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Riconoscimento del debito: vale la nota del Comune?

La Corte di Cassazione ha stabilito che una semplice nota, sottoscritta da Sindaco e Segretario Comunale, non costituisce un valido riconoscimento del debito se non rispetta i requisiti formali e non esprime una chiara volontà di ammettere l’obbligazione. Di conseguenza, il creditore non è esonerato dall’onere di provare l’esistenza del proprio diritto. La sentenza chiarisce che l’atto deve essere inequivocabile e, per gli enti pubblici, supportato da una delibera formale.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Riconoscimento del debito: la nota del Comune non basta se manca la delibera

Una semplice nota firmata dal Sindaco e dal Segretario Comunale può valere come riconoscimento del debito da parte di un ente pubblico? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27485/2024, ha fornito una risposta chiara: no, se mancano i presupposti formali e sostanziali. Questa decisione offre importanti spunti sulla validità degli impegni assunti dalla Pubblica Amministrazione e sull’onere della prova per i creditori.

I fatti del caso: una richiesta di pagamento basata su una nota comunale

Una società di ingegneria e architettura, insieme a due professionisti, otteneva un decreto ingiuntivo contro un Comune per il pagamento di circa 442.000 euro a titolo di corrispettivo per incarichi professionali. A sostegno della propria pretesa, la società produceva una nota del 1997, sottoscritta dal Sindaco e dal Segretario Comunale, che a suo dire costituiva un’ammissione formale del debito.

Il Comune si opponeva, sostenendo di aver già saldato quanto dovuto per le stesse causali a seguito di una precedente sentenza e che la nota invocata non avesse alcun valore vincolante. Il Comune evidenziava che tale documento si limitava ad attestare la presenza di una richiesta di pagamento agli atti, senza però costituire una promessa di pagamento o un’ammissione del debito stesso.

La decisione della Corte d’Appello

Se in primo grado il Tribunale aveva dato ragione ai professionisti, la Corte d’Appello ribaltava la decisione. I giudici di secondo grado accoglievano l’appello del Comune, revocando il decreto ingiuntivo. La Corte sosteneva che la nota del 1997 non potesse essere qualificata come riconoscimento del debito, in quanto:

1. Contenuto non univoco: Il testo della nota non certificava l’esistenza certa del credito, ma si limitava a dare atto di una richiesta pervenuta, specificando peraltro che l’importo avrebbe potuto subire riduzioni.
2. Vizio di forma: La nota non era supportata da una delibera formale dell’ente, atto necessario per la validità degli impegni di spesa di un ente pubblico, secondo il regime pubblicistico che ne regola l’attività.

Di conseguenza, in assenza di un valido riconoscimento del debito, l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare del credito rimaneva a carico dei professionisti, prova che la Corte d’Appello ha ritenuto non fornita.

Le motivazioni della Cassazione sul riconoscimento del debito

La società e i professionisti ricorrevano in Cassazione, ma la Suprema Corte ha rigettato tutti i motivi, confermando la sentenza d’appello. Le motivazioni sono fondamentali per comprendere i limiti del riconoscimento del debito quando una delle parti è un ente pubblico.

L’interpretazione della dichiarazione

La Cassazione ha ribadito che l’indagine sul contenuto e sul significato di una dichiarazione, per stabilire se essa integri un riconoscimento di debito ai sensi dell’art. 1988 c.c., è riservata al giudice di merito. In questo caso, la Corte d’Appello aveva correttamente concluso che il tenore letterale della nota non permetteva di considerarla un’ammissione chiara e incondizionata del debito. Il riferimento alla possibilità di ‘rimodulare’ l’importo era un elemento decisivo che ne indeboliva il valore confessorio.

I requisiti formali per gli enti pubblici

La Corte ha sottolineato un principio consolidato: anche qualora una nota avesse il valore di riconoscimento del debito, la sua efficacia è subordinata all’esistenza di un valido titolo negoziale a monte. Per gli enti pubblici, la conclusione di contratti e l’assunzione di obbligazioni sono soggette a procedure specifiche (come le delibere degli organi competenti) e alla forma scritta ‘ad substantiam’. Una semplice nota, anche se firmata da figure apicali, non può sanare l’eventuale nullità di un contratto concluso senza le forme prescritte dalla legge.

L’onere della prova e il ruolo del giudicato

Una volta esclusa la validità della nota come atto di riconoscimento, l’effetto di inversione dell’onere della prova non si produce. Spettava quindi ai creditori dimostrare non solo l’esistenza degli incarichi, ma anche che il credito richiesto fosse ulteriore e distinto da quello già liquidato con la precedente sentenza. La Cassazione ha ritenuto generiche le allegazioni dei ricorrenti su questo punto, mancando una dimostrazione specifica.

Infine, la Corte ha escluso che la valutazione della nota, contenuta nella precedente sentenza, potesse avere valore di giudicato, trattandosi di una considerazione fatta ‘incidenter tantum’, ovvero in via accessoria e non decisiva per la risoluzione di quella controversia.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

La decisione della Cassazione rafforza un principio di rigore nei rapporti contrattuali con la Pubblica Amministrazione. Per i professionisti e le imprese che lavorano con enti pubblici, emerge un’indicazione chiara: non è sufficiente ottenere dichiarazioni o note informali per garantirsi il pagamento. È indispensabile che ogni impegno di spesa sia supportato da atti formali e validi, come delibere e contratti scritti, che rispettino le procedure di contabilità pubblica. Affidarsi a semplici attestazioni, prive di valore negoziale, espone al rischio di dover affrontare un complesso onere probatorio per dimostrare il proprio diritto di credito in un eventuale giudizio.

Quando una dichiarazione scritta di un Comune vale come riconoscimento del debito?
Una dichiarazione scritta di un Comune può valere come riconoscimento del debito solo se esprime in modo chiaro e inequivocabile la volontà dell’ente di ammettere l’esistenza di un’obbligazione e se è supportata da un valido atto formale a monte, come una delibera dell’organo collegiale competente, che rispetti le norme sulla contabilità pubblica.

Cosa succede se un creditore agisce in giudizio basandosi su un riconoscimento del debito invalido?
Se il riconoscimento del debito è ritenuto invalido dal giudice, non si produce l’effetto dell’inversione dell’onere della prova. Di conseguenza, spetta al creditore dimostrare con altri mezzi l’esistenza, l’ammontare e la fonte del proprio credito, esattamente come se non avesse alcuna dichiarazione del debitore.

Una valutazione su un documento fatta ‘di passaggio’ in una sentenza precedente è vincolante per un nuovo processo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, una valutazione su un documento o su un fatto giuridico fatta ‘incidenter tantum’ (cioè incidentalmente, come argomento secondario e non come punto centrale della decisione) in una sentenza precedente non acquista efficacia di giudicato. Pertanto, non è vincolante per le parti o per il giudice in un successivo processo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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