Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15374 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15374 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 28543 del RG/2020, proposto da
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO , per procura speciale in atti;
-ricorrente –
-contro-
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., e per essa la mandataria RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata presso l’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende, per procura speciale in atti;
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 1561/2019 della Corte d’appello di Bari, pubblicata il 9.07.2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10.04.2024 dal Cons. rel., dottAVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Con sentenza del 5.1.2016, il Tribunale di Bari, in parziale accoglimento dell’opposizione propos ta dalla RAGIONE_SOCIALE e da NOME COGNOME avverso il decreto ingiuntivo emesso nel 2002 nei loro confronti- rispettivamente in qualità di debitore principale e garante- per la somma di euro 143.655,79, quale saldo del conto corrente al 31.12.1993, maggiorato dagli interessi al tasso convenzionale sino al 23.9.2002, revocava il decreto opposto, condannando gli opponenti, in solido, al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE, della somma di euro 66.178,46, nei limiti della fideiussione prestata dal COGNOME, respingendo la domanda di risarcimento dei danni proposta dagli opponenti.
La RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME proponevano appello; si costituiva la RAGIONE_SOCIALE, in qualità di procuratrice della RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima cessionaria dei crediti di RAGIONE_SOCIALE in virtù di cessione in blocco, proponendo altresì appello incidentale per il rigetto dell’opposizione o, in subordine, per la condanna degli appellanti al pagamento della somma ingiunta, al netto del versamento di lire 13.317.212 o in subordine, della somma di lire 81.059,67.
Con sentenza del 9.7.2019, la Corte territoriale accoglieva l’appello principale -rigettato l’incidentale -e, in parziale accoglimento dell’opposizione al decreto ingiuntivo, revocava quest’ultimo, e
condannava gli opponenti, in solido, a pagare all’RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 33.516,87 oltre interessi, osservando che era corretta la sentenza impugnata nella parte in cui aveva escluso il carattere novativo dell’accordo consistente nell’atto notarile denominato ‘consenso ad iscrizione di ipoteca’ del 14.7. 1994, trattandosi piuttosto di una ricognizione di debito.
Secondo la Corte di appello, con l’atto in questione la RAGIONE_SOCIALE, premesso di aver ottenuto finanziamenti da diversi istituti di credito, tra cui la RAGIONE_SOCIALE, dante causa dell’originaria attrice, e di essere debitrice, al 31.12.1993, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, per lire 207.000.00 a titolo di saldo passivo del conto corrente, e della disponibilità espressa da tali istituti in data 23.6.1994, si era impegnata ad estinguere i finanziamenti in cinque anni, mediante periodici versamenti trimestrali dal 31.12.1994, ed entro il 31.12.1999, al tasso del prime rate ABI più lo 0,50%.
Tale atto aveva consentito l’iscrizione d’ipoteca su di un immobile di sua proprietà a garanzia dei suoi debiti e conteneva la rinuncia ad eventuali azioni di ripetizione di interessi e commissioni addebitati in misura superiore a quella concordata per gli anni 1992 e 1993.
L ‘espressa ricognizione della situazione debitoria dell’appellante, collocata nella premessa dell’atto, nonché la conferma, da parte della debitrice, della sua corrispondenza alle scritture contabili, e l’assunzione dell’obbligo di restituire le somme dovut e a ciascuno degli istituti di crediti, erano tutti elementi che, nel loro complesso, costituivano la chiara manifestazione della volontà di mantenere fermi i precedenti rapporti obbligatori; inoltre, a tale riconoscimento del debito pregresso non si contrapponeva alcuna dichiarazione volta all’estinzione delle obbligazioni e alla costituzione di un nuovo rapporto; né rilevava, in senso contrario, il fatto che nella premessa
della dichiarazione, si desse atto della disponibilità, da parte delle banche, ad una dilazione di pagamento in versamenti trimestrali per cinque anni, né l’indicazione di un nuovo tasso d’interesse per tali versamenti, attesa la portata accessoria di tali condizioni, tale da non snaturare il carattere ricognitivo dell’atto .
L ‘atto in questione costituiva , piuttosto, un piano di rientro avente natura meramente ricognitiva del debito, che non ne aveva comportato l’estinzione, né la sostituzione con nuove obbligazioni, ed era diretto solo a consentire una dilazione dei pagamenti relativi ad una pregressa, e non modificata, obbligazione, a fronte della concessione, da parte della debitrice, di una garanzia ipotecaria.
Erano pertanto da escludere sia la natura transattiva dell’atto in questione, non ravvisandosi nessuna rinuncia delle parti alle rispettive pretese al fine di prevenire una lite, sia la natura novativa, stante l’intento delle parti di mantenere ferma l’esposizione debitoria risultante dalle scritture contabili.
D alla qualificazione dell’atto come ricognizione del debito conseguiva la validità e l’efficacia dell’eccezione di nullità sollevata dall’appellante, relativa alle clausole del contratto di conto corrente, in ordine alla capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori e al rinvio agli usi su piazza; pertanto, restavano assorbite le altre eccezioni di tardività dell’eccezione di annullamento della scrittura privata .
L ‘accertata nullità delle suddette clausole del cont ratto di conto corrente non determinava la nullità dell’intero contratto con la conseguenza che la domanda di pagamento dell ‘appellata non era priva di titolo.
A l riguardo, sin dall’introduzione del giudizio, la creditrice aveva dedotto l’esi stenza del rapporto di conto corrente, senza che rilevasse, in senso contrario, il fatto che essa avesse sostenuto, nel corso del
giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, la natura novativa dell’accordo del 14.7. 1994, in quanto, una volta riportato tale negozio giuridico nella sua categoria (ricognizione del debito), poiché l’opposta aveva comunque chiesto, seppure in subordine, accertarsi il dovuto, in caso di ritenuta invalidità delle clausole, era evidente che essa non avesse rinunciato a fondare la sua pretesa sul rapporto di conto corrente, in relazione al quale permaneva, dunque, il dovere del giudice di provvedere.
Circa il quantum , era da accogliere il secondo motivo dell’ appello principale, in quanto il Tribunale aveva errato nel porre a carico dell’opponente l’onere della prova dell’altrui credito, sul duplice presupposto che questi rivestisse la qualità di attore in riconvenzionale e di autore della ricognizione del debito; si doveva infatti distinguere al riguardo la posizione dell’opponente, quale convenuto in senso sostanziale rispetto alla domanda di pagamento formulata con il ricorso monitorio, da quella di attore rispetto alla domanda di risarcimento dei danni proposta in riconvenzionale, riguardo alla quale solo l’opponente era onerato dalla prova, ma il cui esame non era oggetto dell’appello . Nella specie, la ricognizione di debito, in virtù di astrazione processuale, produceva l’effetto di inversione dell’onere della prova sull’esistenza del rapporto obbligatorio sottostante, che però non incideva sulla posizione dell’autore della ricognizione; pertanto, avendo l’opponente dimostrato la nullità delle suddette clausole contrattuali, sulla base delle quali si era formato il debito oggetto del riconoscimento, gravava sull’opposta la prova del proprio credito, al netto delle somme indebitamente annotate in virtù delle clausole nulle. Dalla c.t.u. emergeva che il movimento della somma di lire 39.433.798 non corrispondeva ad un’operazione effettivamente compiuta dal correntista e non risultava dalle scritture contabili, essendo pacifica la
mancata produzione in giudizio degli estratti-conto e riassunti scalari dell’anno 1994 ; la posta era stata inserita dal C.t.u., quale differenza tra il saldo al 31.12.1994 e quello al 31.12.1993; tale annotazione non poteva però ritenersi corretta, poiché la mancanza degli estratti-conto impediva di accertare se tale somma inerisse esclusivamente agli interessi e, in ogni caso, quanta parte di essa fosse imputabile ad interessi e quanta invece a capitale.
Parimenti, circa la somma di lire 23.807.864, poiché la banca non aveva prodotto gli estratti-conto relativi al conto-anticipi, era precluso al giudice accertare a quale titolo tale somma fosse stata addebitata, ed in quale misura costituisse l’illegittima applicazione di clausole nulle . Sulla somma finale a credito della banca per euro 33.516,87 erano dovuti gli interessi al tasso ex art. 117 TUB, dalla domanda al saldo, esclusa l’applicabilità del tasso indicato nella ricognizione del debito , la cui efficacia vincolante era venuta meno, una volta accertata la nullità parziale del rapporto bancario, e la conseguente inesistenza di parte del debito oggetto del riconoscimento.
NOME COGNOME, sia quale fideiussore, sia quale cessionario della RAGIONE_SOCIALEin virtù dell’atto di esecuzione del riparto finale di liquidazione con assegnazione dei beni ai soci – ricorre in cassazione con tre motivi.
RAGIONE_SOCIALE e, per essa, la mandataria RAGIONE_SOCIALE, resiste con controricorso.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione dell’ art. 112 c.p.c., per aver la Corte d’appello ritenuto che l’atto notarile del 14.7. 1994 non costituisse novazione o transazione novativa, ma ricognizione del
debito la cui efficacia vincolante sarebbe venuta meno in ragione della comprovata nullità delle clausole del rapporto sottostante.
In particolare, il ricorrente rileva che la banca, costituendosi nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, nel richiedere, in subordine, nel caso di accoglimento parziale dell ‘opposizione, la revoca del decreto ingiuntivo e la condanna degli opponenti al saldo del conto corrente, aveva formulato una domanda nuova per causa petendi diversa rispetto all’atto novativo.
Il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 2697 c.c., 115, 116, c.p.c., per non aver la Corte d’appello ritenuto che la banca non avesse provato il proprio credito per l’incompletezza della documentazione.
Il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 91, 92, 112, c.p.c., per aver la Corte territoriale compensato le spese di entrambi i gradi di giudizio per i due terzi, ponendo la differenza a carico del ricorrente, in ragione della riduzione del debito oggetto di domanda, sebbene sia stato parzialmente accolto l’appello degli opponenti e rigettato l’appello incidentale della banca opposta. Pertanto, il ricorrente lamenta la violazione del principio di soccombenza e di causalità.
Il primo motivo è inammissibile in quanto diretto a ribaltare l’interpretazione della Corte d’appello circa la natura di ricognizione di debito dell’atto notarile del 14.7. 1994. Invero, il ricorrente deduce violazione dell’art.112 cod.proc.civ. ma censura interpretazione e qualificazione giuridica della domanda motivatamente compiuta dal giudice del merito; la doglianza è solo genericamente critica della motivazione della Corte territoriale, ma non adduce, come sarebbe stato necessario, specifiche censure attinenti all’ errata applicazione dei criteri ermeneutici.
L’opera dell’interprete mira a determinare una realtà storica ed obiettiva, ossia la volontà delle parti espressa nel contratto, e pertanto
costituisce accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 cod.civ. e segg., oltre che per vizi di motivazione nella loro applicazione. Perciò, per far valere la violazione di legge, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali asseritamente violati; di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso, non è idonea la mera critica del convincimento espresso nella sentenza impugnata mediante la mera contrapposizione d’una difforme interpretazione, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità ( ex multis , Sez. 3, n. 13603 del 21.5.2019; Sez. 3, n. 11254 del 10.5.2018; Sez. 1, n. 29111 del 5.12.2017; Sez. 3, n. 28319 del 28.11.2017; Sez. 1, n. 27136 del 15.11.2017; Sez. 2, n. 18587, del 29.10.2012; Sez. 6-3, n. 2988, del 7.2.2013).
Il secondo motivo è inammissibile in quanto appare del tutto generico in ordine alla questione dell’onere della prova e, comunque, non coglie la ratio decidendi . Al riguardo, la Corte d’appello, pur avendo l’opponente dimostrato la nullità di alcuni patti del contratto di conto corrente, ha ritenuto che la banca avesse dimostrato il credito, seppure in misura ridotta rispetto a quanto richiesto con il ricorso monitorio, anche sulla base della esperita c.t.u.
Il ricorrente ha contestato la ricostruzione dell’andamento del conto effettuata attraverso la c.t.u., lamentando la non chiarezza dei saldi al
31.12.19 93, con censura diretta al riesame dei fatti e all’accertamento del saldo del conto corrente.
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura solo nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, ma non anche laddove si contesti il concreto apprezzamento delle risultanze istruttorie, assumendosi che le stesse non avrebbero dovuto portare al convincimento raggiunto dal giudice di merito (Sez.2, 24.01.2020, n. 1634; Sez. lav., 19.08.2020, n. 17313; Sez. 6, 23.10.2018 n.26769; Sez.3, 29.5.2018, n.13395; Sez.2, 7.11.2017 n.26366).
Inoltre la violazione dell’articolo 115 cod.proc.civ. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi, riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre. Analogamente, la violazione dell’articolo 116 cod.proc.civ. è idonea a integrare il vizio di cui all’articolo 360, n. 4, del cod.proc.civ., denunciabile per cassazione, solo quando il giudice di merito abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, e non per lamentare che lo stesso abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova; detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza
di convincimento ad alcun piuttosto che a altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’articolo 116 del cod.proc.civ. , che non a caso è rubricato «della valutazione delle prove» (Sez.3, 28.02.2017, n. 5009;Sez.2, 14.03.2018, n. 6231).
8. Il terzo motivo è del pari inammissibile.
Nel procedimento per decreto ingiuntivo, la fase che si apre con la presentazione del ricorso e si chiude con la notifica del decreto non costituisce un processo autonomo rispetto a quello che si apre con l’opposizione, ma dà luogo ad un unico giudizio, nel quale il regolamento delle spese processuali, che deve accompagnare la sentenza con cui è definito, va effettuato in base all’esito della lite: ne consegue che, ove la somma chiesta con il ricorso sia riconosciuta solo parzialmente dovuta, non contrasta con gli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. la pronuncia di compensazione delle spese processuali, in quanto l’iniziativa processuale dell’opponente, pur rivelandosi necessaria alla sua difesa, non ha avuto un esito totalmente vittorioso, così come quella dell’opposto, che ha dovuto ricorrere al giudice per ottenere il pagamento della parte che gli è riconosciuta (Cass., n.19120/09).
In caso di accoglimento parziale della domanda articolata in più capi il giudice può, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., compensare in tutto o in parte le spese sostenute dalla parte vittoriosa, ma questa non può essere condannata neppure parzialmente a rifondere le spese della controparte, nonostante l’esistenza di una soccombenza reciproca per la parte di domanda rigettata o per le altre domande respinte, poiché tale condanna è consentita dall’ordinamento solo per l’ipotesi eccezionale di accoglimento della domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa (Cass., n. 13212/23; SU, n. 32061/22).
Nella specie, il ricorrente non può dolersi della condanna alle spese per un terzo, in quanto la Corte territoriale ha rilevato che la domanda della banca, introdotta con ricorso monitorio, era stata accolta in parte, decidendo la compensazione delle spese per i due terzi, in ragione del parziale accoglimento dell’opposizione al decreto ingiuntivo, con argomentazione di merito incensurabile in questa sede.
Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 4.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della 1° sezione civile del 10 aprile