Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24913 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24913 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 27675-2021 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE Liquidazione
Coatta Amministrativa;
– intimata – avverso la sentenza n. 696/2021 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 16/06/2021 R.G.N. 1299/2019;
Oggetto
Revocazione sentenza appello
R.G.N.27675/2021
COGNOME
Rep.
Ud 24/06/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/06/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Fatti di causa
1. La signora NOME COGNOME ha agito in giudizio nei confronti della BCC Banca di Cosenza per fare accertare la nullità del termine apposto ai contratti di lavoro conclusi negli anni 2009 e 2010 quale addetta al ‘servizio segreteria organizzazione e sistemi’ presso il centro direzionale di Cosenza.
Il processo è stato interrotto a causa della messa in liquidazione coatta amministrativa della banca convenuta ed è stato riassunto nei confronti del Credito Cooperativo Centro Calabria e della Banca per lo sviluppo della cooperazione di credito spa che, in forza dell’atto di cessione del 28 giugno 2012, risultavano cessionarie delle attività e passività della banca in liquidazione.
Il Tribunale con sentenza 2014/2014 ha respinto la domanda e la Corte d’appello con sentenza n. 153/2018 ha respinto l’appello, rilevando che l’art. 4, comma 3, lett. i) dell’atto di cessione del 28 giugno 2012 esclude espressamente dalla cessione i dipendenti in servizio presso gli uffici della direzione generale della BCC.
Con ricorso del 20 novembre 2019 la signora COGNOME ha chiesto la revocazione della sentenza d’appello, ai sensi dell’art. 395 m. 3 c.p.c., allegando di essere venuta a conoscenza, casualmente, dell’esistenza di un accordo, che la BCC aveva stipulato il 26 aprile 2012 con i rappresentanti sindacali dei lavoratori, in cui si dava atto della disponibilità delle cessionarie di assumere anche il personale già assegnato alla direzione generale e non incluso nell’atto di cessione.
Con la sentenza oggi impugnata la Corte d’Appello di Catanzaro ha respinto il ricorso per revocazione ritenendo l’accordo del
26.4.2012 documento non decisivo, sia perché superato dal successivo accordo del 28.6.2012, sia perché di esso non era parte il Credito Cooperativo Centro Calabria e sia perché la disponibilità all’assunzione era subordinata ad una condizione sul cui avveramento nulla aveva allegato la ricorrente.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria. Il Credito Cooperativo Centro Calabria ha resistito con controricorso. La Banca di Cosenza Credito Cooperativa in liquidazione coatta amministrativa non ha svolto difese.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 1369, 1355 e 1411 c.c., art. 4 L. n. 223 del 1991, art. 395, comma 1, n. 3, c.p.c., nonché dell’accordo sindacale del 26.04.2012 (art. 360 c.p.c., n. 3) per avere l’impugnata sentenza, in sede di interpretazione del suddetto accordo sindacale del 26.4.2012, omesso di indagare sulla comune volontà delle parti contraenti ex art. 1362 c.c., anche in relazione all’espresso richiamo della norma di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 11, in violazione della regola di ermeneutica contrattuale che impone di considerare in via prioritaria e prevalente il senso letterale delle parole, nonché per la mancata sussunzione della fattispecie concreta (così come accertata dal giudice di merito in base alle prove e allegazioni delle parti), all’interno della fattispecie astratta prevista dall’art. 1411. c.c.
In particolare, denunciando violazione dei canoni di ermeneutica negoziale e violazione di legge in relazione alla L. n. 223 del
1991, art. 4, comma 11, nonché violazione degli artt. 1355 e 1411 c.c., si prospetta che erroneamente la Corte di merito ha ritenuto non decisivo l’accordo sindacale del 26.4.2021, atteso che la volontà delle parti collettive in esso trasfusa doveva interpretarsi in modo complessivo, unitamente al contratto di cessione di attività del 28.6.2021 e con riconduzione dell’esito interpretativo nell’alveo della previsione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 11, nel rispetto dei due fondamentali elementi che si integrano a vicenda, e cioè il senso letterale delle espressioni usate e la ” ratio ” del precetto contrattuale, nell’ambito non già di una priorità di uno dei due criteri ma in quello di un razionale gradualismo dei mezzi d’interpretazione.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’accordo del 26.4.2012, artt. 7 e 10, in relazione agli artt. 1372, 1362, 1363, 1369, 2077 c.c., 1325, n. 4 e 1350 c.c., per avere l’impugnata sentenza affermato, in violazione del principio della libertà delle forme in tema di contratto collettivo e di accordo aziendale, la cui conclusione ed efficacia è possibile anche in forma orale o per fatti concludenti, che l’accordo sindacale del 26.4.2012 era stato superato dall’att o di cessione di attività e passività del 28.6.2012 e, comunque, non era vincolante per la Banca Centro Calabria, in quanto tale atto non era stato dalla stessa stipulato.
3. Con il terzo motivo si censura la sentenza per violazione dell’art. 360 n. 5, c.p.c. per aver omesso di considerare, quale fatto decisivo, l’adesione espressa da parte di Banca Centro Calabria all’accordo del 26.4.2012, contenuta nell’allegato B all’att o di cessione di attività e passività del 28.6.2012. Trattasi di fatto decisivo, in quanto è certo che se fosse stata presa in considerazione l’espressa adesione di Banca Centro Calabria all’accordo sindacale del 26.4.2012, documentata dall’allegato
B all’atto di cessione del 28.6.2012 (cfr. Doc. n. 5), la Corte non avrebbe potuto sostenere né il superamento dell’accordo sindacale del 26.4.2012 da parte dell’atto di cessione di attività e passività del 28.6.2012, né la non vincolatività del menzionato accordo sindacale per mancata stipulazione della Banca Centro Calabria, ovvero l’esistenza di una condizione sospensiva che per tabulas risultava avverata proprio in forza della pattuizione sindacale.
I motivi di ricorso, da trattare congiuntamente per connessione logica, sono inammissibili.
L’art. 395 n. 3 c.p.c. prevede che possono essere impugnate per revocazione le sentenze d’appello (passate in giudicato) ‘se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di fo rza maggiore o per fatto dell’avversario’.
Questa Corte ha chiarito che la decisività del documento, ai fini della proponibilità della domanda di revocazione a norma dell’art. 395, n. 3, c.p.c., postula che esso sia idoneo, mediante la prova diretta dei fatti di causa, a provocare una statuizione diversa, evidenziando che il giudice della sentenza revocanda avrebbe adottato una pronuncia di segno opposto ove ne avesse avuto conoscenza. Ne consegue che una siffatta decisività va negata non soltanto quando l’atto ritrovato possa offrire semplici elementi indiziari, utilizzabili per dimostrare quei fatti esclusivamente nel concorso con altri dati, ma anche quando dia la prova diretta di un fatto che non sia stato ritenuto determinante per la definizione della contesa, e che potrebbe palesarsi risolutivo solo in esito ad una revisione dell’apprezzamento della sua irrilevanza (Cass. n. 13650 del 2004; v. anche Cass. n. 29385 del 2011). Si è aggiunto che l’apprezzamento dell’efficacia probatoria e del carattere
di decisività del nuovo documento, prodotto a sostegno dell’istanza di revocazione, rientra nei poteri del giudice di merito e pertanto è incensurabile in sede di legittimità se sorretto da sufficiente e coerente motivazione (così Cass. n. 9639 del 2006), o meglio da motivazione rispondente ai requisiti di cui all’art. 132 c.p.c. (v. Cass., S.U. n. 8053 e 8054 del 2014). Nel caso in esame, la decisività del documento in questione è argomentata dalla parte ricorrente attraverso il filtro della erronea interpretazione dello stesso e dell’erronea valutazione delle circostanze sulla cui base la Corte d’appello ha negato il carattere dirimente del documento medesimo.
In via di premessa, è utile ribadire che l’interpretazione degli atti negoziali, ed anche degli atti unilaterali, si sostanzia in un accertamento di fatto (cfr. Cass. n. 9070 del 2013; n. 12360 del 2014), riservato all’esclusiva competenza del giudice del merito (cfr. Cass. n. 22318 del 2023; n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006), e che le censure di violazione dei canoni ermeneutici, proponibili in sede di legittimità, non possono esaurirsi nella prospettazione di una interpretazione alternativa, fondata sulla valorizzazione di alcune espressioni piuttosto che di altre, ma devono rappresentare elementi idonei a far ritenere erronea la lettura data dal giudice del merito, cui l’attività di interpretazione dell’atto è riservata (cfr., Cass. n. 18214 del 2024; n. 15471 del 2017; n. 27136 del 2017; n. 18375 del 2006).
Le censure mosse da parte ricorrente si limitano a giustapporre una diversa lettura rispetto a quella fatta propria dai giudici di merito e ciò è sufficiente, oltre che a rendere le stesse inammissibili alla luce dei principi appena richiamati, a disvelare la non decisività del documento posto a base della revocazione, proprio perché inidoneo a fornire di per sé la prova diretta dei
fatti di causa, bensì tale da portare nel processo elementi e dati indiziari, suscettibili di valutazione unitamente ad altri dati ed elementi, cioè altri atti e altri comportamenti che lo stesso ricorrente elenca e illustra nei motivi di ricorso.
Tanto basta a condurre alla declaratoria di inammissibilità del ricorso.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo. Non si provvede sulle spese nei confronti della Banca di Cosenza Credito Cooperativo in liquidazione coatta amministrativa rimasta intimata.
La declaratoria di inammissibilità del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 24 giugno 2025.