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Riclassificazione INPS: quando non è retroattiva

La Corte di Cassazione ha stabilito che la riclassificazione INPS di un’azienda da un settore economico a un altro non ha effetto retroattivo se la classificazione iniziale non era basata su dichiarazioni false del datore di lavoro. Il caso riguardava una lavoratrice agricola il cui diritto all’iscrizione negli elenchi era stato messo in discussione dopo che l’INPS aveva riclassificato l’azienda nel settore industriale. La Corte ha protetto la posizione previdenziale acquisita dalla lavoratrice, affermando il principio di certezza del diritto.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Riclassificazione INPS: quando non può toccare il passato dei lavoratori

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti temporali della riclassificazione INPS di un’azienda, stabilendo un importante principio a tutela dei lavoratori e della certezza del diritto. La Corte ha confermato che il cambio di settore economico imposto dall’Istituto, ad esempio da agricolo a industriale, non può avere effetto retroattivo, salvo un’unica e specifica eccezione. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le motivazioni dei giudici.

I fatti del caso: Dalla classificazione agricola a quella industriale

Una lavoratrice si era vista negare il diritto all’iscrizione negli elenchi dei braccianti agricoli per 79 giornate lavorative svolte presso una società agricola. Il problema era sorto a seguito di un accertamento dell’INPS, che aveva modificato l’inquadramento dell’azienda, facendola passare dal settore agricolo a quello industriale.

L’INPS sosteneva che questa modifica dovesse essere retroattiva, annullando di fatto la natura ‘agricola’ del lavoro precedentemente svolto dalla dipendente e, di conseguenza, il suo diritto all’iscrizione negli appositi elenchi previdenziali. La Corte d’Appello, in prima istanza, aveva dato ragione alla lavoratrice, sostenendo che la riclassificazione potesse avere effetto solo per il futuro (ex nunc). L’INPS ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’INPS, confermando integralmente la decisione dei giudici di merito. I giudici hanno ribadito un orientamento ormai consolidato: i provvedimenti di variazione della classificazione aziendale, ai sensi della Legge n. 335/1995, non hanno efficacia retroattiva. I loro effetti decorrono dal periodo di paga in corso alla data di notifica del provvedimento stesso.

Le motivazioni della Corte sulla riclassificazione INPS

La decisione si fonda su un’attenta interpretazione della normativa e sulla necessità di bilanciare diversi interessi.

La regola generale: efficacia ex nunc

La norma di riferimento (art. 3, comma 8, della legge n. 335/1995) stabilisce come regola generale la non retroattività. Questa regola vale anche quando la riclassificazione avviene d’ufficio da parte dell’INPS a seguito di accertamenti, come nel caso di omessa comunicazione di mutamenti nell’attività aziendale.

La ratio di questa norma è chiara: garantire la certezza nei rapporti contributivi. Questa certezza è fondamentale sia per il bilancio dell’Istituto previdenziale, sia per le posizioni previdenziali dei singoli lavoratori, che non possono essere pregiudicate da cambiamenti che intervengono a posteriori.

L’eccezione: dichiarazioni inesatte del datore di lavoro

L’unico caso in cui la legge ammette la retroattività è quando l’inquadramento iniziale dell’azienda si rivela errato a causa di ‘inesatte dichiarazioni del datore di lavoro’. Si tratta quindi di una situazione specifica in cui l’errore originario è direttamente imputabile a una comunicazione falsa o non veritiera da parte dell’azienda al momento dell’iscrizione.

Nel caso esaminato, la Corte d’Appello aveva accertato che l’azienda non aveva fornito alcuna dichiarazione non veritiera all’INPS. La riclassificazione era derivata da una diversa valutazione dell’Istituto sulla prevalenza dell’attività industriale rispetto a quella agricola, emersa in un momento successivo.

Conclusioni: Certezza del diritto e tutela dei lavoratori

Questa ordinanza rafforza un principio cruciale: la posizione previdenziale di un lavoratore, costruita sulla base di un inquadramento aziendale legittimo, non può essere messa in discussione da successive rivalutazioni dell’INPS, a meno che non si dimostri un comportamento doloso o colposo iniziale da parte del datore di lavoro. La decisione tutela non solo l’affidamento dei lavoratori ma anche quello delle imprese, che non possono essere gravate da obbligazioni contributive per periodi ormai passati sulla base di un cambiamento di classificazione. La certezza del diritto prevale, garantendo stabilità e prevedibilità nei rapporti tra aziende, lavoratori e istituti previdenziali.

Quando una riclassificazione aziendale operata dall’INPS ha effetto retroattivo?
La riclassificazione ha effetto retroattivo solo ed esclusivamente se l’inquadramento iniziale dell’azienda era errato a causa di dichiarazioni inesatte fornite dal datore di lavoro al momento dell’iscrizione.

La mancata comunicazione di un cambiamento nell’attività aziendale all’INPS giustifica la retroattività della riclassificazione?
No. Secondo la sentenza, anche in caso di omessa comunicazione di mutamenti nell’attività, la riclassificazione svolta d’ufficio dall’INPS produce effetti solo dal momento della notifica del provvedimento (ex nunc) e non è retroattiva.

Qual è la regola generale per l’efficacia dei provvedimenti di riclassificazione INPS?
La regola generale, stabilita dall’art. 3, comma 8, della legge n. 335/1995, è la non retroattività. Gli effetti della variazione decorrono dal periodo di paga in corso alla data di notifica del provvedimento di variazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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