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Richiesta di fallimento del P.M.: è valida?

Una società immobiliare, dopo aver rinunciato a una procedura di concordato preventivo, è stata dichiarata fallita su istanza del Pubblico Ministero. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, rigettando il ricorso della società. La Corte ha stabilito che la richiesta di fallimento del P.M. è valida anche se presentata dopo la rinuncia al concordato, poiché il procedimento non si estingue automaticamente. Inoltre, è stato ritenuto che il diritto di difesa della società sia stato rispettato, avendo avuto la possibilità di presentare memorie difensive.

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Richiesta di fallimento del P.M.: è valida dopo la rinuncia al concordato?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1395/2024, ha affrontato un’importante questione procedurale: la validità di una richiesta di fallimento presentata dal Pubblico Ministero (P.M.) nel contesto di una procedura di concordato preventivo a cui la stessa società debitrice aveva rinunciato. La decisione chiarisce i confini del diritto di difesa del debitore e la prosecuzione della procedura concorsuale in tali circostanze, stabilendo un principio di continuità procedurale che espone l’imprenditore alle conseguenze delle sue scelte.

I Fatti di Causa

Una società immobiliare S.r.l., gravata da un ingente passivo e da un’esecuzione immobiliare pendente, presentava al Tribunale una domanda di concordato preventivo “con riserva”, con l’intenzione di formulare una proposta di concordato liquidatorio. Il Tribunale ammetteva la domanda e concedeva i termini di legge.

Successivamente, la società, non riuscendo a concludere le trattative con un creditore istituzionale, depositava un atto di rinuncia alla procedura di concordato. In seguito a tale rinuncia, il Tribunale fissava un’udienza per la discussione. A margine di tale decreto, il Pubblico Ministero interveniva formulando una richiesta di fallimento. All’udienza, il Tribunale concedeva alla società un termine di sette giorni per depositare note difensive. Infine, il Tribunale, constatando lo stato di insolvenza, dichiarava il fallimento della società.

La decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello, spingendo la società a ricorrere per Cassazione.

I Motivi del Ricorso e la posizione della società

La società ricorrente basava la sua difesa su due motivi principali:
1. Violazione di legge (artt. 6 e 7 l.fall.): Si sosteneva che la sentenza fosse nulla perché il fallimento sarebbe stato dichiarato d’ufficio, basandosi su un’interpretazione “abnorme” dell’istanza del P.M., che avrebbe “avallato un’illegittima dichiarazione d’ufficio”.
2. Nullità per violazione delle norme procedurali (artt. 15, 162, 173 l.fall.): Si lamentava la violazione del diritto di difesa, poiché il fallimento sarebbe stato dichiarato senza l’apertura di una formale procedura prefallimentare, impedendo alla società di difendersi adeguatamente.

In sostanza, la tesi della società era che, una volta rinunciato al concordato, la procedura si sarebbe dovuta chiudere, e ogni eventuale richiesta di fallimento avrebbe dovuto seguire un percorso autonomo, garantendo pienamente il contraddittorio.

La validità della richiesta di fallimento del Pubblico Ministero

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi, ritenendoli infondati. Sul primo punto, la Corte ha affermato che l’interpretazione dell’istanza del P.M. è un giudizio di fatto riservato al giudice di merito. Nonostante una formulazione parzialmente ambigua, l’intenzione del P.M. di chiedere il fallimento era chiaramente desumibile dall’atto. Pertanto, il Tribunale era stato correttamente investito della questione.

Diritto di difesa e continuità della procedura

Il punto cruciale della decisione riguarda il secondo motivo. La Corte ha stabilito che la rinuncia alla domanda di concordato non determina la cessazione automatica della procedura. Al contrario, essa conduce a una dichiarazione di improcedibilità, ma il procedimento rimane pendente fino a quel momento. Di conseguenza, l’istanza del P.M. si è inserita ritualmente in un procedimento già esistente. La Corte ha sottolineato che chi accede a una procedura concorsuale accetta il rischio che altre parti, incluso il P.M., possano esercitare le proprie prerogative e instare per il fallimento.

La Corte ha inoltre chiarito che il diritto di difesa della società è stato pienamente garantito. La società era a conoscenza della richiesta di fallimento e ha beneficiato di un termine per depositare memorie difensive, un termine che la Corte ha ritenuto adeguato per articolare le proprie difese.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su un consolidato orientamento giurisprudenziale, estendendolo al caso specifico della rinuncia. Il principio nomofilattico è che, in pendenza di un procedimento di concordato preventivo, il fallimento può essere dichiarato solo in specifici casi previsti dalla legge (inammissibilità, revoca, mancata approvazione, reiezione dell’omologa). La Corte ha ritenuto che la dichiarazione di improcedibilità per rinuncia sia assimilabile a questi casi.

La rinuncia, infatti, non “cancella” la procedura, ma ne provoca la chiusura per improcedibilità. Fino a tale formale dichiarazione, il procedimento è ancora attivo e le parti possono legittimamente intervenire. Pertanto, la richiesta di fallimento del P.M. non è esterna o tardiva, ma si colloca correttamente all’interno della procedura concorsuale pendente.

Le Conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: l’accesso alla procedura di concordato preventivo apre un “ombrello protettivo” per l’impresa, ma la espone contestualmente al vaglio del tribunale e delle altre parti processuali. La rinuncia alla domanda non costituisce una via di fuga per sottrarsi alle possibili conseguenze negative, come la dichiarazione di fallimento. Se lo stato di insolvenza sussiste, la richiesta di fallimento presentata dal P.M. all’interno della stessa procedura è pienamente legittima, a patto che sia sempre garantito al debitore il diritto di difendersi adeguatamente nel merito.

Dopo la rinuncia al concordato preventivo, il Pubblico Ministero può ancora chiedere il fallimento dell’impresa?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che la rinuncia alla domanda di concordato non chiude automaticamente il procedimento. Pertanto, la richiesta di fallimento presentata dal Pubblico Ministero in questa fase è legittima e può essere esaminata dal tribunale, poiché si inserisce in una procedura ancora formalmente pendente.

Una richiesta di fallimento presentata dal P.M. all’interno di una procedura di concordato viola il diritto di difesa del debitore?
No, a condizione che al debitore sia garantita una concreta possibilità di difendersi. Nel caso esaminato, la società era a conoscenza della richiesta del P.M. e le è stato concesso un termine per depositare memorie difensive. La Corte ha ritenuto che questo fosse sufficiente a tutelare il suo diritto di difesa.

Cosa succede se la richiesta di fallimento del Pubblico Ministero contiene formulazioni ambigue?
La Corte ha stabilito che l’atto va interpretato nella sua sostanza per coglierne l’effettivo contenuto. Anche se nel caso specifico la richiesta del P.M. conteneva espressioni apparentemente contraddittorie, la volontà di chiedere il fallimento era sufficientemente chiara e idonea a investire il Tribunale della questione, rendendo l’istanza valida.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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