Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5552 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5552 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30378/2020 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, BREGENZER ARMIN, BREGENZER PAUL, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 2528/2020, depositata il 28/09/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
L’acquirente di un immobile NOME COGNOME ha proposto, nei confronti dei venditori NOME COGNOME e NOME COGNOME, domanda di riduzione del prezzo e di risarcimento del danno. Con la sentenza n. 488 del 2014 il Tribunale di Verona ha condannato i venditori a pagare all’attrice a titolo di risarcimento del danno la somma di euro 12.720,63.
La sentenza è stata impugnata da NOME COGNOME nei confronti di NOME, NOME ed NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME, eredi dei venditori, nel frattempo deceduti.
Con ordinanza dell’11 febbraio 2019 è stata dichiarata l’interruzione del giudizio a seguito del decesso dell’appellato NOME COGNOME; con atto del 7 maggio 2019 l’appellante riassumeva la causa nei confronti degli altri appellati, i quali si costituivano nuovamente in giudizio, e nei confronti degli eredi della parte deceduta, i quali informavano l’appellante di avere rinunciato all’eredità del congiunto, così come la medesima apprendeva avere fatto ogni successivo chiamato. L’appellante chiedeva quindi la nomina del curatore dell’eredità giacente, ottenendo il differimento dell’udienza fissata per la prosecuzione del giudizio. L’appellante non notificava però al curatore, nel nuovo termine a tal fine assegnatole con decreto del 6 settembre 2019, il ricorso in riassunzione avente i requisiti imposti dall’art. 303, comma 2 c.p.c., ma si è limitata a notificargli la sola istanza di differimento della suddetta udienza e il pedissequo decreto col quale veniva fissata la nuova udienza e assegnato alla parte istante l’ulteriore termine del 30 ottobre 2019 per le necessarie notifiche.
Gli appellati con la comparsa conclusionale hanno eccepito il mancato perfezionamento della riassunzione del giudizio. La Corte d’appello di Venezia -con la sentenza 28 settembre 2020, n. 2528
-ha dichiarato estinto il giudizio. Ad avviso della Corte d’appello la mancata notifica del ricorso in riassunzione entro il termine, da intendersi perentorio, assegnato alla parte riassumente comporta l’estinzione del procedimento; la conoscenza legale dell’oggetto della controversia non può, ad avviso della Corte, nella specie ritenersi surrogata, come sosteneva parte appellante, dall’allegazione del ricorso in riassunzione alla documentazione di richiesta di nomina del curatore dell’eredità giacente, anche perché in tal caso non è dato sapere, col medesimo grado di certezza assicurato dalla diretta notificazione dell’atto al suo destinatario, né che questi abbia preso effettiva conoscenza del suo contenuto, né il momento rilevante ai fini della verifica del rispetto del termine assegnato col decreto di fissazione dell’udienza per la prosecuzione.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ricorre per cassazione.
Resistono con controricorso NOME ed NOME COGNOME, nonché NOME e NOME COGNOME.
Con provvedimento del 26 maggio 2023 il consigliere delegato della seconda sezione civile ha proposto la definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c.
Con atto del 17 luglio 2023 la ricorrente ha chiesto la decisione ai sensi del comma 2 dell’art. 380 -bis c.p.c.
I controricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 291, 303 e 307 c.p.c.: la Corte d’appello ha erroneamente dichiarato l’estinzione del giudizio, ritenendo che la ricorrente non avesse notificato al nominato curatore dell’eredità giacente di NOME COGNOME il ricorso in riassunzione entro il termine concesso alla parte riassumente ritenuto perentorio; la ricorrente aveva invece riassunto il giudizio ai sensi dell’art. 305 c.p.c. e aveva notificato l’atto di riassunzione e il decreto a tutte le
parti, compresi i legittimi chiamati all’eredità ovvero la moglie e le due figlie del de cuius ; avendo poi appreso la sostanziale giacenza dell’eredità, si era fatta parte diligente e aveva depositato presso il Tribunale di Bolzano il ricorso per la nomina del curatore dell’eredità giacente, producendo tra i documenti il ricorso in riassunzione; nel frattempo la ricorrente aveva chiesto alla Corte d’appello di differire l’udienza già fissata, in quanto la notifica al nominando curatore non sarebbe potuta avvenire nel rispetto dei termini a comparire; si è trattata di una volontaria iniziativa dell’appellante che è stata accolta dal Presidente, che ha differito l’udienza al 3 febbraio 2020, ‘fissando termine per notifiche ai convenuti entro il 30 ottobre 2019′; nelle more era stato nominato il curatore dell’eredità giacente e la ricorrente, ritenendo di avere già assolto agli oneri di riassunzione in capo a tutti i convenuti, notificava alle parti esclusivamente l’istanza di differimento e il relativo provvedimento di rinvio d’udienza; all’udienza erano presenti la ricorrente e le controparti mentre nessuno compariva per il curatore dell’eredità giacente.
Il motivo non può essere accolto. E’ vero che il termine perentorio di sei mesi previsto dall’art. 305 c.p.c. per la riattivazione del processo interrotto è riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice, così che, una volta eseguito tempestivamente tale adempimento, quel termine non gioca più alcun ruolo, atteso che la successiva fissazione da parte del giudice di un ulteriore termine, destinato a garantire il corretto ripristino del contraddittorio interrotto nei confronti della controparte, ormai ne prescinde, rispondendo unicamente alla necessità di assicurare il rispetto delle regole proprie della vocatio in ius , con la conseguenza che il vizio da cui sia colpita la notifica dell’atto di riassunzione non si comunica alla riassunzione, ma impone al giudice di ordinare, anche qualora sia già decorso il (diverso) termine di cui all’art. 305 c.p.c., la rinnovazione della notifica medesima, in applicazione
analogica dell’art. 291 c.p.c., entro un ulteriore termine necessariamente perentorio, solo il mancato rispetto del quale determinerà l’eventuale estinzione del giudizio (vedi Cass. n. 2526/2021, nonché Cass. 2016 n. 5955/2016, Cass. n. 2174/2016 e Cass. n. 21869/2013).
Nel caso in esame, però, non si è avuto un vizio della notificazione dell’atto di riassunzione al curatore dell’eredità giacente, così come aveva disposto il giudice d’appello, peraltro in risposta a una espressa richiesta della ricorrente (v. l’stanza di differimento udienza, pag. 3), ma la totale mancanza della notificazione dell’atto di riassunzione, che appunto non è mai stato notificato al curatore dell’eredità giacente, né al riguardo vale, come ha sottolineato la Corte d’appello, che l’atto di riassunzione notificato alle altre parti fosse stato allegato alla richiesta di nomina del curatore.
Neppure può essere obiettato che al curatore era comunque stato notificato il decreto di fissazione della nuova udienza. Va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la mancanza di uno o più dei requisiti prescritti dall’art. 125 disp. att. c.p.c. – che detta le modalità della riassunzione della causa – non ne determina la nullità, non essendo la stessa comminata da alcuna disposizione di legge, a meno che non impedisca il raggiungimento dello scopo dell’atto di riassunzione (v. Cass. n. 2491/2017). Nel caso di specie non si è però di fronte alla mancanza di uno o più requisiti, ma alla mancanza – essendo appunto stato notificato unicamente il decreto di fissazione della nuova udienza – di tutti i requisiti tranne l’indicazione dell’udienza (va ricordato che vengono ritenuti essenziali ‘il riferimento esplicito alla precedente fase processuale; l’indicazione delle parti e di altri elementi idonei a consentire l’identificazione della causa riassunta; le ragioni della cessazione della pendenza della causa stessa; il provvedimento del giudice che legittima la riassunzione; la manifesta volontà di
riattivare il giudizio attraverso il ricongiungimento delle due fasi in un unico processo’, così Cass. n. 11193/2018). Né d’altro canto è prospettabile una sanatoria per raggiungimento dello scopo dell’atto, non essendosi il curatore costituito nel processo (v. al riguardo la sopra citata pronuncia di questa Corte n. 2491/2017, ove si è esclusa l’estinzione del giudizio interrotto proprio valorizzando la costituzione della controparte).
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., avendo il collegio definito il giudizio in conformità alla proposta, trovano applicazione il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. (v. al riguardo la pronuncia delle sezioni unite n. 28540/2023, secondo cui in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380 -bis , comma 3, c.p.c., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022, nel prevedere nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c., ‘codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente’).
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio a favore dei controricorrenti che liquida in euro 5.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese
generali (15%) e accessori di legge, nonché al pagamento di euro 1.000 in favore dei controricorrenti ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c. e al pagamento di euro 1.000 in favore della cassa delle ammende ai sensi dell’art. 96, quarto comma, c.p.c.
Sussistono, ex art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione