Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 11280 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al N. 10717/2023 R.G. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso da ll’avv. NOME COGNOME come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale come in atti
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME come da procura allegata al la ‘memoria difensiva’ , domicilio digitale come in atti
– resistente – avverso la sentenza n. 159/2023 del la Corte d’appello di Messina, pubblicata in data 28.2.2023;
udita la relazione della causa svolta nella adunanza camerale del 29.1.2025 dal Consigliere relatore dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto del 12.11.2014, NOME COGNOME propose opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi, ex artt. 615, comma 1, e 617, comma 1, c.p.c., dinanzi al Tribunale di Messina, in relazione a precetto notificatogli il 25.10.2014 ad istanza di RAGIONE_SOCIALE per il pagamento di € 51.175,70, in forza di atto di concessione volontaria di ipoteca del 25.7.2011, già notificatogli in forma esecutiva con precedente precetto del 20.6.2014. Eccepì l’opponente la inesistenza/nullità del precetto in rinnovazione, il di fetto originario del titolo esecutivo e l’avvenuta estinzione del credito azionato. Costituitasi l’opposta, il Tribunale di Messina dapprima sospese l’esecutività del titolo e, all’esito dell’istruttoria, accolse l’opposizione (all’esecuzione) con sentenza del 7.7.2017, per aver l’opponente dimostrato di aver estinto il debito mediante corresponsione di assegni e mediante cessioni di crediti, per l’importo di € 40.888,90, così ritenendo ‘ interamente pagato il debito originariamente contratto da NOME NOME
La RAGIONE_SOCIALE propose appello e, nella resistenza del COGNOME, la Corte d’appello di Messina lo accolse con sentenza del 28.2.2023, riformando integralmente la prima decisione e rigettando l’opposizione. Osservò la C orte peloritana che il primo giudice aveva del tutto pretermesso di considerare il ‘ verbale di ritiro awp e contestuale riconoscimento del debito ‘ datato 8.11.2012, prodotto in primo grado dalla società sub doc. 8, in seno al quale NOME COGNOME s’era riconosciuto debitore di € 48.480,01, pari alla sorte capitale precettata. Pertanto, non essendo stata disconosciuta dal COGNOME la sottoscrizione del documento nella sua prima difesa utile, detto riconoscimento faceva piena prova ed avrebbe dovuto essere considerato dal Tribunale, in quanto nella sua piena disponibilità;
N. 10717/23 R.G.
né poteva rilevare la dedotta – dal COGNOME – sua presunta falsità (oggetto di denuncia-querela in sede penale), né la sua mancata notifica in uno col precetto opposto. Infine, concluse il giudice d’appello , i documenti dimostrativi dei pagamenti effettuati dal COGNOME e apprezzati dal Tribunale onde ritenere estinto il debito precettato, dovevano considerarsi tutti irrilevanti, giacché riferiti al periodo 13.5.2011-31.12.2011, dunque antecedenti alla suddetta ricognizione di debito: essi, ‘ in mancanza di p rova contraria da parte dell’appellato, non possono che riferirsi a diverse (precedenti) partite debitorie ‘.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla scorta di quattro motivi, cui resiste con ‘memoria difensiva’ RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE). Il ricorrente ha depositato memoria. Il Collegio ha riservato il deposito della ordinanza entro sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 Con il primo motivo si lamenta la violazione dell’art. 342 c.p.c., ai sensi dell’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. , per non aver la Corte d’appello rilevato l’inammissibilità del gravame perché aspecifico ; ciò benché esso non indicasse le parti della sentenza di primo grado che si impugnavano, né le richieste modifiche alla ricostruzione del fatto, né le circostanze da cui deriva la violazione di legge.
1.2 Con il secondo motivo si denuncia la v iolazione dell’art. 295 c.p.c. , ai sensi dell’ art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c. , per non aver la Corte d’appello disposto la sospensione del processo in attesa della definizione del procedimento penale avviato a seguito della presentazione di un esposto-querela, da parte di esso ricorrente, con riferimento alla firma della ricognizione di debito datata
N. 10717/23 R.G.
8.11.2012 e apparentemente allo stesso riconducibile (cui era seguita una denuncia per calunnia a suo danno), documento che – contrariamente a quanto ritenuto dal giudice d’appello – il Tribunale non aveva preso in considerazione perché non era a sua disposizione al momento della decisione.
1.3 Con il terzo motivo si lamenta la violazione degli artt. 474 c.p.c. e 1193 c.c. , ai sensi dell’ art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. Il ricorrente si duole della mancata considerazione, da parte della Corte territoriale, della valenza estintiva dei pagamenti dallo stesso effettuati nel corso del 2011, rispetto al titolo esecutivo indicato nel precetto (atto di concessione di ipoteca volontaria del 25.7.2011) e che il credito di cui alla contestata ricognizione di debito del 8.11.2012, quand’anche esistente, era certamente diverso ; conseguentemente, il precetto opposto era stato notificato in difetto di valido titolo esecutivo, tanto più che detta ricognizione non era allo stesso acclusa e di essa il ricorrente aveva avuto conoscenza solo in data 22.2.2018.
1.4 Con il quarto motivo, infine, si lamenta la violazione degli artt. 1988 e 2697 c.c. , in relazione all’ art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c., per aver la Corte territoriale ritenuto valido ed efficace a fini probatori il ‘ verbale di ritiro awp e contestuale riconoscimento del debito ‘ datato 8.11.2012 , così onerando esso ricorrente della prova della riconducibilità dei pagamenti dallo stesso effettuati nel 2011 , ribaltando l’onere probatorio tra le parti . Ciò tanto più che la tesi della intimante, secondo cui la richiesta di € 48.480, 01 costituirebbe un residuo della originaria somma di € 71.861,15, ‘ cozza con la documentazione versata nei giudizi attestante in maniera inequivocabile l’integrale saldo ‘. Conseguentemente, spettava alla società intimante ‘ dimostrare il rapporto
N. 10717/23 R.G.
giuridico sottostante rispetto alla scrittura del 2012 ‘. La sentenza impugnata, dunque, ‘ risulta essere il frutto di una complessiva e radicale omessa valutazione di tutti i fatti e di tutte le prove emerse nel giudizio di prime cure ‘.
2.1 Preliminarmente, va rilevata l’inammissibilità della ‘memoria difensiva’ depositata da Sisal Gaming RAGIONE_SOCIALE.r.lRAGIONE_SOCIALE solo in data 5.4.2024, non avendo essa previamente depositato il controricorso nel termine di quaranta giorni dalla notifica del ricorso, nella specie avvenuta il 20.5.2023: tanto prevede il vigente art. 370 c.p.c., come novellato dal d.lgs. n. 149/2022, applicabile ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere dal 1° gennaio 2023 (come quello che occupa), ai sensi dell’art. 35, comma 5, d.lgs. cit.. Così, infatti, recita il citato art. 370, comma 1, c.p.c. : ‘ La parte contro la quale il ricorso è diretto, se intende contraddire, deve farlo mediante controricorso da depositare entro quaranta giorni dalla notificazione del ricorso. In mancanza, essa non può presentare memorie, ma soltanto partecipare alla discussione orale ‘.
Pertanto, poiché il ricorso in esame è stato avviato alla decisione secondo lo schema dettato dall’art. 380 -bis. 1 c.p.c., ne consegue che la predetta società ha perduto per sua scelta la facoltà di contraddire, non essendo ovviamente prevista la discussione nell’ambito dell’adunanza camerale , posto che, ai sensi del comma 1, ultimo periodo, di detta disposizione, ‘ La Corte giudica senza l’intervento del pubblico ministero e delle parti ‘ (in termini, sull’inammissibilità delle difese successive al controricorso irritualmente prodotto: Cass. ordd. nn. 17030/2021 e 34791/2021; con specifico riferimento al mancato deposito di controricorso nel rito introdotto dal d.lgs. 149/2022: Cass. ord. n. 8678/2025).
N. 10717/23 R.G.
3.1 Ciò posto, il primo motivo è inammissibile per totale difetto di autosufficienza. Con esso, infatti, si propugna assertivamente la pretesa aspecificità del gravame al tempo proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, ma non si riproduce il contenuto dello stesso, nemmeno con adeguata forma riassuntiva, come da consolidata giurisprudenza di questa Corte (v. per tutte Cass. n. 3612/2022), donde l’inammissibilità del mezzo .
4.1 Anche il secondo motivo è inammissibile.
Benché la contestata affermazione della Corte messinese circa la presenza del documento ‘ verbale di ritiro awp e contestuale riconoscimento del debito ‘ datato 8.11.2012 nel fascicolo di parte di primo grado dell’ intimante opposta, al l’atto della decisione di primo grado, sia suscettibile di censura col ricorso per cassazione, e non già con la revocazione ex art. 395 n. 4 c.p.c., trattandosi di fatto di cui le parti hanno discusso nel giudizio d’appello, il mezzo difetta di specificità e, ancora, di autosufficienza.
Invero , la Corte d’appello ha rilevato che detto documento, in quanto non disconosciuto dal Gerbino nelle forme previste dal codice di rito, era idoneo ad assurgere a piena prova della ricognizione di debito ed in tal guisa l’ha utilizzato . Il ricorrente, lungi dal censurare una simile ratio decidendi (v. ricorso, p. 12: ‘ Al di là della tempestività del disconoscimento … ‘) , nonché dal dolersi della superiore affermazione circa la mancata (erroneamente, secondo la stessa Corte d’appello ) valutazione del documento stesso da parte del primo giudice, incentra la propria doglianza, col mezzo qui in esame, sul preteso dovere del giudice del merito di sospendere il giudizio civile, in attesa della definizione del processo penale derivante dalla proposizione, da parte sua, di un esposto-querela in
N. 10717/23 R.G.
ordine alla falsità della propria firma in calce al detto documento, onde evitare il possibile ‘ conflitto fra giudicati ‘ .
Il mezzo, però – anche a prescindere, in prima battuta, da ogni considerazione sulla possibilità, per il giudice civile, di sospendere il giudizio per pregiudizialità rispetto al pendente procedimento penale per i medesimi fatti in rilievo – difetta di autosufficienza ed è, anzi, criptico, in ordine all ‘oggetto del procedimento penale pendente dinanzi al Tribunale di Messina, non risultando affatto chiaro, dal tenore del mezzo stesso, se la relativa notizia di reato andasse individuata nel proprio espostoquerela, oppure nella denuncia per calunnia all’esito ricevuta dal COGNOME: dalla lettura del motivo, cioè, non si comprende contro chi si procedesse in quella sede e per quale ipotesi di reato. Solo in memoria, peraltro, il ricorrente dissolve il dubbio (senza nulla riferire sulle vicende processuali conseguenti al proprio esposto), ivi essendosi dato atto che esso COGNOME è stato assolto dall’imputazione di calunnia -nell’ ipotesi accusatoria, commessa con la presentazione del proprio esposto ai sensi dell’art. 530, com ma 1, c.p.p., perché il fatto non sussiste, ma senza neppure dar conto degli eventuali sviluppi successivi del procedimento penale.
Il che a parte l’inidoneità della memoria a colmare il deficit contenutistico del ricorso, rilevante ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c. – conferma in realtà la distonicità del mezzo in esame, perché si pretenderebbe di configurare una pregiudizialità necessaria (da cui deriverebbe, in thesi , il dovere di sospendere ex art. 295 c.p.c.) non già tra il presente giudizio civile e un procedimento penale avente ad oggetto il preteso falso materiale, bensì tra il giudizio stesso e un processo per calunnia a carico dell’odierno ricorrente , i cui esiti giammai
N. 10717/23 R.G.
potrebbero portare alla eliminazione dal mondo giuridico degli effetti rappresentativi del documento in questione (arg. ex Cass. n. 2524/2006). In altre parole, l’accertamento (non è noto se definitivo) circa la mancanza di responsabilità penale del COGNOME in ordine al reato di calunnia (relativamente alla presentazione dell’esposto concernente la pretesa falsità della firma apposta sul documento in questione) non implica un indefettibile collegamento con gli esiti del presente giudizio, che è legato al primo, a tutto concedere, da mera pregiudizialità in senso logico, non anche da pregiudizialità in senso tecnicogiuridico , la sola che giustificherebbe l’adozione del provvedimento di sospensione ex art. 295 c.p.c. (si veda, per tutte, Cass. n. 12999/2019).
Pertanto, la scelta processuale di non censurare la statuizione della Corte peloritana circa il mancato disconoscimento della scrittura privata in parola e, dunque, la sua piena utilizzabilità, finisce col riverberarsi – ulteriormente, a parte il già evidenziato deficit espositivo – sulla stessa ammissibilità della censura qui in esame, perché a tal punto del tutto aspecifica.
5.1 Il terzo motivo è parimenti inammissibile, per violazione del vigente art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.
Invero, il ricorrente sostiene di aver prodotto documentazione da cui – come in effetti ritenuto dal primo giudice era senz’altro evincibile che il credito precettato era stato ampiamente estinto alla data di notifica del precetto.
Senonché, detti documenti sulla cui rilevanza, ai fini dell’accoglimento del mezzo, è persino superfluo discutere – non sono stati specificamente indicati nel ricorso nel rispetto della citata disposizione, così non consentendo a questa Corte, sulla scorta della mera lettura del ricorso stesso, di valutare la decisività
N. 10717/23 R.G.
della censura; né rileva, peraltro, ogni altra questione circa la mancata notificazione, col precetto, della ricognizione di debito del 2012, posto che, per la stessa Corte messinese, è inequivoco che l’unico titolo esecutivo per cui si minacciava l’esecuzione forzata era costituito dall’atto di costituzione di ipoteca volontaria, regolarmente notificato al Gerbino.
6.1 Anche il quarto motivo, infine, è inammissibile, sotto plurimi profili.
Anzitutto, possono qui richiamarsi gli argomenti relativi al motivo precedente, posto che anche il mezzo qui in esame si fonda su detti documenti, non ritualmente indicati.
Inoltre, rileva anche qui la mancata impugnazione dell’affermazione circa l’utilizzabilità nel presente giudizio della ricognizione di debito, perché non disconosciuta (v. par. 4.1).
Infine, deve aggiungersi che il mezzo, laddove si denuncia la radicale omessa valutazione, da parte del giudice d’appello, dell’intero compendio istruttorio emerso nel giudizio di primo grado, si rivela ulteriormente inammissibile, perché non in linea con l’insegnamento di Cass., Sez. Un., n. 20867/2020 (e successiva giurisprudenza conforme), circa la giustiziabilità, in questa sede di legittimità, della pretesa violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e/o 116 c.p.c., questione sostanzialmente richiamata con la censura in discorso.
7.1 In definitiva, il ricorso è inammissibile. Nulla va disposto sulle spese di lite, stante l’inammissibilità d i tutta l’attività defensionale svol ta in questa sede dalla RAGIONE_SOCIALE
N. 10717/23 R.G.
In relazione alla data di proposizione del ricorso (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente ed al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data