Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32854 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32854 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1025/2024 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende-
-RICORRENTE- contro
NOME e NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, che li rappresenta e difende. -CONTRORICORRENTI- avverso la sentenza della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE n. 18406/2023, depositata il 28/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha proposto ricorso per revocazione in due motivi avverso la sentenza n. 18406/2023.
NOME COGNOME e NOME COGNOME resistono con controricorso.
In prossimità dell’adunanza camerale le parti hanno depositato memorie illustrative.
La COGNOME ha agito per ottenere la rescissione per lesione di un contratto preliminare di vendita dell’immobile descritto in atti , promesso agli attuali resistenti per il prezzo di £. 310.000.000. La domanda è stata accolta dal tribunale di Velletri, respingendo la riconvenzionale volta ad ottenere il trasferimento del bene ai sensi dell’art. 2932 c.c. .
La pronuncia di appello, che ha riformato la prima decisione, respingendo la richiesta della promittente venditrice e disponendo il trasferimento d ell’immobile a favore dei promissari acquirente, è stata cassata con sentenza n. 13114/2010, rilevando che il c.t.u., nello stimare il bene, aveva applicato un coefficiente di riduzione per la mancanza di un posto auto autonomo, non considerando la possibilità di realizzare un’a utorimessa per la quale era stato concesso il permesso a costruire, e non aveva considerato l’incremento di valore dell’immobile conseguente al diritto di prelazione attribuito agli acquirenti in caso di vendita da parte della COGNOME della proprietà del lastrico solare.
Il giudice del rinvio, disposta la rinnovazione della c.t.u. ed accertata la lesione ultra dimidium , ha ricondotto il contratto ad equità e ha disposto il trasferimento del bene ex art. 2932 c.c., sotto condizione di pagamento del residuo prezzo di compravendita, pari ad €. 278.886,72.
Anche detta sentenza è stata cassata con pronuncia n. 15338/2018, ritenendo che il bene dovesse essere stimato alle condizioni di mer cato; all’esito il giudice di rinvio, ha negato la sussistenza della lesione e ha disposto il trasferimento previo pagamento in favore di NOME COGNOME di euro 118.785,00, oltre interessi legali dal 31/12/1998 al saldo.
L’ulteriore ricorso in cassazione della RAGIONE_SOCIALE è stato respinto con la pronuncia impugnata.
Questa Corte ha ritenuto infondato il primo motivo di censura riguardo all’omesso esame della CTU Ing. COGNOME nominato dalla nel giudizio di rinvio definito con sentenza n. 5733/2016, osservando che il giudice di rinvio si era attenuto al criterio fissato dalla precedente pronuncia di cassazione, che aveva stabilito che la stima non andava effettuata sulla base del valore intrinseco dell’immobile ma dei prezzi correnti o mediamente ottenibili in una normale contrattazione di mercato temporalmente fissata, valore che – con riferimento al caso concreto -avuto riguardo alle trattative intercorse, non aveva superato l’importo di L. 400.000.000, tenuto conto anche dell’offerta che era stata fatta alla COGNOME da altro soggetto interessato all’acquisto (tale COGNOME), la cui vicenda contrattuale era poi sfociata in sede penale con la condanna della ricorrente per ‘truffa contrattuale’ (per aver stipulato un secondo preliminare relativo allo stesso immobile già promesso in vendita agli attuali ricorrenti’ ).
La pronuncia ha escluso una notevole sproporzione tra le rispettive prestazioni, ponendo in rilievo che il giudice del rinvio, valutate le deposizioni di testi COGNOME e COGNOME che avevano dichiarato che il bene era stato posto in vendita a L. 370.000.000, e il preliminare di vendita COGNOME–COGNOME avvenuta un mese prima della conclusione del contratto di cui si discute (in cui era stato dichiarato, ancorché fittiziamente, il prezzo di £. 400.000.00 risultato in linea i valori di mercato), aveva affermato che ‘ il minor valore di L. 310.000.000 di cui al preliminare inter partes non solo può derivare dall’esito della trattativa che nella allegazione degli appellanti era partita dalla somma di L. 340.000.000 (valore che non risulta contestato ex adverso); ma che la trattativa può aver tenuto conto delle obiettive carenze dell’immobile evidenziate dai promissari acquirenti ‘, quali la mancanza del certificato di abitabilità e di un’autorimessa per il
ricovero dell’autovettura. Non era invece possibile utilizzare la c.t.u. dell’ing. COGNOME poiché la valutazione espressa dall’ausiliario era stata censurata dalla pronuncia di legittimità n. 15338/2018.
Questa Corte ha respinto anche il secondo motivo, concernente l’omesso esame di plurimi elementi o deduzioni difensive ( l’inattendibilità di alcune deposizioni testimoniali , le argomentazioni presenti in sentenza per determinare la lesione ‘ultra dimidium’, la mancata considerazione delle circostanze emerse nella CTU resa nel giudizio dinanzi alla Corte di Appello di Roma definito con la sentenza n. 5733/2016, il fatto la COGNOME aveva dimostrato che i coniugi COGNOME e COGNOME erano consapevoli dell’altrui stato di bisogno; l’impossibilità di tener conto del valore del preliminare concluso tra la COGNOME e dichiarato falso), sostenendo che la censura sollecitava semplicemente una rivalutazione delle prove senza effettivamente individuare un fatto storico, inteso come accadimento oggettivo, trascurato dal giudice del rinvio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 395 n. 4 c.p.c. , sostenendo che il giudice di legittimità sarebbe incorso nell’err ore di ritenere corretta la stima del bene in base al prezzo del preliminare di vendita concluso tra la COGNOME ed un terzo (Halabi) che in sede penale era stato ritenuto falso, conseguendone che anche quel prezzo era inattendibile, sicché la decisione sarebbe basata su una circostanza negata dagli atti processuali. Si sostiene che il giudice del rinvio avrebbe dovuto considerare le risultanze della c.t.u. espletata nel primo giudizio di rinvio, redatta dall’ing. COGNOME che aveva correttamente accertato il più probabile valore del bene e la notevole sproporzione tra le reciproche prestazioni.
Il motivo è inammissibile.
Il criterio di stima cui si doveva attenersi (e cui si è attenuto) il giudice di rinvio era stato individuato dalla precedente sentenza di legittimità n. 15338/2018, che aveva ordinato la rinnovazione della
stima, prescrivendo esplicitamente di tener conto del prezzo dichiarato preliminare che la RAGIONE_SOCIALE aveva fittiziamente concluso con terzi.
La sentenza impugnata si è limitata a prender atto che il giudice si era conformato al principio enunciato in cassazione, stabilendo, inoltre, che proprio in virtù della sentenza di legittimità, non era possibile tener conto della c.t.u. COGNOME.
Non vi è quindi l’ errata percezione della verità di un fatto smentito dalle risultanze processuali, ma una valutazione di coerenza della decisione di rinvio rispetto al dictum di legittimità, non suscettibile di esser posto in discussione.
Neppure risponde al vero che il giudice penale abbia accertato la incongruità del prezzo del preliminare tra la COGNOME e l’COGNOME, essendosi limitato a stabilire che le parti non avevano inteso perfezionare alcun trasferimento, pur avendo dichiarato un prezzo risultato congruo poiché confermato dalle altre risultanze, come si legge a pag. 7 della pronuncia impugnata, sicché, anche sotto tale profilo, l’errore è insussistente.
2. Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 395 n. 4 c.p.c. , sostenendo che, nello scrutinare il secondo motivo del ricorso, la Corte abbia affermato che la ricorrente non aveva individuato il fatto storico asseritamente omesso, indicazione che era contenuta nell’impugnazione, ove era denunciata a) l’ inattendibilità delle testimonianze; b) l ‘ erroneità delle argomentazioni esposte in sentenza per determinare la lesione ‘ ultra dimidium ‘ . Si sostiene che dalle testimonianze assunte in primo grado era stata confermata la condizione di difficoltà economica che avevano indotta la COGNOME a concludere il preliminare, testimonianze che non erano state affatto richiamate in maniera generica, essendo individuati i fatti emersi e la loro rilevanza.
Anche tale motivo è inammissibile.
Le ragioni di doglianza formulate dalla ricorrente risultano illustrate in sentenza senza alcun travisamento del loro contenuto (cfr. pag. 9 e 10); il fatto che la censura si risolvesse in una richiesta di rivalutazione delle prove e in una generica critica della pronuncia, inammissibile in cassazione, appare non già effetto di una svista materiale sull’oggetto del motivo, ma di un apprezzamento della idoneità del mezzo a sollecitare il controllo di legittimità sulla violazione denunciata, mancando effettivamente l’individuazione di uno specifico fatto storico non esaminato, diverso da quelli valutati o implicitamente disattesi nei vari gradi di giudizio, come invero si rileva dallo stesso contenuto del ricorso per revocazione.
La stessa ritenuta genericità del richiamo alle testimonianze appare frutto di un’attività valutativa non suscettibile di inte g rare l’errore di fatto.
Va, in definitiva, ribadito che l’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa (Cass. s.u. 31032/2019). Occorre che il Collegio di legittimità sia incorso in una svista su dati oggettivi, produttiva dell’affermazione o negazione di elementi decisivi per risolvere la questione sottoposta al suo esame; la richiesta di revocazione non può risolversi, invece, nella proposta di una soluzione giuridica diversa da quella adottata riguardo a singoli aspetti della controversia (Cass. 3494/2013; Cass. 22868/2012).
Il ricorso è pertanto dichiarato inammissibile, con aggravio delle spese processuali.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 10800,00 per compensi ed € 200,00 per es borsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione