Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23773 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 23773 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 16373-2023 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza n. 4318/2023 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 13/02/2023 R.G.N. 8884/2019;
Oggetto
REVOCAZIONE
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 08/02/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/02/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Con sentenza depositata il 13.2.2023 la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto da NOME COGNOME contro RAGIONE_SOCIALE, avverso la sentenza della Corte di appello di L’Aquila n. 29 del 2019 avente ad oggetto l’impugnativa del l icenziamento disciplinare intimato con lettera del 30.4.2015, rilevando, in sintesi, la mancata violazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 e, dunque, la valida comunicazione della contestazione disciplinare, l’inammissibilità dei motivi proposti ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (in ordine alle condotte inadempienti tenute dal lavoratore) a fronte della impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme, la correttezza formale della lettera di licenziamento.
NOME COGNOME ne chiede la revocazione, affidata a due motivi, sull’assunto che i giudici di legittimità – laddove hanno ritenuto che il COGNOME non avesse partecipato alle riunioni aziendali e avesse inoltrato tardivamente le richieste di fruire di permessi ex legge n. 104 del 1992 – sarebbero incorsi nell’errore di percezione previsto dall’art. 395, n. 4 cod.proc.civ. perché non avrebbero correttamente ed esaustivamente considerato la documentazione prodotta (docc. 23, 10.1, 10.2, 10.3, 6, 8, 28, 12-20), tra cui, alcuna, falsa, nonchè le deposizioni testimoniali (testi COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME); la produzione parziale, inoltre, da parte della società dei fogli presenza, relativi alle riunioni aziendali (invece che della integralità dei fogli presenza relativi a tutte le riunioni) palesa il chiaro intento doloso del datore di lavoro per indurre il giudicante ad accertare l’assenza del lavoratore.
La società resiste con controricorso.
Le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di revocazione si deduce erronea percezione dei fatti, risultando documentalmente provato (doc. 23 prodotto dalla società) che sussistesse una procedura di convocazione ufficiale alle riunioni aziendali (mentre così non era) e che fosse necessaria la presenza del COGNOME a tutte le riunioni aziendali (docc. 10.1, 10.2, 10.3, mentre se si fossero prodotti i fogli-presenza di tutte le riunioni si sarebbe verificato che non era sempre necessaria la presenza di tutti i lavoratori del Team), mentre altri documenti non erano idonei ad attestare l’assenza del COGNOME (docc. 6, 8 prodotti dalla società); il giudice, inoltre, ha supposto erroneamente che vi fosse un format di pianificazione trimestrale dei permessi ex legge n. 104 del 1992 mentre ciò è all’evidenza escluso dalla testimonianza del teste COGNOME né è stato prodotto un modello per la richiesta di detti permessi; il giudice, inoltre, non ha esaminato il doc. 28 prodotto dalla controparte (richiesta del COGNOME di fruizione di permessi); infine, il giudice non ha considerato la falsità di alcuni documenti prodotti dall’azienda che, con riguardo all’uscita anticipata, non recano la firma della portineria. Da ultimo, il ricorrente rileva che ‘la Corte di appello’ ha erroneamente ritenuto sussistente una difficoltà di istruttoria da parte della società in considerazione delle sue grandi dimensioni, trascurando che l’organizzazione della società si compendia in piccoli reparti circoscritti e ben delimitati in singoli centri di lavoro autonomi.
Con il secondo motivo si deduce dolo di controparte che ha prodotto esclusivamente 31 fogli di presenza alle riunioni (che invece sono state complessivamente 120 da ottobre 2014 a
febbraio 2015), inducendo in errore il giudicante sulla mancata partecipazione del COGNOME alle riunioni.
Il ricorso è inammissibile.
L’errore rilevante ex art. 395 n.4 cod. proc. civ. consiste nella erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione della esistenza o della inesistenza di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa, a condizione che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito materia del dibattito processuale su cui la pronuncia contestata abbia statuito. Muovendo da detta premessa questa Corte ha evidenziato che: l’errore non può riguardare la attività interpretativa e valutativa; deve avere i caratteri della assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo nel senso che tra la percezione erronea e la decisione emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata sicuramente diversa ( Cass. 5.7.2004 n.12283; Cass. 20.2.2006 n. 3652; Cass. 9.5.2007 n. 10637; Cass. 26.2.2008 n. 5075; Cass. 29.10.2010 n. 22171; Cass. 15.12.2011 n.27094).
5. Detti requisiti non ricorrono nella fattispecie perché la sentenza impugnata per revocazione -oltre ad essersi concentrata sui motivi attinenti ai profili formali dell’esaustività e della tempestività della contestazione disciplinare e della sussunzione delle condotte nel paradigma negoziale del CCNL applicato, rigettando il primo, il secondo ed il quinto motivo (profili che non sono investiti dalla presente revocazione) – ha dichiarato inammissibili i motivi del ricorso concernenti le condotte inadempienti accertate a carico del lavoratore,
rilevando che era preclusa la valutazione di tali censure (in specie, terzo e quarto motivo, proposti dal ricorrente COGNOME ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.) in forza dell’art. 360, quarto comma, c.p.c. (che ricalca la precedente previsione dell’art. 348 ter, ultimo comma, cod.proc.civ.) in quanto i fatti erano stati ricostruiti nei medesimi termini sia dal giudice di primo grado sia da quello di secondo grado e il ricorrente per cassazione (il COGNOME) aveva trascurato di indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, in modo da dimostrare che esse erano tra loro diverse.
Avendo, dunque, la sentenza impugnata rilevato un profilo di inammissibilità del ricorso giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, il ricorso per revocazione sottopone questioni che non hanno assunto alcun profilo di decisività in relazione all’ammissibilità/inammissibilità del ricorso per cassazione.
Invero, l’errore di fatto idoneo a legittimare la revocazione della sentenza (o dell’ordinanza) di cassazione deve riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità, che la Suprema Corte può esaminare direttamente nell’àmbito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio, e deve avere carattere autonomo, nel senso di incidere esclusivamente sulla decisione assunta dalla Corte; diversamente, ove l’errore sia stato causa determinante della sentenza emessa in grado di appello o in unico grado, in relazione ad atti o documenti che sono stati o avrebbero dovuto essere esaminati in quella sede, il vizio può essere fatto valere soltanto con gli ordinari mezzi di impugnazione esperibili contro la pronuncia di merito (cfr. Cass. Cass. n. 8570 del 2019, Cass. n. 26643 del 2018, Cass. n. 3820 del 2014, Cass. n. 24860 del 2006).
In totale contrasto con le anzidette regulae juris , il COGNOME utilizza lo strumento revocatorio per dolersi di pretesi errori di fatto contenuti nella sentenza d’appello, che a suo dire avrebbero condizionato la decisione adottata da questa Corte sul ricorso per cassazione da lui successivamente proposto, ricorso che, come evidenziato, è stato dichiarato inammissibile nei motivi che concernevano la ricostruzione degli elementi di fatto.
Infine, la revocazione delle sentenze di cassazione per dolo di una delle parti ex art. 391 ter c.p.c. è ammissibile in caso di decisione nel merito, fattispecie che non ricorre nel caso di specie.
In conclusione, il ricorso è inammissibile.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, d ell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’8 febbraio