Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1395 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1395 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2441/2023 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME, quale curatore del RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, indirizzo PEC: EMAILstudioiacominiEMAIL
-controricorrente-
nonché contro PROCURATORE GENERALE CORTE APPELLO FIRENZE, PROCURATORE REPUBBLICA TRIBUNALE LUCCA
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n. 2769/2022 depositata il 12/12/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
-Con ricorso del 03/11/2021, RAGIONE_SOCIALE (società esercente attivit à̀ di gestione di beni immobili, con patrimonio composto da un solo immobile oggetto di esecuzione immobiliare) chiedeva al Tribunale di Lucca di essere ammessa alla procedura di concordato preventivo con riserva ex art. 161, comma 6, l.fall., preannunziando una domanda di concordato liquidatorio con assuntore.
1.1. -Con decreto del 15/11/2021 il tribunale dichiarava ammissibile la domanda e assegnava termine di sessanta giorni, poi prorogato di ulteriori sessanta giorni con decreto 11/01/2022, a fronte della istanza del 29/12/2021 con cui la debitrice prospettava la presentazione di una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l.fall.
1.2. -In data 04/03/2022 RAGIONE_SOCIALE non essendo riuscita a concludere le trattative con RAGIONE_SOCIALE depositava atto di rinuncia alla procedura di concordato prenotativo, e in pari data il tribunale fissava per la discussione, l’udienza del 01/04/2022.
1.3. -A margine del decreto di fissazione dell’udienza, il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Lucca esprimeva in data 09/03/2022 « parere favorevole all’accoglimento della richiesta. Ove disattesa dal Tribunale, si formula domanda di fallimento».
1.4. -All’udienza la debitrice chiedeva termine per il deposito di note e documentazione attestante la pendenza di trattative e il tribunale riservava la decisione, concedendo termine di sette giorni per il relativo deposito.
1.5. -Con note esplicative depositate in data 08/04/2022, la debitrice depositava la documentazione comprovante i contatti avuti nelle more della procedura con RAGIONE_SOCIALE e le trattative in essere, segnalando di voler rinunciare al concordato con riserva e percorrere la strada del piano di risanamento attestato.
1.6. -Con sentenza del 14/04/2022, depositata e notificata in data 02/05/2022, il Tribunale di Lucca, sciogliendo la riserva, dichiarava il fallimento di RAGIONE_SOCIALE dopo aver rilevato che non vi era alcun accordo con i creditori e che non era stato superato lo stato di crisi, da intendersi come stato di insolvenza, stante l’incapacità di pagare i debiti, la mancanza di credito bancario, la pendenza dell’esecuzione immobiliare, un passivo di cinque milioni di euro e un attivo di incerto realizzo.
1.7. -Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Firenze ha rigettato il reclamo della società dichiarata fallita.
–RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione in due motivi, illustrato da memoria, cui il Fallimento intimato resiste con controricorso, corredato da una memoria sostanzialmente riproduttiva della decisione impugnata.
CONSIDERATO CHE
2.1. -Con il primo motivo, rubricato « art. 360, c. 1, n. 3, cpc: nullità della sentenza per violazione degli artt. 6 e 7 legge fallimentare », la ricorrente deduce che la sentenza impugnata sarebbe «manifestamente nulla per violazione di legge in quanto, sulla base di un’interpretazione abnorme della fattispecie oggetto di giudizio», avrebbe « avvallato un’illegittima dichiarazione d’ufficio » del proprio fallimento .
2.2. -Il secondo mezzo, rubricato « art. 360, c. 1, n. 4, cpc: nullità della sentenza per violazione degli artt. 15, 162 e 173 legge fallimentare », prospetta un ‘ ulteriore ragione di nullità della stessa sentenza, «in quanto resa in violazione dei principi giurisprudenziali in merito ai rapporti tra procedura prefallimentare e procedura concordataria», poiché il fallimento sarebbe stato dichiarato «senza che fosse stata aperta una procedura prefallimentare, violando non solo la legge, ma impedendo altresì alla società debitrice ogni valida difesa contro la dichiarazione di fallimento».
-Entrambe le censure non meritano accoglimento.
-Il primo motivo è inammissibile, poiché, pur denunziando formalmente la violazione degli artt. 6 e 7 l.fall., con esso si invoca
in realtà una diversa interpretazione dell’istanza formulata dal Pubblico Ministero, però non consentita in questa sede.
4.1. -Sul punto, la corte di appello si è infatti espressamente pronunciata, osservando che: « per quanto l’espressione utilizzata dal P.M. sia oltremodo succinta, non possono aversi dubbi in ordine al fatto che egli abbia chiaramente espresso la volontà di richiedere il fallimento della società (…) Risulta poco comprensibile anche l’espressione ‘parere favorevole all’accoglimento della richiesta’, visto che, a fronte della rinuncia alla domanda di concordato ‘in bianco’, non vi erano provvedimenti in concreto da adottare da parte del Tribunale, se non prendere atto del fatto che non era mai stata formalizzata alcuna proposta di concordato. La formulazione del parere può pertanto essere ritenuta frutto di un mero refuso, e può conseguentemente essere elisa. Ciononostante, non possono aversi dubbi in ordine al fatto che il P.M. abbia espresso la volontà di richiedere il fallimento, che non viene travolta dalle perplessità sopra espresse in ordine al precedente parere. Questo è sufficiente per costituire il presupposto per l’investitura del Tribunale ai fini della pronuncia della successiva sentenza. Del resto, il P.M. non aveva necessità di esplicitare quali fossero i presupposti della sua domanda di fallimento, posto che lo stato di insolvenza veniva nella sostanza ammesso dalla stessa società nella sua domanda di concordato ».
4.2. -A fronte di una simile motivazione, va fatta applicazione del principio per cui l’interpretazione dell’ atto giudiziario -quale è sicuramente l’istanza formulata dal P.M., in quanto equiparabile al ricorso presentato dal creditore, sia per lo specifico rinvio dell’art. 7 all’art. 6 l .fall., sia p er l’integrale equiparazione dei poteri del P.M. a quelli delle parti private, sancita nel processo civile dall’art. 72 , comma 1, c.p.c. (Cass. 10868/2022) -«si risolve in un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in cassazione solo sotto il profilo del vizio di motivazione e non per violazione di legge», senza che possano a tal fine utilizzarsi i criteri di interpretazione del contratto dettati dagli artt. 1362 ss. c.c., poiché nelle domande giudiziali l ‘ intenzione dell ‘attore rileva solo nei limiti in cui sia stata esplicitata in modo
da consentire al convenuto di cogliere l’effettivo contenuto dell’atto e di svolgere un’adeguata difesa (Cass. 24480/2020).
-Il secondo motivo è infondato, poiché non sussiste la prospettata nullità della sentenza impugnata per violazione del diritto di difesa della società debitrice.
5.1. -Al riguardo la corte d’appello ha puntualmente rilevato, per un verso, che l’istanza di fallimento presentata dal P.M. si è ritualmente inserita nel procedimento di concordato preventivo con riserva instaurato dalla debitrice, così innestando la procedura prefallimentare in quella di concordato, e, per altro verso, che la rinuncia a quest’ultima da parte della debitrice ha consentito al tribunale di dar corso alla prima, senza alcuna violazione del diritto di difesa, « visto che la debitrice era necessariamente in condizione di sapere che era pendente una domanda di fallimento, che sarebbe divenuta procedibile con il decadere della domanda di concordato, dal momento che l’inserimento negli atti del giudizio equivaleva per lei a notifica. Inoltre, il Tribunale ha concesso all’udienza un termine per memorie, entro il quale la RAGIONE_SOCIALE ben avrebbe potuto prendere posizione sulla richiesta di fallimento avanzata dal P.M. ». La corte territoriale ha altresì escluso che vi fosse « alcuna preclusione di carattere processuale all’esame della domanda di fallimento avanzata dal P.M. », poiché il tribunale aveva « chiaramente valorizzato in parte motiva la rinuncia alla domanda di concordato con riserva e l’impossibilità di percorrere la strada del piano di risanamento, con ciò palesando di aver ritenuto inammissibile la domanda rinunciata ».
5.2. -In effetti, a fronte della rilevata sequenza procedimentale -deposito dell’istanza di rinuncia alla domanda di concordato in data 4 marzo 2022; decreto in pari data del tribunale di fissazione del l’ udienza di comparizione delle parti al 1° aprile 2022 ; formulazione dell’istanza del P.M. in data 9 marzo 2022; successiva concessione , all’udienza, di un termine di sette giorni per il deposito di memorie (equivalente al termine contemplato dall’a rt. 15, comma 4, l.fall.) -è innegabile che la debitrice abbia avuto la possibilità di esaminare l’istanza di fallimento ben prima
dell’udienza fissata dal tribunale, e che comunque avrebbe potuto utilizzare il conseguito termine a difesa non solo per svolgere deduzioni sulla fattibilit à̀ del piano di risanamento, ma anche per spiegare le proprie difese in relazione a detta istanza, formulata dal P.M. quasi un mese prima della celebrazione dell’udienza .
5.3. -Questa Corte si è già espressa nel senso di ritenere che la rinuncia alla domanda di concordato preventivo, formulata dal debitore nel corso del procedimento di revoca ex art. 173 l.fall., non determina di per sé, prima di una formale dichiarazione di improcedibilità ad opera del tribunale, la chiusura del procedimento, sicché il P.M. -che, a seguito della comunicazione ex art. 173 l.fall., partecipa ordinariamente al procedimento, nel rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa delle altre parti -ben può rassegnare le proprie conclusioni, che comprendono, oltre alla valutazione negativa della proposta concordataria, anche l’eventuale richiesta di fallimento, in ragione della ritenuta insolvenza dell’imprenditore di cui sia venuto a conoscenza a seguito di tale partecipazione (v. Cass. 12010/2018, 27936/2020).
Ed ha anche affermato che alla richiesta di fallimento formulata dal P.M. a seguito della dichiarazione di improcedibilità della domanda di concordato preventivo, rinunciata dal proponente, non si applica il disposto dell’art. 7 l.fall., in quanto la parte pubblica, una volta informata della proposta di concordato preventivo ai sensi dell’art. 161, comma 5, l.fall., partecipa ordinariamente al procedimento, rassegnando le proprie conclusioni, che possono comprendere anche la richiesta di fallimento (Cass. 6649/2018, 9574/2017).
Sotto altro profilo, e sempre nell’ambito del procedimento di revoca ex art. 173 l.fall., questa Corte ha chiarito che la formale conoscenza da parte della debitrice dell’esistenza di un’iniziativa per la dichiarazione di fallimento è sufficiente ad integrare l ‘ indicazione che il procedimento è volto all’accertamento dei presupposti per la dichiarazione di fallimento, richiesta dall ‘ art. 15, comma 4, l.fall. quale monito in ordine al possibile esito della procedura e invito ad esercitare, volendo, il diritto di difesa (Cass. 13817/2011).
Più in generale, risponde ad un consolidato insegnamento nomofilattico che, in pendenza di un procedimento di concordato preventivo -sia esso ordinario o con riserva -il fallimento dell’imprenditore, su istanza di un creditore o su richiesta del pubblico ministero, può essere dichiarato soltanto quando ricorrono gli eventi previsti dagli articoli 162, 173, 179 e 180 della legge fallimentare, e cioè, rispettivamente, quando la domanda di concordato sia stata dichiarata inammissibile, quando sia stata revocata l’ammissione alla procedura, quando la proposta di concordato non sia stata approvata e quando, all’esito del giudizio di omologazione, sia stato respinto il concordato (Cass. Sez. U, 9935/2015; Cass. 17764/2016, 1169/2017, 8982/2021).
5.4. -Ritiene il Collegio che i principi sopra enunciati possano essere estesi all’ipotesi, pur non espressamente contemplata dalla legge, della dichiarazione di improcedibilità del concordato per rinunzia alla domanda, la quale si colloca -attesa l’assimilabilità degli effetti processuali (consistenti nella chiusura del procedimento concordatario) -sul medesimo piano della dichiarazione di inammissibilità di cui all’art. 162, comma 2, l.fall., con conseguente potere del pubblico ministero di richiedere il fallimento prima che l’improcedibilità sia stata dichiarata, rimanendo successivamente impregiudicato il potere di svolgere analoga richiesta in presenza dei presupposti di cui all’art. 7 l.fall. (Cass. 6649/2018; conf. Cass. 12010/2018, 27200/2019, 27936/2020).
Difatti, se è vero che la rinunzia alla domanda concordataria conduce alla dichiarazione di improcedibilità, ciò non significa che il procedimento di concordato preventivo cessi automaticamente per effetto della sola rinunzia, così da collocare la richiesta di fallimento da parte del pubblico ministero al di fuori di esso. E dunque, in modo del tutto analogo a quanto accade, pacificamente, per la declaratoria di inammissibilità (Cass. 11423/2014), anche la dichiarazione di improcedibilità della domanda di concordato rinunciata può essere contestuale alla dichiarazione di fallimento.
5.5. -Ma soprattutto va ribadito che il debitore, nel momento in cui accede alla procedura concordataria, nelle sue varie declinazioni processuali, accetta il rischio che le altre parti del
procedimento, come il P.M., possano in quella stessa sede esercitare le loro prerogative, e quindi instare per la dichiarazione di fallimento, prima che il procedimento sia chiuso.
Ciò che conta è, evidentemente, che il debitore sia messo nelle condizioni di espletare il proprio diritto di difesa su quelle istanze.
Ma nel caso in esame questa condizione risulta, come detto, soddisfatta.
-Segue il rigetto del ricorso con condanna alle spese, liquidate in dispositivo.
-Sussistono i presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per l’impugnazione proposta, se dovuto, a norma del comma 1-bis del detto art. 13 (Cass. Sez. U, 20867/2020 e 4315/2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 08/11/2023.