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Ricognizione di debito: la prova spetta al debitore

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26240/2024, ha affrontato un caso di licenziamento e una richiesta di risarcimento danni. Mentre ha confermato l’illegittimità del licenziamento di un autista per assenze ingiustificate, ritenendo legittimo il suo rifiuto a un trasferimento comunicato senza preavviso, ha ribaltato la decisione sul risarcimento danni. La Corte ha stabilito che una dichiarazione scritta del lavoratore, in cui ammetteva la propria responsabilità per un danno, costituisce una ricognizione di debito. Di conseguenza, inverte l’onere della prova: spetta al lavoratore (debitore) dimostrare l’inesistenza del debito, e non al datore di lavoro (creditore) provarne il fondamento.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Ricognizione di debito: a chi spetta l’onere della prova?

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 26240/2024, offre importanti chiarimenti su due distinti temi del diritto del lavoro: la legittimità del rifiuto di un trasferimento da parte del dipendente e, soprattutto, gli effetti di una ricognizione di debito firmata dal lavoratore. Se da un lato la Corte ha confermato la tutela del lavoratore di fronte a un ordine aziendale illegittimo, dall’altro ha precisato in modo netto le conseguenze probatorie di un’ammissione di responsabilità per un danno.

I Fatti di Causa

La vicenda riguarda un autista di una ditta di trasporti, licenziato per assenze ingiustificate. Tali assenze erano la conseguenza del suo rifiuto di prendere servizio in una nuova sede, un trasferimento che l’azienda gli aveva comunicato senza rispettare il termine di preavviso di un mese previsto dal contratto collettivo nazionale.

Parallelamente, l’azienda aveva chiesto al lavoratore un risarcimento di circa 7.000 euro per un danno avvenuto mesi prima: l’autista, con una dichiarazione scritta, aveva ammesso di aver provocato lo scongelamento di merce in una cella frigorifera per una sua distrazione.

La Corte d’Appello aveva dato ragione al lavoratore su entrambi i fronti: aveva annullato il licenziamento, giudicando legittimo il rifiuto al trasferimento illegittimo, e aveva respinto la richiesta di risarcimento, sostenendo che l’azienda non avesse adeguatamente provato l’esistenza e l’ammontare del danno, nonostante la dichiarazione firmata dal dipendente.

La Decisione della Cassazione sulla Ricognizione di Debito

La Suprema Corte ha analizzato separatamente i due aspetti della controversia.

Per quanto riguarda il licenziamento, ha confermato la decisione dei giudici di merito. L’azienda, avendo qualificato l’ordine come un “trasferimento”, era vincolata a rispettarne le regole, incluso il preavviso. La sua violazione ha reso legittimo il rifiuto del lavoratore (la cosiddetta eccezione di inadempimento), rendendo di conseguenza ingiustificate le assenze contestate e nullo il licenziamento.

La vera svolta, però, si è avuta sulla richiesta di risarcimento. La Cassazione ha accolto il ricorso dell’azienda su questo punto, cassando con rinvio la sentenza d’appello. Il principio chiave risiede nella natura giuridica della dichiarazione scritta del lavoratore.

Le Motivazioni

I giudici hanno qualificato la dichiarazione dell’autista come una ricognizione di debito ai sensi dell’art. 1988 del Codice Civile. L’effetto tipico di tale atto non è creare un nuovo debito, ma produrre un'”astrazione meramente processuale della causa debendi”.

In parole semplici, questo significa che si verifica un’inversione dell’onere della prova (relevatio ab onere probandi). Non è più il creditore (il datore di lavoro) a dover dimostrare l’esistenza del rapporto da cui deriva il suo credito (cioè il danno, la sua causa e il suo ammontare). Al contrario, è il debitore (il lavoratore che ha firmato la dichiarazione) a dover provare che il debito non è mai sorto, è invalido o si è già estinto.

La Corte d’Appello aveva quindi errato nel pretendere che fosse l’azienda a fornire ulteriori prove del danno, onerando di fatto la parte che la legge, in presenza di una ricognizione di debito, intendeva invece sollevare da tale incombenza.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale con importanti implicazioni pratiche. Una dichiarazione scritta in cui si ammette una responsabilità economica ha un peso legale significativo. Essa dispensa il creditore dal dover provare il proprio diritto, spostando l’intero onere probatorio sul debitore. Per quest’ultimo, contestare il debito riconosciuto diventa molto più difficile: dovrà fornire prove concrete per dimostrare l’inesistenza o l’invalidità del rapporto fondamentale. La sentenza, pur tutelando il lavoratore da un licenziamento illegittimo, riafferma il principio di auto-responsabilità e le precise conseguenze legali che derivano da un’ammissione di colpa formalizzata per iscritto.

Qual è l’effetto principale di una ricognizione di debito scritta?
L’effetto principale, secondo l’art. 1988 c.c., è l’inversione dell’onere della prova. Il creditore che possiede tale dichiarazione è dispensato dal provare l’esistenza del rapporto fondamentale che ha generato il debito. Sarà il debitore a dover dimostrare il contrario.

Può un lavoratore rifiutarsi di obbedire a un ordine di trasferimento?
Sì, ma solo se l’ordine è illegittimo. Nel caso esaminato, il datore di lavoro non aveva rispettato il termine di preavviso previsto dal CCNL. Questo inadempimento ha reso legittimo il rifiuto del lavoratore, configurando una legittima eccezione di inadempimento.

In caso di richiesta di risarcimento basata su una ricognizione di debito, chi deve provare il danno?
La Corte di Cassazione chiarisce che non è il creditore a dover provare il danno. La ricognizione di debito fa presumere l’esistenza del rapporto sottostante fino a prova contraria. Spetta quindi al debitore che ha firmato la dichiarazione fornire la prova che il debito non esiste, è invalido o è stato estinto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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