuma di debito, non innovando, pertanto, il detto riconoscimento la disciplina che regolamenta la conclusione di contratti da parte della p.a., né introducendo una sanatoria per i contratti eventualmente nulli o comunque invalidi, come quelli conclusi senza la forma scritta richiesta ” ad substantiam “; Cass. n. 15303/2022).
Trattasi di principi assolutamente consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, e che, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, non trovano il loro riconoscimento normativo solo in occasione dell’emanazione del D. Lgs. n. 267/2000, atteso che le previsioni di cui agli art. 191 e 194, alle quali ha fatto richiamo il giudice di appello, costituiscono la trasposizione di previgenti disposizioni normative, e precisamente, per quanto qui rileva, degli art. 35 e 37 del D. Lgs. n. 77/1995, che era vigente alla data cui risale l’emissione della nota del RAGIONE_SOCIALE (cfr. Cass. n. 9412/2011; Cass. n. 144323/2013).
Una volta, quindi, escluso che alla detta nota possa attribuirsi il valore di ricognizione del debito, con gli effetti di inversione dell’onere della prova, resta confermato che incombeva sui ricorrenti dimostrare l’esistenza del loro ulteriore credito (avendo la sentenza impugnata posto in grassetto le ultime due parole, a voler sottolineare come fosse necessario non già dimostrare il fatto che a monte vi fosse stato un conferimento di incarico da parte del RAGIONE_SOCIALE, quanto piuttosto che dagli atti prodotti, e qui solo genericamente richiamati, fosse emersa la prova dell’esistenza di un credito ancora non soddisfatto alla luce delle ragioni che sorreggevano la sentenza che aveva già liquidato un compenso).
Una volta individuata la ratio fondante della decisione gravata nel fatto che mancava la prova che quello azionato fosse un credito non ricompreso in quello già riconosciuto in via giudiziale, si manifesta anche l’infondatezza delle altre doglianze dei ricorrenti. Infatti, quanto alla dedotta violazione dell’art. 345 c.p.c., in disparte la piena ammissibilità dell’eccezione di nullità negoziale anche in appello, rientrando anzi a pieno titolo nel novero delle
eccezioni in senso lato, rilevabili anche d’ufficio, purché le relative ragioni emergano ex actis (Cass. S.U. n. 26242/2014), si rileva che la sentenza, sollecitata in ogni modo dai motivi di appello a valutare l’effettiva incidenza sulla materia del contendere della nota comunale, ne ha valutato la portata effettuale, ritenendo, secondo un apprezzamento, come detto, non censurabile in questa sede, che la stessa non potesse valere come effettivo riconoscimento del debito per l’importo corrispondente a quello di cui alla richiesta dei ricorrenti.
Quanto poi alla denuncia di omesso esame di fatto decisivo, la stessa si risolve nella generica doglianza secondo cui il giudice di appello non avrebbe valutato il rapporto sottostante la ricognizione del RAGIONE_SOCIALE, ma senza peraltro specificare quale sarebbe il fatto storico decisivo di cui sarebbe stata omessa la disamina; inoltre, non tiene conto del reale contenuto della sentenza impugnata che ha ritenuto che, ai fini dell’accoglimento della pretesa creditoria, non era sufficiente dimostrare che a monte vi fosse stato un conferimento di incarico, ma piuttosto che fosse residuato un credito in favore dei professionisti di importo ulteriore rispetto a quello già attribuito con la prima sentenza, prova che si è escluso fosse stata fornita, specialmente per quanto atteneva alla deduzione secondo cui si trattava di pretesa creditoria successivamente maturata.
Né può risultare idoneo a fondare l’accoglimento del ricorso il richiamo al preteso giudicato esterno costituito dalle affermazioni contenute nella sentenza del Tribunale di Salerno n. 2995/2001, atteso che, oltre a doversi condividere l’argomentazione della Corte d’Appello, secondo cui si trattava di affermazione resa incidenter tantum ed al fine di rafforzare una valutazione
probatoria condotta sulla base di altri elementi, alla luce di quanto sopra esposto, emerge che al più alla dichiarazione si è attribuita idoneità probatoria per il credito liquidato con la stessa sentenza, ma non può invece essere reputata vincolante anche quanto alla prova del credito ulteriore, asseritamente maturato in data successiva, in assenza, come detto, di prove idonee a documentare tale circostanza.
Né infine può invocarsi un preteso giudicato interno, in quanto la sentenza di primo grado si era basata per il rigetto dell’opposizione proprio sul contenuto della detta nota, così che, una volta rimessane in discussione con il motivo di appello la valenza probatoria vincolante, era devoluta al giudice di secondo grado la valutazione delle ragioni fondanti il diritto di credito, senza che potesse annettersi alcuna efficacia di giudicato interno alle affermazioni del giudice di primo grado.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese in favore del controricorrente, come liquidate in dispositivo.
Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese del presente giudizio in favore del controricorrente che liquida in complessivi € 8.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge, con attribuzione all’AVV_NOTAIO, dichiaratosene antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater , del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio del 3 ottobre 2024