Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7387 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7387 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17308/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante legale, NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE), pec: EMAIL;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo procuratore speciale e legale rapp.te pro tempore , COGNOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA,INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 1026/2020 depositata il 04/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza n. 661/2015, il Tribunale di Benevento accoglieva l’opposizione della RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto n. 417/2009 con cui le era stato ingiunto il pagamento di euro 50.456,01 a favore della società RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, per il mancato pagamento della fornitura di energia elettrica erogata all’immobile sito in Benevento, revocava il decreto ingiuntivo opposto e rideterminava il credito dell’ingiungente in euro 44.662,04.
Per quanto ancora rileva in questa sede, il Tribunale riteneva che la opponente avesse riconosciuto il proprio debito, che ciò fosse comprovato dalla richiesta di rateizzazione e che fossero stati contabilizzati gli effettivi consumi, ma riconosceva che per un certo periodo non fossero stati applicati i prezzi di salvaguardia.
La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza n. 1026/2020, resa pubblica in data 4/03/2021, ha rigettato l’appello della RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando due motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.;
La ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1988 cod.civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.
Attinta da censura è la statuizione confermativa di quella del Tribunale quanto alla sussistenza di un riconoscimento di debito
anche con riferimento ai consumi effettuati, conseguente al rigetto dell’assunto difensivo fondato sul fatto che con la comunicazione dell’ottobre 2008 non aveva affatto riconosciuto il debito e che aveva chiesto la rateizzazione esclusivamente per evitare la interruzione della fornitura.
A tale scopo adduce che la ricognizione di debito non era uscita dalla sua sfera giuridica, essendo stata la comunicazione dell’ottobre 2008 sottoscritta dal suo rappresentante legale e che, stando alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 2104/2012), la dichiarazione unilaterale, con la quale ci si riconosca debitori, perché possa spiegare i suoi effetti, ‘è necessario che sia emessa direttamente dall’obbligato al creditore, senza intermediazioni, con lo specifico intento del primo di costituirsi debitore del secondo e la conseguente produzione della sua efficacia nel momento in cui venga a conoscenza del promissario la volontà del mittente di obbligarsi nei suoi confronti. Da ciò deriva che nessuna presunzione può sussistere a beneficio del preteso promissario nel caso in cui la ricognizione ed il riconoscimento del debito siano avvenuti per interposta persona, restando irrilevante che il documento che li contenga venga ugualmente a conoscenza, seppure indirettamente, del presunto creditore’.
Il motivo è inammissibile.
Il principio di diritto evocato dalla ricorrente è corretto ed è stato confermato anche di recente da questa Corte, nondimeno, non è pertinente e non è dirimente, perché la Corte d’appello (cfr. p. 6 della sentenza) ha chiarito che le fatture insolute legittimavano l’emissione del provvedimento monitorio e che nel giudizio di opposizione hanno efficacia fino a prova contraria, ‘potendo essere disattese solo in presenza di circostanziate contestazioni …’; tali non erano quelle contenute nella missiva dell’ottobre 2008, perché generiche e inidonei a fornire la prova contraria; ha aggiunto che l’argomento difensivo della omessa comunicazione dei consumi da
parte dell’appellante era smentito ‘dalle somme versate, in acconto, dalla società appellante, come correttamente rilevato dal primo giudice, il quale, conseguentemente, riteneva, con motivazione del tutto condivisibile, che tale pagamento costituiva un riconoscimento del debito e, implicitamente, dei consumi rilevati’; ha precisato che, ‘a prescindere dalla correttezza, o meno, della interpretazione della missiva in questione, effettuata dal giudice di primo grado’, l’opposizione era ‘carente sia in punto di allegazione che di prova’.
In altri termini, la Corte d’appello non ha preso posizione sulla qualificazione della comunicazione dell’ottobre 2008 e anche quando si riferisce alla ricognizione di debito assume come termine di riferimento il pagamento di un acconto e non già la missiva dell’ottobre 2008; il che condanna all’inammissibilità il motivo, perché esso non è correlato ad alcuna statuizione della sentenza qui impugnata.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2697 cod.civ.
La sua tesi, una volta escluso che la comunicazione dell’ottobre 2008 producesse gli effetti della ricognizione di debito, è che la Corte d’appello abbia posto l’onere della prova del credito a suo carico piuttosto che a carico della somministrante, la quale si era limitata a produrre in giudizio le bollette e le scritture contabili, le quali erano sufficienti per ottenere il provvedimento monitorio, ma in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, a fronte della contestazione dell’opponente, avrebbe dovuto dimostrare la effettività e la congruità dei consumi contabilizzati rispetto a quelli effettivi.
Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità, quando ha affermato che la somministrante aveva dalla sua la presunzione di veridicità dei
consumi rilevati attraverso il contatore: cfr., ex multis , Cass. 09/01/2020, n. 297, secondo cui quando i consumi sono rilevati attraverso un contatore, pur dovendo la somministrante nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo provare il proprio credito con gli ordinari mezzi di prova, a suo favore è posta una presunzione di veridicità dei consumi rilevati dal contatore, quale strumento deputato alla misurazione dei consumi, accettato consensualmente dai contraenti come meccanismo di contabilizzazione; detta pronuncia, seguita da giurisprudenza conforme, ha poi provveduto a precisare il contenuto dell’onere probatorio a carico del somministrato che intenda vincere la suddetta presunzione, secondo che denunci il malfunzionamento del contatore o imputi il consumo all’attività interferente di terzi.
La ricorrente non ha contestato il malfunzionamento del contatore né ha allegato e dimostrato che l’eccessività dei consumi era stata determinata da fattori esterni al suo controllo (cfr. p. 7 della sentenza), né -come sostiene la Corte d’appello – avrebbe potuto supplire alla mancanza di allegazione e prova delle circostanze suddette attraverso gli esiti della CTU meramente esplorativa.
Deduce -ma lo fa -in maniera assolutamente assertiva e, quindi, in palese violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366, 1° comma, n. 6 cod.proc.civ., che i consumi non erano stati conteggiati attraverso il contatore, ma attraverso il numero di kilovattori e senza precisare la fonte degli stessi, e che quindi non era possibile applicare la giurisprudenza relativa alla presunzione di veridicità dei consumi rilevati attraverso il contatore.
3) Si deve rilevare che la memoria depositata dalla società ricorrente non può essere considerata tale, perché non assolve alla funzione sua propria di illustrare e chiarire i motivi di impugnazione o quella di confutare le tesi avversarie (Cass. 25/02/2015, n. 3780; Cass. 29/03/2016, n. 7237; Cass. 20/12/2016, n. 26332; Cass.
31/03/2021, n. NUMERO_DOCUMENTO), atteso che la ricorrente ha dichiarato esclusivamente di volersi riportarsi all’atto di impugnazione.
Il ricorso, per quanto esposto, va rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile