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Riammissione in servizio: nasce un nuovo rapporto

Un dipendente pubblico, dimessosi e poi riammesso in servizio dopo anni, ha contestato il calcolo della sua liquidazione finale. La Corte di Cassazione ha respinto il suo ricorso, stabilendo che la riammissione in servizio non fa rivivere il precedente rapporto di lavoro, ma ne costituisce uno nuovo e distinto, soggetto alla normativa vigente al momento della nuova assunzione.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Riammissione in Servizio: si Costituisce un Nuovo Rapporto di Lavoro

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13957 del 2024, ha affrontato un’interessante questione riguardante la riammissione in servizio nel pubblico impiego. Il caso analizzato chiarisce in modo definitivo se questo istituto comporti la continuazione del precedente rapporto di lavoro o la costituzione di uno completamente nuovo. La decisione ha implicazioni significative sul calcolo del trattamento di fine servizio e sull’applicazione della normativa sopravvenuta.

I Fatti di Causa

Un dipendente del Ministero dell’Istruzione, con la qualifica di DSGA, si era dimesso volontariamente nel 1998, ricevendo la regolare indennità di fine servizio. Sei anni dopo, nel 2004, a seguito di una sua domanda, veniva riammesso in servizio con un nuovo contratto individuale di lavoro. Nel 2007, il lavoratore veniva collocato a riposo per raggiunti limiti di età.

Al momento del calcolo della seconda liquidazione, sorgeva una controversia. L’ente previdenziale aveva ricalcolato la base retributiva in modo difforme da quanto indicato dall’amministrazione scolastica. Il lavoratore, ritenendo che il suo secondo periodo di lavoro fosse una continuazione del primo, adiva il Tribunale, che accoglieva la sua domanda. Tuttavia, la Corte d’Appello, su ricorso dell’ente previdenziale, ribaltava la decisione, rigettando le pretese del dipendente. La questione è così giunta all’esame della Corte di Cassazione.

La Questione Giuridica e la Riammissione in Servizio

Il nucleo del contendere verteva sull’interpretazione della riammissione in servizio. Il ricorrente sosteneva che, in base a normative specifiche del comparto Scuola (art. 115 del d.P.R. n. 417/1974), la riammissione determinasse la “reviviscenza” del precedente rapporto di lavoro, con il conseguente ripristino della posizione giuridica ed economica maturata. Ciò avrebbe comportato l’inapplicabilità della normativa sul TFR, introdotta dalla Legge n. 335/1995, poiché il suo rapporto originario era antecedente.

Di contro, l’ente previdenziale e la Corte d’Appello hanno sostenuto che la riammissione non fa rivivere un rapporto ormai estinto, ma ne crea uno nuovo. Di conseguenza, a questo nuovo rapporto si applicano tutte le disposizioni legislative e contrattuali vigenti al momento della sua costituzione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del lavoratore, confermando la tesi della Corte d’Appello. I giudici di legittimità hanno chiarito che l’istituto della riammissione in servizio costituisce un’eccezione alle normali procedure di assunzione concorsuale e si basa su un potere discrezionale della Pubblica Amministrazione.

La Corte ha affermato un principio consolidato: la riammissione non dà luogo alla reviviscenza del precedente rapporto di lavoro. Al contrario, si verifica la costituzione di un rapporto di lavoro nuovo e autonomo. Anche quando specifiche disposizioni di legge, come l’art. 115 citato dal ricorrente, prevedono il riconoscimento dell’anzianità pregressa, ciò avviene all’interno della cornice di un nuovo contratto, conformandone gli effetti, ma non negandone la novità.

La Cassazione ha inoltre sottolineato che il notevole lasso di tempo intercorso tra le dimissioni e la riammissione (sei anni nel caso di specie) è un ulteriore elemento che esclude la possibilità di considerare i due periodi come un unico rapporto di lavoro. Essendo il nuovo contratto stato stipulato nel 2004, correttamente la Corte d’Appello ha applicato la normativa previdenziale sopravvenuta, in particolare l’art. 2, comma 5, della Legge n. 335 del 1995, che ha esteso il regime del TFR ai dipendenti pubblici.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

La decisione della Cassazione offre importanti spunti pratici. In primo luogo, conferma che un lavoratore pubblico che si dimette e viene successivamente riammesso non può pretendere l’applicazione delle condizioni normative del suo vecchio impiego. Il nuovo rapporto è a tutti gli effetti un nuovo inizio, regolato dalle leggi in vigore al momento della nuova assunzione.

In secondo luogo, viene ribadita la natura discrezionale della riammissione, che non costituisce un diritto del lavoratore ma una facoltà dell’amministrazione. Infine, la sentenza consolida il principio secondo cui l’estinzione di un rapporto di lavoro è un evento definitivo, e la sua eventuale ripresa attraverso la riammissione non ne annulla gli effetti, ma dà vita a una nuova vicenda contrattuale.

La riammissione in servizio fa ‘rivivere’ il precedente rapporto di lavoro?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che la riammissione in servizio non comporta la reviviscenza del precedente rapporto, ma dà luogo alla costituzione di un rapporto di lavoro nuovo e autonomo.

Quale normativa si applica al lavoratore riammesso in servizio?
Si applica la normativa legale e contrattuale in vigore al momento della costituzione del nuovo rapporto di lavoro, non quella del rapporto precedente. Nel caso specifico, si applicava la disciplina sul TFR introdotta dalla legge n. 335 del 1995.

La riammissione in servizio è un diritto del lavoratore?
No, è un atto discrezionale della Pubblica Amministrazione, che la concede al di fuori delle ordinarie procedure concorsuali e subordinatamente alla disponibilità del posto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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