Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8046 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8046 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1185/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
COGNOME
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI MILANO n. 1304/2020, depositata il 29/05/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 dicembre 2024 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il giudizio trae origine dalla domanda con la quale COGNOME NOME, in qualità di titolare dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE, chiese al Tribunale di Milano di condannare COGNOME NOME al pagamento della somma di € 87.120,00, quale saldo dell’importo dovuto a titolo di provvigione per l’attività di mediazione svolta in relazione alla vendita di un terreno edificabile sito in Milano, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
L’attrice , quale agente immobiliare iscritta al Ruolo dei Mediatori di Milano, espose di aver ricevuto, in data 27.3.2009, l’incarico di mediazione da parte di COGNOME NOME, al fine dell’individuazione di un acquirente di un’area edificabile situata in INDIRIZZO Milano, concordando un compenso pari al 3% del prezzo di vendita.
Il 10.11.2011 venne stipulato un contratto preliminare di compravendita immobiliare tra Gorgoglione Damiana, in qualità di promittente venditrice, e la RAGIONE_SOCIALE, quale promissaria acquirente, per un prezzo di euro 2.650.000,00, sicché, secondo l’attrice, era maturato il suo diritto al compenso; lamentò, quindi, che la citata promittente venditrice, pur avendo già effettuato due pagamenti, non aveva, tuttavia, provveduto al saldo del compenso totale, pari alla suddetta somma di € 87.120,00.
1.1. NOME COGNOME si costituì in giudizio ed eccepì, in via preliminare, la prescrizione del diritto dell’attrice, sostenendo che nessun valido atto interruttivo della prescrizione fosse stato ricevuto entro l’anno dalla conclusione del contratto preliminare.
Nel merito, sostenne che il promissario acquirente era stato individuato da altro agente immobiliare di fiducia della RAGIONE_SOCIALE, COGNOME Bruno, e non dall’attrice, la quale si sarebbe limitata ad assistere essa promittente venditrice nelle operazioni prodromiche
alla stipula del preliminare (studio di fattibilità dell’edificazione del terreno e assistenza per le opere di bonifica) e che, pertanto, i pagamenti già eseguiti si sarebbero dovuti ritenere da imputare alla realizzazione di tali attività in senso satisfattivo.
1.2. Il Tribunale di Milano accolse la domanda.
1.3. La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 1304/2020, confermò la sentenza di primo grado.
In primo luogo, la Corte territoriale rigettò l’eccezione di prescrizione in quanto vi era stato, da parte di COGNOME NOME, un inequivoco riconoscimento del debito costituito dal pagamento di due fatture che avevano come specifica causale ‘acconto su mediazione’.
Nel merito, parte attrice aveva fornito la prova del proprio credito producendo l’incarico di mediazione, avente ad oggetto ‘l’area attualmente in zona verde pubblico in fase di trasformazione’, ed il contratto preliminare di compravendita relativo al terreno oggetto dell’incarico di mediazione, oltre alle fatture regolarmente registrate con la causale di acconto sulla mediazione riferita al contratto preliminare di vendita. Tali elementi furono ulteriormente confermati dalla testimonianza resa dalla segretaria di COGNOME NOMECOGNOME la quale aveva dichiarato di aver fissato diversi appuntamenti con RAGIONE_SOCIALE e di essere a conoscenza del fatto che la stessa COGNOME NOME intratteneva contatti per questioni relative al terreno edificabile.
A fronte di tale materiale probatorio, le prove volte a dimostrare che detti pagamenti fossero riferibili ad altri rapporti erano generiche e non superate dalla tesi, sostenuta dalla COGNOME NOME, secondo cui l’attività di mediazione sarebbe stata svolta da altro agente immobiliare, che era rimasta sfornita di prova.
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza della Corte d’appello sulla base di cinque motivi.
2.1. Il Consigliere Delegato, ritenendo che il ricorso fosse manifestamente infondato, con provvedimento depositato il 12/03/2024 ha proposto la definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., nel testo introdotto dal d.lgs. n. 149 del 2022. 2.2. Alla proposta di definizione anticipata, regolarmente comunicata alle parti, è seguita la richiesta di decisione avanzata da COGNOME NOME ex art. 380-bis, comma 2, cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denuncia l’omesso esame del fatto -asseritamente decisivo – relativo al momento del pagamento delle fatture, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.; secondo la ricorrente, il pagamento in sé non sarebbe idoneo a costituire un atto di riconoscimento del debito e, dunque, a interrompere il termine prescrizionale, se esso non sia immediatamente conseguente alla richiesta a tal scopo avanzata dal creditore. Perché vi fosse riconoscimento del debito, la Corte d’appello avrebbe dovuto accertare che le fatture erano state consegnate prima del pagamento mentre, nel caso di specie, le fatture riportavano la stessa data di esecuzione dei pagamenti.
1.1. Il motivo è inammissibile in quanto, ai sensi dell’art. 348 -ter, ultimo comma, c.p.c. (‘ratione temporis’ applicabile) , in caso di doppia conforme è preclusa la censura del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c. (v., per tutte, Cass. n. 7724/2022).
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha richiamato la sentenza del Tribunale nella parte in cui ha rigettato l’eccezione di prescrizione in quanto vi era stato da parte di COGNOME NOME un inequivoco riconoscimento del debito, costituito dal pagamento delle due fatture,
che avevano come specifica causale ‘acconto su mediazione rif. Vendita area in Milano – INDIRIZZO come da compromesso notarile 10.11.2011′.
Si tratta, quindi, di un caso di doppia conforme in quanto la motivazione della Corte d’Appello risulta fondata sulle medesime ragioni inerenti le questioni di fatto.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce l’omessa e/o meramente apparente motivazione, in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., in relazione al punto centrale della controversia, attinto con il primo motivo d’appello, con il quale era stato dedotto che non vi fosse la prova che le fatture fossero state consegnate. Inoltre, la Corte d’appello avrebbe attribuito rilievo all’omessa contestazione, da parte della ricorrente, alla lettera di messa in mora del 6.12.2012, mentre il principio di non contestazione non avrebbe potuto riferirsi agli atti extragiudiziari. Del tutto immotivato sarebbe stato il rigetto delle prove articolate dalla ricorrente, volte a provare la diversa imputazione dei pagamenti effettuati.
2.1. Il motivo è infondato.
In materia di vizio di motivazione, le Sezioni unite, con la sentenza n. 8053/ 2014, hanno affermato che la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n.5 disposta dal D.L. 22.6.2012, n.83, art. 54, convertito nella L. 7.8.2012, n.134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si traduce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’.
Poiché la sentenza, sotto il profilo della motivazione, si sostanzia nella giustificazione delle conclusioni, oggetto del controllo in sede di legittimità è la plausibilità del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze ovvero nell’ipotesi in cui le argomentazioni siano svolte con passaggi logici talmente incongrui da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (C assazione civile Sez. U, 30/01/2023, n. 2767; Cass. n. 6758 del l’1/3/ 2022; Sez. U, Sentenza n. 22232 del 3/11/2016; Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016; Cass. n. 6758 del l’1/3/ 2022).
Nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata è ampiamente satisfattiva del principio del c.d. minimo costituzionale della motivazione, avendo la Corte d’appello illustrato le ragioni in base alle quali doveva reputarsi che il pagamento operato dalla ricorrente in favore della controparte valesse anche quale riconoscimento del diritto e fosse quindi idoneo a determinare l’interruzione della prescrizione.
La Corte territoriale ha sottolineato, in particolare, che l’indicazione nelle fatture del fatto che i pagamenti fossero stati imputati ad acconto del maggiore importo della provvigione, il cui saldo è stato richiesto nel presente giudizio, anche a voler escludere che fosse stata preventivamente comunicata alla ricorrente, era stata successivamente specificata nella lettera di messa in mora del 6.12.12, senza che però tale specificazione fosse stata oggetto di contestazione prima dell’introduzione del giudizio.
La sentenza impugnata consente di cogliere l ‘iter logico della decisione sia in relazione al riconoscimento del debito, sia in ordine all’imputazione del pagamento delle due fatture
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2944 c.c. in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; la ricorrente sostiene che solamente il pagamento conseguente alla specifica richiesta avanzata dal creditore o, comunque, accompagnato da precisa imputazione o manifestatosi con un atto incompatibile con la volontà di disconoscere la richiesta del creditore, possa costituire riconoscimento del debito idoneo ad interrompere il termine prescrizionale, deducendo, pertanto, che la Corte d’Appello avrebbe omesso di effettuare tale accertamento.
3.1. Il motivo è infondato.
3.2. Questa Corte ha affermato che il pagamento in acconto di un debito non implica necessariamente, di per sé, rinuncia alla prescrizione, ove maturata, sebbene possa essere interpretato dal giudice di merito, insieme agli altri elementi istruttori, alla stregua di un atto incompatibile con la volontà di avvalersene (Cass. n. 41489/2021; Cass. n. 7820/2017).
Nella vicenda in esame, il giudice di appello, senza arrestarsi alla sola dizione indicata nelle fatture, ha individuato altri elementi, quali la mancata contestazione della ricorrente rispetto al contenuto della missiva del dicembre del 2012, dai quali inferire la portata interruttiva del pagamento parziale, in quanto effettivamente corrispondente ad un versamento in acconto del maggior credito vantato dalla mediatrice.
Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. perché COGNOME NOME non avrebbe contestato di aver svolto attività diverse da quella di mediazione in favore della ricorrente, in relazione alle quali sarebbe stato da imputare il pagamento.
4.1. Il motivo è infondato perché, sotto lo schermo della violazione di legge, contesta l’apprezzamento, basato su elementi di fatto, in ordine all’impossibilità di riferire il pagamento intervenuto ad un affare diverso da quello invece dedotto in giudizio.
Il motivo si risolve, quindi, in una inammissibile rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (v., ad es., Cass. n. 8758/2017).
Con il quinto motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza e del procedimento ‘per l’ammissione della produzione documentale tardiva effettuata oltre il termine perentorio di cui all’art. 183, comma 6, n.2, c.p.c. e/o violazione dell’art. 183, comma 6, n.2, c.p.c., in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4 e 3 c.p.c.’; si deduce che il Tribunale aveva ammesso la produzione dell’estratto autenticato dal notaio del registro iva, in cui risultavano le due fatture di pagamento, solo con il deposito della terza memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c.
5.1. Il motivo è inammissibile perché dedotto per la prima volta nel presente giudizio di cassazione, mentre, trattandosi di violazione delle regole delle preclusioni processuali per la tardiva produzione di documenti in primo grado, avrebbe dovuto formare oggetto di uno specifico motivo di appello dal momento che i motivi di nullità della sentenza si convertono in motivi di impugnazione.
Questa Corte (v., tra le tante, Cass. n. 6762/2021) ha, infatti, affermato che la pronuncia d’ufficio del giudice di primo grado su una questione processuale per la quale è prescritto un termine di decadenza o il compimento di una determinata attività – in difetto di espressa previsione normativa della rilevabilità ‘in ogni stato e grado’ ed escluse le ipotesi di vizi talmente gravi da pregiudicare interessi di rilievo costituzionale -deve avvenire entro il grado di giudizio nel
quale essa si è manifestata. Ne consegue che, qualora il giudice di primo grado abbia deciso la controversia nel merito, omettendo di pronunciare d’ufficio sulla questione, resta precluso l’esercizio del potere di rilievo d’ufficio sulla stessa, per la prima volta, tanto al giudice di appello quanto a quello di Cassazione, ove non sia stata oggetto di impugnazione o non sia stata ritualmente riproposta, essendosi formato un giudicato implicito interno, in applicazione del principio di conversione delle ragioni di nullità della sentenza in motivi di gravame previsto dall’art. 161 c.p.c. Ne deriva che, in assenza della indicazione di un motivo di appello volto a denunciare la tardiva produzione documentale, la questione non può essere posta nuovamente in questa sede.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
6.1. Nessuna statuizione deve essere adottata sulle spese non avendo l’intimata svolto attività difensiva nella presente sede.
6.2. Essendo la decisione stata resa nel procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ. (novellato dal D. Lgs. n. 149 del 2022), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e d essendo il giudizio stato definito in conformità alla proposta, parte ricorrente deve essere, inoltre, condannata al pagamento delle ulteriori somme ex art. 96, comma 4 c.p.c., come liquidate in dispositivo (sulla doverosità del pagamento della somma di cui all’art. 96, comma 4 c.p.c. in favore della Cassa delle ammende: Cass. S.U. n. 27195/2023).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del DPR 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento -ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c. – della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del DPR 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della stessa ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione