Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22141 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 22141 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 18390-2023 proposto da:
NOME, domiciliata in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Centrale dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza n. 6904/2023 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 08/03/2023 R.G.N. 29234/2020;
R.G.N. 18390/2023
COGNOME.
Rep.
Ud. 30/05/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/05/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 6904 del 2023 ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza della Corte di appello di Bari che aveva confermato la decisione di primo grado con la quale era stata ritenuta infondata la domanda avanzata nei confronti dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e del Comune RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE Conversano di accertamento del diritto alla regolarizzazione contributiva della sua posizione per il periodo dal 1.9.1981 al 30.11.1988 in relazione all’espletamento di fatto di attività lavorativa.
1.1. Con la sua ordinanza la Corte ha esaminato i quattro motivi di ricorso congiuntamente ritenendoli connessi e li ha ritenuti inammissibili per le seguenti ragioni: in primo luogo ha ricordato che l’assicurato non può agire per la condanna dell’RAGIONE_SOCIALE alla regolarizzazione in caso di omesso versamento di contributi da parte del datore di lavoro anche quando l’ente previdenziale sia venuto a conoscenza dell’inadempimento contributivo prima della decorrenza del termine di prescrizione e non si sia tempestivamente attivato per l’adempimento nei confronti del datore di lavoro obbligato. Ha sottolineato che, come correttamente ritenuto dal giudice di appello, ciò che si può chiedere ed ottenere è la costituzione da parte dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE della rendita vitalizia ex art. 13 della legge n. 1338 del 1962 ed il risarcimento ex art. 2116 c.c.. Conseguentemente la Corte di merito aveva ritenuto che la domanda avanzata dalla ricorrente nei confronti del solo RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, sia nel ricorso iniziale che in sede di riassunzione, non fosse un’azione di regolarizzazione atteso che questa avrebbe potuto essere indirizzata solo al datore di lavoro. Ha allora evidenziato che, non essendo stata tale ratio
essenziale della sentenza di appello incisa dal ricorso questo era per ciò solo inammissibile.
1.2. Inoltre, la Cassazione ha sottolineato che le censure erano affastellate e promiscue così che non erano identificabili i singoli capi della sentenza che s’intendevano impugnare e che non si poteva richiedere al giudice di legittimità di estrarre le ragioni su cui decidere. L’ordinanza ha poi evidenziato che n on era stata né trascritta né prodotta la sentenza che aveva disposto la riassunzione del processo al primo giudice, che neppure è stata localizzata. Inoltre, non erano stati localizzati neppure tutti gli altri elementi istruttori a cui le censure rimandavano con violazione dell’art. 369 secondo comma n. 4 c.p.c., così come modificato dall’art. 7 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40.
1.3. Ha poi ricordato che l’interpretazione della domanda appartiene al giudice dinanzi al quale era stato riassunto il processo ( il quale l’aveva dichiarata inammissibile per carenza del diritto fatto valere).
1.4. Ha escluso che fosse ravvisabile un vizio di ultrapetizione atteso che, come risultava dalla sentenza impugnata, la domanda conteneva una richiesta di accertamento del diritto alla regolarizzazione contributiva con condanna dell’I NPS alla costituzione della corrispondente posizione previdenziale e dunque, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. , occorreva denunziare che il Giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, aveva posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dai poteri officiosi riconosciutigli e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, avesse attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. . Ha ritenuto che la domanda originariamente proposta e reiterata nella
riassunzione non potesse portare all’accoglimento della domanda di condanna dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE il quale resta mero accipiens dei contributi. Infine, ha ritenuto inammissibili le censure volte a censurare il merito delle scelte e delle valutazioni dei mezzi istruttori da parte del giudice dell’appello.
Per la revocazione della sentenza ricorre NOME COGNOME che articola due motivi illustrati da memoria . Resiste l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE con controricorso insistendo per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO CHE
Con il primo motivo di ricorso, NOME COGNOME deduce l’erronea percezione dei fatti, in particolare relativi ad antefatti processuali riportati dalla sentenza nella parte dedicata allo svolgimento del processo. Il motivo fa derivare da tale errata percezione conseguenze per sé pregiudizievoli, ovvero: la Corte non avrebbe considerato che l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE non si era opposto alla regolarizzazione della posizione contributiva, e avrebbe errato sulla natura assistenziale e non retributiva delle somme percepite dalla ricorrente ad opera del Comune di Conversano. Il motivo adduce altresì errore di fatto laddove la sentenza aveva escluso che il ricorso localizzasse i documenti su cui si fondava. Si lamenta infine che la Corte avrebbe erroneamente escluso l’avvenuto uso di prove poste a fondamento della decisione e non introdotte dalle parti, così come avrebbe erroneamente escluso che la ricorrente avesse contestato la violazione di norme processuali e sostanziali, anziché dolersi solo della mancata valutazione di elementi istruttori.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce che la sentenza avrebbe violato i diritti fondamentali previsti dalla Convenzione EDU, non avendo proceduto ad un esame molto attento e rigoroso di ogni elemento in fatto, e in particolare di vari elementi probato ri allegati da cui risultava l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con il Comune di Conversano.
Il primo motivo è inammissibile.
5.1. Va premesso che l’errore ha rilevanza a fini revocatori solo se sia essenziale e decisivo, poiché su di esso poggia la decisione (cfr. Cass.4678 del 2022).
5.2. Orbene, i pretesi errori di fatto dedotti con il motivo di revocazione attengono tutti a punti che hanno costituito oggetto della decisione.
5.3. Si deve poi aggiungere che, al di là della tecnica di assemblamento che caratterizza il motivo, il quale ritrascrive larghi passi degli atti precedenti, gli argomenti utilizzati prospettano errore di giudizio e non di fatto.
5.4. È errore di giudizio quello che verte sulla cattiva applicazione dell’art. 115 c.p.c. da parte dell’ordinanza impugnata. Ugualmente errore di giudizio è quello con cui ci si duole del fatto che erroneamente si sarebbe ritenuto che non era stato provato il rapporto di lavoro subordinato che invece si assume che risultava chiaramente dalle prove acquisite nel processo.
5.5. Va ribadito che sono errori di giudizio quelli che vertono sull’apprezzamento delle prove. Quanto alla localizzazione degli atti, ancora una volta il motivo deduce un errore di giudizio e non di fatto atteso che la sentenza ha escluso la localizzazione evidenziando che il ricorso non riportava l’indicazione della copia degli atti o della loro presenza nel fascicolo d’ufficio . Il motivo di revocazione fa riferimento ad una localizzazione che, con autonoma e diversa valutazione, si assume essere sufficiente (lett. c).
5.6. Va allora ricordato che l’errore nella valutazione degli atti processuali sottoposti al controllo della Cassazione è errore di giudizio e non di fatto poiché si risolve al più in un inesatto apprezzamento delle risultanze processuali (cfr. Cass. 5326 del 2023).
Il secondo motivo è parimenti inammissibile.
6.1. Premesso che non si verte in tema di revocazione ex art.391-quater c.p.c., poiché non è intervenuta alcuna sentenza della Corte EDU che abbia riconosciuto come contrario alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali ovvero ad uno dei suoi Protocolli il contenuto della sentenza qui impugnata, il motivo in realtà si limita a dedurre un errore di giudizio: la sentenza avrebbe dovuto aver riguardo ad alcuni elementi istruttori trascurati. Poiché si è al di fuori dell’errore di fatto, non sussistono i
presupposti della revocazione.
Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna alle spese secondo soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio di cassazione, che si liquidano in € 2.500,00 per compensi professionali , € 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali e accessori di legge.
dà atto che, attesa l’inammissibilità, sussiste il presupposto processuale di applicabilità dell’art.13, co.1 quater, d.P.R. n.115/02, con conseguente obbligo in capo alla ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
Così deciso in Roma all’adunanza camerale del 30 maggio 2024