Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3548 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3548 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13424/2020 R.G. proposto da COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME di SuniCOGNOME che ha indicato il seguente indirizzo di posta elettronica certificata:
;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE NORD RAGIONE_SOCIALE SARDEGNA RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato il seguente indirizzo di posta elettronica certificata: ;
-controricorrente – avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, n. 2450/19, depositata il 21 ottobre 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 ottobre 2024 dal
Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Il C.RAGIONE_SOCIALE Nord Est Sardegna -Gallura convenne in giudizio NOME COGNOME, già proprietario di uno stabilimento industriale sito in Olbia, e riportato nel Catasto fabbricati al foglio 32, particelle 1868 sub 1 e 1968 sub 2, proponendo opposizione alla stima del valore dell’immobile, in ordine al quale aveva esercitato la facoltà di riacquisto prevista dall’art. 63 della legge 23 dicembre 1998, n. 448.
A sostegno della domanda, dedusse l’avvenuta inclusione nella stima di un’area che costituiva oggetto di un altro procedimento di acquisizione, l’inutilizzabilità dei valori riportati nell’Osservatorio del Mercato Immobiliare, la omessa valutazione delle specifiche caratteristiche strutturali del bene, l’inattendibilità del prezziario regionale e la non indennizzabilità delle opere realizzate abusivamente.
Si costituì il Serra, ed eccepì l’inammissibilità della domanda per difetto di pubblica utilità del riacquisto ed inosservanza del termine di cui all’art. 54 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 e all’art. 29 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150.
Il giudizio, sospeso in attesa della definizione di quello avente ad oggetto l’impugnazione del provvedimento di riacquisto, fu riassunto a seguito della decisione del Giudice amministrativo, e con ordinanza del 21 ottobre 2019 la Corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, ha accolto la domanda, determinando il valore del complesso immobiliare in Euro 58.437,24, ivi compresi Euro 48.917,40 per l’area di sedime del fabbricato ed Euro 9.519,84 per il terreno residuo.
Premesso che ogni questione riguardante la sussistenza della pubblica utilità spettava alla giurisdizione del Giudice amministrativo, la Corte ha ritenuto che l’inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 54, comma primo, del d.P.R. n. 327 del 2001 è priva di conseguenze sostanziali e processuali, potendo l’espropriato adire il giudice per la determinazione dell’indennità anche prima della stima definitiva.
Nel merito, ha ritenuto l’art. 63 della legge n. 448 del 1998 applicabile
anche all’ipotesi in cui l’immobile sia stato acquistato dal proprietario originario, anziché tramite il consorzio, osservando che la norma, oltre a non fare alcun cenno al soggetto cui il prezzo sia stato corrisposto ed alle relative modalità, riguarda aree sottoposte a vincolo, per le quali l’acquisto diretto da parte dell’assegnatario del lotto rappresenta solo un modo per accelerare la procedura di acquisizione.
Precisato inoltre che l’art. 63 prevede due diversi criteri di stima, riferibili rispettivamente alle aree inedificate ed agli stabilimenti, ha rilevato che il c.t.u. aveva proceduto ad una stima separata, determinando da un lato il valore dell’intera area, pari ad Euro 15.840,00, e dall’altro quello dello stabilimento, ai fini del quale aveva fatto ricorso al metodo sintetico-comparativo, utilizzando come termini di riferimento i prezzi-offerta in luogo di quelli di mercato, in considerazione della mancanza di compravendite di immobili aventi analoghe caratteristiche e dimensioni, individuando i prezzi marginali, moltiplicandoli per i coefficienti di allineamento relativi alle singole caratteristiche del bene, e pervenendo in tal modo alla determinazione di un valore di Euro 593.000,00.
Rilevato peraltro che lo stabilimento, costruito in virtù di cinque concessioni edilizie, presentava prospetti realizzati in difformità dell’ultimo provvedimento autorizzatorio e un locale di altezza non corrispondente ai requisiti minimi igienico-sanitari, e risultava sprovvisto dell’autorizzazione paesaggistica e di un permesso in sanatoria, ha ritenuto che lo stesso dovesse essere considerato abusivo: ha concluso pertanto che il prezzo di riacquisto doveva essere determinato in misura pari al valore dell’area di sedime del fabbricato, in applicazione dell’art. 38, comma secondo, del d.P.R. n. 327 del 2001, ritenendo ininfluente, a tal fine, la circostanza che i predetti abusi fossero sanabili.
Avverso la predetta ordinanza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. Il CIPNES ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione
e la falsa applicazione dell’art. 63 della legge n. 448 del 1998, dell’art. 54 del d.P.R. n. 327 del 2001 e degli artt. 7 e 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241, censurando l’ordinanza impugnata per aver ritenuto la fattispecie riconducibile all’art. 63 cit., senza tenere conto della particolarità della procedura dallo stesso prevista, volta a semplificare la retrocessione di beni ceduti dai consorzi per la destinazione a finalità produttive, contro la restituzione del prezzo d’acquisto attualizzato, e quindi non applicabile all’acquisizione di beni di cui i consorzi non hanno mai avuto la proprietà. Premesso che in quest’ultimo caso trova applicazione la disciplina dell’espropriazione, la quale richiede la dichiarazione di pubblica utilità e la corresponsione di un indennizzo commisurato al valore di mercato del bene, sostiene che, nel ritenere ammissibile la domanda, l’ordinanza impugnata non ha considerato che l’avvio della procedura non era stato preceduto dalla comunicazione di cui agli artt. 7 e 8 della legge n. 241 del 1990, dalla nomina del responsabile del procedimento e dall’assegnazione dei termini per controdeduzioni.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 21, 26 e 27 del d.P.R. n. 327 del 2001, ribadendo che, nel ritenere ammissibile la domanda, l’ordinanza impugnata non ha tenuto conto dell’inosservanza della disciplina dell’espropriazione, ed in particolare della procedura per la determinazione dell’indennità di esproprio.
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, in subordine, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 327 del 2001, dell’art. 6 della CEDU e dell’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, rilevando che, nel ritenere indennizzabile esclusivamente l’area di sedime del fabbricato, in considerazione delle irregolarità rilevate nell’edificio, l’ordinanza impugnata non ha tenuto conto dell’alienabilità degli immobili caratterizzati da difformità sanabili, ai sensi dell’art. 46 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, né delle modifiche apportate all’art. 38 cit. dall’art. 1, lett. ff) , del d.lgs. 27 dicembre 2002, n. 302, che consente di detrarre dalla stima il costo dei lavori necessari per l’eliminazione delle difformità. Sostiene inoltre che l’interpretazione dell’art. 38 fornita dalla Corte d’appello si pone in contrasto con l’art. 42 Cost., con l’art. 6 della CEDU e con l’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, consentendo un’espropriazione senza indennizzo e determinando un ingiusti-
ficato arricchimento in favore del Consorzio.
Il primo motivo, riguardante l’applicabilità del procedimento di cui all’art. 63 della legge n. 448 del 1998, è inammissibile.
La giurisprudenza di legittimità ha affermato ripetutamente che la controversia avente ad oggetto la legittimità del provvedimento con cui un consorzio di sviluppo industriale abbia disposto, ai sensi dell’art. 63 della legge n. 448 del 1998, il riacquisto della proprietà delle aree cedute per intraprese industriali o artigianali, nell’ipotesi in cui lo stabilimento non sia stato realizzato nel termine di cinque anni dalla cessione, ed anche gli stabilimenti ivi realizzati, nell’ipotesi in cui l’attività industriale o artigianale sia cessata da più di tre anni, è devoluta alla giurisdizione del Giudice amministrativo, trattandosi di un istituto che costituisce espressione di un potere autoritativo, il cui concreto esercizio dipende da valutazioni ampiamente discrezionali, non sindacabili davanti al Giudice ordinario (cfr. Cass., Sez. Un., 24/02/2011, n. 4462; 10/11/2010, nn. 22809 e 22810). Nel medesimo senso si è pronunciato anche il Giudice amministrativo, il quale ha precisato che spetta invece al Giudice ordinario la giurisdizione in ordine alla domanda avente ad oggetto la determinazione del prezzo di riacquisto, trattandosi di una questione di carattere meramente patrimoniale (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 5/05/2016, n. 1800; 27/03/2014, n. 1477; 7/02/2012, n. 664).
Conformemente a tale indirizzo, d’altronde, mentre il Consorzio ha promosso il presente giudizio, proponendo opposizione alla stima dell’immobile effettuata dal perito nominato dal Presidente del Tribunale, secondo il rito previsto dall’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011, il ricorrente ha impugnato il provvedimento di riacquisto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, il quale, con sentenza del 5 maggio 2017, n. 294, ha rigettato il ricorso, affermando, tra l’altro, che «la potestà di riacquisto di cui al precitato art. 63 della legge n. 448/1998 azionata dal CIPNES, costituendo espressione di un potere ablatorio speciale rispetto al più generale potere espropriativo, può legittimamente esercitarsi anche su aree acquistate in via negoziale da privati». La mancata impugnazione della predetta sentenza, determinando la formazione del giudicato in ordine alla spettanza al Giudice amministrativo della giurisdizione in ordine all’impugnazione del provvedimento di riacquisto,
esclude la possibilità di rimettere nuovamente in discussione la possibilità di ricorrere allo strumento di cui all’art. 63 cit. anche nell’ipotesi in cui, come nella specie, il proprietario del fondo non ne abbia ottenuto la cessione dal consorzio, ma lo abbia acquistato direttamente dall’originario titolare.
5. Non merita accoglimento neppure il secondo motivo, avente ad oggetto l’inosservanza della disciplina dettata dal d.P.R. n. 327 del 2001, pur dovendosi procedere, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ, alla correzione della motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto ininfluente l’inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 54, comma primo, del predetto d.P.R., dando in tal modo per scontata la sua applicabilità al procedimento per la determinazione del prezzo di riacquisto delle aree cedute dai consorzi di sviluppo industriale.
Questa Corte ha infatti affermato che l’istituto previsto dall’art. 63 della legge n. 448 del 1998, pur avendo natura ablatoria, in quanto espressione di un potere autoritativo ed unilaterale finalizzato alla tutela di un interesse pubblicistico (la reindustrializzazione delle aree oggetto di riacquisto), è caratterizzato da presupposti, modalità e termini propri, non sovrapponibili a quelli del procedimento espropriativo delineato dal d.P.R. n. 327 del 2001. Non sono previste, in particolare, né la dichiarazione di pubblica utilità, desumibile dalla inclusione dell’immobile nel perimetro del consorzio, né la determinazione dell’indennità provvisoria, il prezzo è determinato secondo criteri diversi da quelli previsti dagli artt. 32 e ss. del d.P.R. n. 2001 (prezzo di acquisto attualizzato per le aree e prezzo correlato al valore per gli stabilimenti industriali, con detrazione dei contributi pubblici attualizzati ricevuti dal cessionario per la realizzazione dello stabilimento), ed è contemplata la possibilità di procedere alla riacquisizione anche se sia in corso una procedura fallimentare. La norma in esame non reca inoltre alcun rinvio alla disciplina dell’espropriazione per pubblica utilità vigente all’epoca della sua entrata in vigore, né risulta a sua volta richiamata da quella attualmente in vigore, la quale può dunque trovare applicazione soltanto se e nella misura in cui risulti compatibile con la disciplina speciale prevista dall’art. 63 (cfr. Cass., Sez. VI, 23/11/2021, n. 36188).
E’ pur vero che, sulla base delle medesime considerazioni, è stato escluso
che all’azione per la determinazione giudiziale dell’indennità trovi applicazione la speciale competenza in unico grado della corte d’appello introdotta dagli artt. 19 e 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 ed oggi prevista dall’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011, osservandosi che, in quanto correlata alla determinazione dell’indennità di esproprio nell’ambito di un procedimento promosso secondo il modello delineato dalla legge, tale competenza non può operare nel caso in cui la determinazione in via amministrativa non abbia avuto luogo con il procedimento previsto dal d.P.R. n. 327 del 2001 e non si verta in una delle ipotesi espressamente previste dalla legge, e concludendosi pertanto per l’attribuzione della competenza al giudice individuato in base ai criteri previsti dall’ordinaria disciplina del codice di rito. Nella specie, tuttavia, l’incompetenza della Corte d’appello, da farsi valere entro i termini di cui all’art. 38 cod. proc. civ., non è stata in alcun modo eccepita nella fase di merito, essendosi il ricorrente limitato a dedurre, peraltro solo in questa sede, l’inammissibilità del ricorso al rito sommario di cognizione, previsto dall’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011 per i giudizi di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 327 del 2001, senza considerare che, non essendo la causa inclusa tra quelle per cui l’art. 50bis cod. proc. civ. prescrive la decisione da parte del tribunale in composizione collegiale, il rito concretamente adottato dalla Corte territoriale corrispondeva a quello applicabile al giudizio in esame.
E’ altresì infondato il terzo motivo, riguardante l’indennizzabilità del fabbricato insistente sull’area riacquistata dal Consorzio.
Al riguardo, la sentenza impugnata ha richiamato la relazione del c.t.u., da cui risultava che lo stabilimento industriale, costruito in virtù di una concessione edilizia più volte rinnovata o prorogata e dell’autorizzazione rilasciata dall’Ufficio Tutela del Paesaggio, oltre ad essere privo del certificato di agibilità e dell’attestato di prestazione energetica, presentava, rispetto al progetto originariamente assentito, variazioni nei prospetti non risultanti dalle predette concessioni e non regolarizzate neppure in occasione di un cambio di destinazione d’uso autorizzato nell’anno 2005, ed un locale ad uso ufficio di altezza inferiore ai requisiti minimi igienico-sanitari; pur ritenendo che tali difformità, incidenti sensibilmente sul valore di riacquisto, fossero sanabili ai sensi dell’art. 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e dell’art. 16 della legge
della Regione Sardegna 23 ottobre 1985, n. 23, ad un costo piuttosto contenuto (in quanto stimato dal c.t.u. in complessivi Euro 8.500,00, a fronte di un potenziale valore venale di Euro 593.000,00), ha escluso la possibilità di riconoscere l’indennizzo per la perdita dell’immobile, osservando che la pratica per la sanatoria non era stata neppure avviata.
Tale ragionamento resiste alle critiche del ricorrente, il quale, nel lamentare l’omessa valutazione della possibilità, prevista dall’ultima parte dell’art. 38, comma secondo, del d.P.R. n. 327 del 2001, di commisurare l’indennizzo al valore della sola parte della costruzione realizzata legittimamente, eventualmente detraendo la spesa necessaria per l’eliminazione delle difformità, non tiene conto della precisazione compiuta dalla Corte d’appello, secondo cui (indipendentemente dalla modestia dell’importo necessario per il conseguimento della concessione in sanatoria) l’irregolarità urbanistico-edilizia dell’immobile incide sensibilmente sul valore di riacquisto, escludendone quindi la computabilità ai fini della liquidazione dell’indennizzo.
Nell’invocare l’art. 46, comma quarto, del d.P.R. n. 380 del 2001, che consente la vendita d’immobili affetti da irregolarità sanabili, riconoscendo all’acquirente il diritto di presentare la domanda di sanatoria, il ricorrente non considera che tale disposizione si riferisce esclusivamente agli atti di trasferimento adottati nell’ambito di procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali. In quanto rispondente alla finalità di evitare che la vendita del bene staggito possa essere impedita od ostacolata dalla presenza di costruzioni abusive, con conseguente pregiudizio per la soddisfazione dei creditori, essa non è applicabile alla fattispecie in esame, nella quale non ricorre la predetta esigenza, ma quella di evitare che, in dipendenza del riacquisto, il proprietario dell’area possa trarre vantaggio economico dall’attività edilizia svolta in contrasto con la legge. In riferimento a tale ipotesi, può ritenersi invece corretto il richiamo della sentenza impugnata ai principi in tema di espropriazione per pubblica utilità, e segnatamente a quello desumibile dallo art. 38, comma 2bis , del d.P.R. n. 327 del 2001, il quale, nel consentire di tenere conto, ai fini della liquidazione dell’indennità, anche del valore delle costruzioni realizzate abusivamente, subordina tale possibilità alla condizione, non ricorrente nel caso in esame, che, alla data dell’esproprio, l’immo-
bile sia già stato fatto oggetto di una domanda di sanatoria, non ancora scrutinata dalla Pubblica Amministrazione (cfr. Cass., Sez. I, 8/02/2019, n. 3794; 23/09/2016, n. 18694).
Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 9/10/2024