Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 941 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 941 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 22536-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 97/2019 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 15/02/2019 R.G.N. 482/2017;
Oggetto
Previdenza lavoratori agricoli
R.G.N. 22536/2019
COGNOME
Rep.
Ud.13/11/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 15.2.2019, la Corte d’appello di Salerno, in riforma della pronuncia di primo grado e richiamando la propria precedente sentenza n. 674/18 (che aveva affermato la natura irretroattiva della riclassificazione delle aziende op erata dall’INPS ai fini contributivi e la conseguente decorrenza dal periodo di paga posteriore al dicembre 2012 del reinquadramento di RAGIONE_SOCIALE quale azienda industriale), ha dichiarato il diritto di NOME COGNOME di mantenere l’iscrizi one negli elenchi dei lavoratori agricoli per l’anno 2012 e, ricorrendone i presupposti, a percepire le prestazioni di legge;
che avverso tale pronuncia l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura;
che NOME COGNOME ha resistito con controricorso;
che, chiamata la causa all’adunanza camerale del 13.11.2024, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (articolo 380bis .1, comma 2°, c.p.c.);
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo di censura, l’INPS denuncia nullità della sentenza per violazione degli artt. 118 att. c.p.c. e 132 n. 4 c.p.c., per avere la Corte di merito motivato l’accoglimento del gravame mercé il richiamo di altra propria pronuncia resa tra l’odierno ricorrente e NOME RAGIONE_SOCIALE, ancorché nessuno degli accertamenti istruttori disposti in quel giudizio fosse stato acquisito e/o reiterato nel presente procedimento;
che, con il secondo motivo, l’INPS lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 8, l. n. 335/1995, degli artt. 1 -4, d.l. n. 352/1978 (conv. con l. n. 467/1978), e dell’art. 44 –
bis , d.l. n. 269/2003 (conv. con l. n. 326/2003), per avere la Corte territoriale ritenuto la non retroattività del reinquadramento quale azienda industriale di Secondulfo RAGIONE_SOCIALE, ancorché fosse stato disposto sulla base dell’omessa comunicazione di circostanze fattuali per le quali sussiste specifico obbligo di informazione da parte del datore di lavoro; che, con riguardo al primo motivo, va rilevato che la sentenza impugnata, nel dare atto che l’odierna controversia era stata originata dall’avvenuta riclassificazione (operata dall’INPS in data 10.12.2012) di RAGIONE_SOCIALE da azienda agricola ad azienda industriale, in conseguenza della quale agli operai dipendenti dell’azienda medesima era stato riconosciuto, per l’anno 2012, l’inquadramento previdenziale come dipendenti di azienda industriale e non come lavoratori agricoli, ha affermato che, giu sta la stessa prospettazione dell’INPS, secondo cui non potrebbe non esservi simmetria tra il regime contributivo imposto all’azienda e quello previdenziale dei singoli lavoratori, risultava assorbente la circostanza che la natura irretroattiva della riclassificazione era già stata riconosciuta dalla precedente sentenza n. 674/18;
che, tanto premesso, il motivo di censura risulta infondato, essendosi chiarito che, nel processo civile, la validità della sentenza la cui motivazione sia redatta per relationem ad un provvedimento giudiziario reso in un altro processo deve ritenersi nulla, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 4, c.p.c., solo allorché si limiti alla mera indicazione dell’esistenza del provvedimento richiamato, senza esporne il contenuto e senza compiere alcun apprezzamento delle argomentazioni assunte nell’altro giudizio e della loro pertinenza e decisività rispetto ai temi dibattuti dalle parti, così rendendo impossibile
l’individuazione delle ragioni poste a fondamento del dispositivo (così da ult. Cass. n. 459 del 2022);
che del pari è infondato il secondo motivo, essendosi ormai consolidato il principio secondo cui, in tema di classificazione dei datori di lavoro a fini previdenziali, i provvedimenti di variazione adottati d’ufficio dall’INPS non hanno efficacia retroatti va e producono i loro effetti dal periodo di paga in corso alla data di notifica del provvedimento di variazione, ancorché dipendano dall’omessa comunicazione dei mutamenti intervenuti nell’attività, non essendo tale ipotesi equiparabile a quella delle inesatte dichiarazioni rese dal datore di lavoro al momento dell’inquadramento iniziale (Cass. nn. 3460 del 2018, 14257 del 2019, 33187 del 2021 e, da ult., 7962 del 2024);
che il ricorso, pertanto, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;
che, in considerazione del rigetto del ricorso, va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’INPS alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 2.200,00, di cui € 2.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 13.11.2024.