Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 22308 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 3 Num. 22308 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/08/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 27440/2020 proposto da:
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (EMAIL);
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME;
– intimato – avverso la sentenza n. 1580/2020 della CORTE D’APPELLO DI FIRENZE, depositata il 12/08/2020;
udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 3/06/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
udito il sostituto procuratore generale, in persona del AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
udito il difensore del ricorrente comparso in udienza;
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 3264/2003, il Tribunale penale di Firenze ha condannato NOME COGNOME alla pena di legge in relazione alla commissione del reato di sottrazione di beni pignorati ( ex art. 388 c.p.), e lo ha altresì condannato, genericamente, al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede in favore della parte civile, NOME COGNOME.
Instaurato il procedimento civile per la liquidazione dei danni, lo stesso Tribunale di Firenze, con sentenza n. 1880/2006, ha condannato il COGNOME al risarcimento dei danni in favore del COGNOME per l’importo di 4.959,30 euro, oltre accessori.
A seguito di istanza di revisione proposta dal COGNOME, la Corte d’appello di Genova ha pronunciato sentenza n. 2507/2013 con la quale ha revocato la sentenza penale del Tribunale fiorentino, assolvendo il COGNOME per insussistenza del fatto.
NOME COGNOME ha quindi impugnato la sentenza civile del Tribunale di Firenze n. 1880/2006 per revocazione, ai sensi dell’art. 395, n. 2 e n. 4 c.p.c., per essere state dichiarate false le prove circa la sottrazione dei beni pignorati e per errore di fatto sulla presenza del COGNOME all’asporto dei beni staggiti, chiedendo, in sede rescissoria, che venisse accertata l’insussistenza del diritto del COGNOME al risarcimento del danno.
Con sentenza n. 2486 del 28.06.2016, il Tribunale di Firenze ha dichiarato inammissibile l’impugnazione per revocazione, condannando il COGNOME al pagamento delle spese di lite ed altresì per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c..
Con sentenza n. 1580 resa in data 12/08/2020, la Corte d’appello di Firenze, pur rilevando l’ammissibilità della revocazione, l’ha dichiarata infondata, respingendo la domanda del COGNOME e condannandolo al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio (ma senza la condanna per responsabilità aggravata).
A fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha preliminarmente rilevato l’insussistenza dei presupposti per la revocazione ex art. 395, n. 4 c.p.c., atteso che l’errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa avrebbe potuto essere rilevato anche sulla base della sola sentenza, e costituire pertanto motivo di tempestivo appello.
Quanto all’ipotesi di cui all’art. 395, n. 2 c.p.c., la corte fiorentina ha affermato che il COGNOME, già costituito parte civile nel giudizio sfociato nella sentenza penale del 2003, non era stato citato nel giudizio di revisione, in violazione degli artt. 636 e 601 c.p.p., e non vi aveva pertanto partecipato, con la conseguenza che, prevalendo la formulazione ‘speciale’ dell’art. 639 c.p.p. (secondo cui ‘ la corte di appello quando pronuncia sentenza di proscioglimento a seguito di accoglimento della richiesta di revisione ordina la restituzione delle somme pagate in esecuzione della condanna per le pene pecuniarie, per le misure di sicurezza patrimoniali, per le spese processuali e di mantenimento il carcere e per il risarcimento dei danni a favore della parte civile citata per il giudizio di revisione ‘) su quella ‘generale’ dell’art. 574, co. 4, c.p.p. (secondo cui ‘ l’impugnazione dell’imputato contro la pronuncia di condanna penale o di assoluzione estende i suoi effetti alla pronuncia di condanna alle restituzioni, al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese processuali, se questa pronuncia dipende dal capo o dal punto impugnato ‘), correttamente la Corte d’appello di Genova aveva limitato l’ordine di restituzione a quanto
pagato per le spese processuali (e non anche di quanto statuito a titolo risarcitorio), attesa l’inopponibilità della sentenza di revisione nei confronti della parte civile non costituita e quindi non messa in condizione di eccepire, nel dibattimento di revisione, l’inammissibilità della stessa revisione richiesta, in riferimento al risarcimento disposto.
Ciò posto, secondo la Corte d’appello di Firenze, avendo il COGNOME ottenuto la revisione della sentenza penale di condanna in carenza di contraddittorio con la parte civile, lo stesso non avrebbe potuto ottenere tout court , in sede civile, la revocazione della sentenza di condanna al risarcimento dei danni sul presupposto di detta revisione, per l’evidente carenza dei presupposti richiesti per la revocazione in ragione dell’inopponibilità della sentenza penale di revisione.
Avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione.
NOME COGNOME non ha svolto difese in questa sede.
Avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380bis .1 c.p.c., con ordinanza interlocutoria n. 4782 del 22/02/2024, il ricorso è stato rinviato a nuovo ruolo ai fini della discussione in udienza pubblica.
Il sostituto procuratore generale ha depositato le proprie conclusioni per iscritto, instando per il rigetto del ricorso.
NOME COGNOME ha depositato memoria.
RAGIONI COGNOMEA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione, falsa ed erronea applicazione dell’art. 395 n. 2 c.p.c., omessa applicazione dell’art. 336 co. 2 c.p.c. e 574 c.p.p., oltre all’erronea applicazione degli artt. 636 e 639 c.p.p. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di riconoscere, sulla base del combinato disposto delle norme
richiamate, che la sentenza di assoluzione emanata in esito al giudizio di revisione estende i suoi effetti anche alla pronuncia di condanna al risarcimento dei danni emessa in un separato giudizio civile di liquidazione del danno.
Assume, al riguardo, il ricorrente che la sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto, anche se pronunciata ad esito del giudizio di revisione senza la partecipazione della parte civile, è comunque destinata a produrre i suoi effetti anche sulla dipendente sentenza civile di liquidazione del danno (nella specie, sulla sentenza n. 880/06 del Tribunale di Firenze), che è quindi destinata ad essere rimossa ed annullata, o tramite procedimento di revocazione (perché emessa in base a prove dichiarate false nel procedimento di revisione), o automaticamente, per il solo fatto della pronuncia di assoluzione.
Il motivo è inammissibile.
Osserva il Collegio come, sulla base dell’esame degli atti (ai quali la Corte di cassazione è legittimata ad accedere in caso di denuncia di errores in procedendo : cfr., ex plurimis , Sez. U, Sentenza n. 20181 del 25/07/2019, Rv. 654876 – 01), sia emerso come il COGNOME abbia limitato l’oggetto della domanda introduttiva dell’odierno giudizio alla sola proposizione di un’azione di revocazione ex art. 395 nn. 2 e 4 c.p.c., senza che dal contesto complessivo della domanda originariamente proposta sia possibile dedurre l’eventuale estensione della pretesa del COGNOME a una diversa verifica dell’incidenza, per altra via , della pronuncia emessa in sede penale (a seguito di revisione) sulla sentenza civile di liquidazione del danno (passata in giudicato).
Ciò posto, la censura in esame deve ritenersi inammissibile, atteso che l’odierno ricorrente, a fronte della statuizione di infondatezza aAVV_NOTAIOata dal giudice a quo sulla domanda di revocazione originariamente proposta, ha del tutto trascurato di fornire alcun
adeguato riscontro, né l’allegazione di specifiche e mirate evidenze in ordine al preteso avvenuto riconoscimento (o alla pretesa avvenuta dichiarazione) della falsità delle prove sulla base delle quali sarebbe stata pronunciata la sentenza in questa sede impugnata per revocazione (ai sensi dell’art. 395 n. 2 c.p.c.).
Osserva al riguardo il Collegio come, sulla base del principio di necessaria e completa allegazione del ricorso per cassazione ex art. 366 n. 6 c.p.c. (valido oltre che per il vizio di cui all’art. 360, comma primo, n. 5 anche per quelli previsti dai nn. 3 e 4 della stessa disposizione normativa), il ricorrente che denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, non può limitarsi a specificare soltanto la singola norma di cui, appunto, si denunzia la violazione, ma deve indicare gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività di detta violazione (cfr. Sez. L, Sentenza n. 9076 del 19/04/2006, Rv. 588498).
Siffatto onere sussiste anche allorquando il ricorrente affermi che una data circostanza debba reputarsi comprovata dall’esame degli atti processuali, con la conseguenza che, in tale ipotesi, il ricorrente medesimo è tenuto ad allegare al ricorso gli atti del processo idonei ad attestare, in relazione al rivendicato diritto, la sussistenza delle circostanze affermate, non potendo limitarsi alla parziale e arbitraria riproduzione di singoli periodi estrapolati dagli atti processuali propri o della controparte.
È appena il caso di ricordare come tali principi abbiano ricevuto l’espresso avallo della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr., per tutte, Sez. Un., Sentenza n. 16887 del 05/07/2013), le quali, dopo aver affermato che la prescrizione dell’art. 366, n. 6, c.p.c., è finalizzata alla precisa delimitazione del thema decidendum , attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di porre a
fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente, onde non può ritenersi sufficiente in proposito il mero richiamo di atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi (Sez. Un., Sentenza n. 23019 del 31/10/2007, Rv. 600075), hanno poi ulteriormente chiarito che il rispetto della citata disposizione del codice di rito esige che sia specificato in quale sede processuale nel corso delle fasi di merito il documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti proAVV_NOTAIOo, dovendo poi esso essere anche allegato al ricorso a pena d’improcedibilità, in base alla previsione del successivo art. 369, comma 2, n. 4 (cfr. Sez. Un., Sentenza n. 28547 del 02/12/2008 (Rv. 605631); con l’ulteriore precisazione che, qualora il documento sia stato proAVV_NOTAIOo nelle fasi di merito e si trovi nel fascicolo di parte, l’onere della sua allegazione può esser assolto anche mediante la produzione di detto fascicolo, ma sempre che nel ricorso si specifichi la sede in cui il documento è rinvenibile (cfr. Sez. Un., Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010, Rv. 612109, e, con particolare riguardo al tema dell’allegazione documentale, Sez. Un., Sentenza n. 22726 del 03/11/2011, Rv. 619317).
Rimane in ogni caso pur sempre fermo che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. -quale corollario del requisito di specificità dei motivi anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU COGNOME e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non sia interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, non potendo tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il
contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (v. Sez. U, Ordinanza n. 8950 del 18/03/2022 (Rv. 664409 01).
Con particolare riguardo all’ipotesi della deduzione di errores in procedendo (tali da legittimare l’esercizio, ad opera del giudice di legittimità, del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito), varrà considerare come la stessa presupponga pur sempre l’ammissibilità del motivo di censura, avuto riguardo al principio di specificità di cui all’art. 366, comma 1, n. 4 e n, 6, c.p.c., che deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa COGNOME ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (cfr. Sez. L, Ordinanza n. 3612 del 04/02/2022, Rv. 663837 -01; Sez. 1, Ordinanza n. 24048 del 06/09/2021, Rv. 662388 – 01).
Nella violazione di tali principi deve ritenersi incorso il ricorrente con il motivo d’impugnazione in esame, atteso che lo stesso, nel dolersi della pretesa erroneità della pronuncia di infondatezza della propria domanda di revocazione, ha tuttavia omesso di fornire alcuna idonea e completa indicazione (né alcuna adeguata localizzazione negli atti nel processo) circa gli atti processuali e i documenti (e il relativo contenuto) comprovanti il ricorso effettivo di detto errore (con particolare riguardo all’effettivo e incontrovertibile riconoscimento
della falsità delle prove sulle base delle quali sarebbe stata fondata la sentenza impugnata per revocazione), con ciò precludendo a questa Corte la possibilità di apprezzare la concludenza delle censure formulate al fine di giudicare la fondatezza del motivo d’impugnazione proposto.
Con il secondo motivo, il ricorrente censura sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale, dopo aver ritenuto infondata la domanda di revocazione, erroneamente omesso di pronunciarsi sulla domanda di accertamento dell’insussistenza del credito del COGNOME e di condanna dello stesso alla restituzione delle somme riscosse, tanto a titolo di risarcimento danni, quanto a titolo di rimborso delle spese di lite e di spese di esecuzione; e ciò, non già in conseguenza del (negato) effetto rescissorio della domanda di revocazione, bensì in via autonoma, quale effetto diretto dell’accoglimento della domanda di revisione ai sensi dell’art. 336 co. 2 c.p.c..
Il motivo è infondato.
Osserva il Collegio (in conformità a quanto già osservato con riferimento al primo motivo d’impugnazione) come la pretesa originariamente avanzata dal COGNOME attraverso l’instaurazione dell’odierno giudizio sia stata dallo stesso limitata alla sola proposizione di un’azione di revocazione ai sensi dell’art. 395 nn. 2 e 4 c.p.c..
In forza di tale premessa, deve pertanto escludersi che il COGNOME abbia mai associato, alla proposta domanda di revocazione, una diversa domanda fondata sull’accertamento della caducazione della sentenza civile come effetto diretto dell’accoglimento della domanda di revisione in sede penale.
Varrà peraltro rilevare come il giudice d’appello abbia espressamente sottolineato che alla rilevata infondatezza dell’azione di
revocazione ‘ non può con tutta evidenza conseguire la fase c.d. rescissoria di giudizio sulla ritenuta insussistenza del credito, come prospettato e richiesto dall’appellante. L’accertamento ha carattere assorbente di ogni altra eccezione e domanda di parte ‘.
Deve pertanto ritenersi che la corte territoriale non abbia affatto omesso di pronunciarsi sulla domanda del COGNOME volta all’accertamento dell’insussistenza del credito del COGNOME, avendola bensì ritenuta assorbita in forza delle considerazioni esposte in relazione alla ritenuta infondatezza dell’azione di revocazione.
Varrà, da ultimo, considerare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi inconfigurabile il vizio di omesso esame di una questione (connessa ad una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o sollevabile d’ufficio), quando debba ritenersi che tali questioni od eccezioni siano state esaminate e decise implicitamente (Sez. 1, Sentenza n. 7406 del 28/03/2014, Rv. 630315 – 01).
Nella specie, la decisione della corte territoriale deve ritenersi tale da aver (quantomeno implicitamente) ritenuto di non dover decidere sulla domanda del COGNOME volta all’accertamento dell’insussistenza del diritto al risarcimento del danni in capo al COGNOME, non avendo quest’ultimo preso parte al giudizio di revisione penale che ‘ avrebbe ‘ riconosciuto la falsità delle prove illo tempore utilizzate ai fini della condanna penale del COGNOME e, conseguentemente, ai fini della condanna civile di quest’ultimo al risarcimento in favore del COGNOME.
Sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso.
Non vi è luogo per l’adozione di alcuna statuizione in ordine alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità, non avendo l’intimato svolto difese in questa sede.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione