Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 24832 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 24832 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14555/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’ AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende, unitamente agli Avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), giusta procura allegata al ricorso
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Gessate, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’ AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende, unitamente all’AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE), giusta procura speciale in calce al controricorso
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, con sede in Seravezza, in persona del legale rappresentante pro tempore ,
elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’ AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) giusta procura speciale allegata al controricorso
– controricorrente –
nonché contro
MEI NOME
– intimato – avverso l’ordinanza della Corte Suprema di Cassazione 37444/2022 depositata il 21/12/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/6/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Si evince dall’ordinanza di questa Corte impugnata (n. 37444/2022) che nel 2011 NOME RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE agirono in giudizio per la declaratoria di nullità della registrazione del marchio « RAGIONE_SOCIALE » (in violazione degli artt. 12, 14 e 19 C.P.I.), con richiesta di inibitoria, risarcimento dei danni e restituzione del marchio nella titolarità della società attrice.
Il Tribunale di Firenze dichiarò NOME COGNOME carente di legittimazione attiva e rigettò le domande, ritenendo applicabili l’art. 15 l. marchi (per cui « il marchio non può essere trasferito se non in dipendenza del trasferimento dell’azienda o di un ramo particolare di questa ») e la presunzione ex art. 2573, comma 2, cod. civ. (per cui « quando il marchio è costituito da un segno figurativo, da una denominazione di fantasia o da una ditta derivata si presume che il diritto all’uso esclusivo di esso sia stato trasferito con l’azienda »), in quanto dalla lettura del contratto di cessione di azienda tra il fallimento di RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE e dalla volontà delle parti doveva reputarsi « implicita per facta concludentia anche la volontà di trasferire i segni distintivi », compreso il marchio.
2. L’ordinanza impugnata aggiunge che la Corte distrettuale di Firenze rigettò l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE e da COGNOME NOME, quale erede di COGNOME NOME, osservando che: i) non c’era alcuna rilevanza del giudicato formatosi a seg uito della pronuncia di questa Corte n. 11129/2003 né tale decisione risultava opponibile, in quanto non afferente il marchio, ma l’uso del nome RAGIONE_SOCIALE nella denominazione sociale; ii) NOME COGNOME ed il suo erede NOME COGNOME erano privi di legittimazione attiva, in quanto il giudizio verteva in tema di marchio e non di tutela del nome; iii) nel giudizio assumeva rilievo solo il marchio ‘ RAGIONE_SOCIALE POMPE RAGIONE_SOCIALE ‘, registrato, usato e rinnovato dalla cessionaria, quale segno distintivo non dell’impresa ma del « prodotto dell’azienda cessata », essendo stati trasferiti all’acquirente il magazzino, il know -how, l’avviamento , nonché, « inconfutabilmente, implicitamente ma necessariamente », anche il marchio; iv) nella fattispecie concreta erano stati trasferiti alla cessionaria l’intera produzione, i macchinari, i modelli e i progetti per continuare a produrre il « prodotto identificato dal marchio poi registrato », tanto che solo la continuazione della produzione aveva consentito di preservarne il valore; v) era pacifica l’applicabilità dell’art. 15 l. marchi e dell’art. 2573, comma 2, cod. civ. laddove, « a tutela del prodotto identificato dal marchio », prevedono come « necessario e presunto il trasferimento del marchio insieme all’azienda », indipendentemente dalla ditta; vi) parte della cessione di azienda doveva ritenersi non il G.D., ma il curatore, sicché la volontà contrattuale andava riferita alle due parti del contratto, « concordi nel dichiarare che la cessione era estesa al marchio identificativo del prodotto », tanto che poi il marchio era stato a lungo usato, prima di fatto (dal 1989) e poi con registrazione (nel 1994, rinnovata nel 2005), « senza alcuna contestazione da parte degli organi fallimentari, altrimenti tenuti a vendere anche il marchio », e solo nel 2011 era stata formalizzata la pretesa della società fallita; vii) la tutela del marchio, volta a
proteggere chi con il proprio lavoro valorizza un prodotto industriale, non poteva essere vanificata da chi, dopo aver cessato l’attività per insolvenza e ceduto in blocco la produzione, « vorrebbe ora in sostanza appropriarsi del lavoro altrui con un’infondata azione di tutela del marchio a suo tempo ceduto e da allora, infatti, mai usato per oltre venti anni ».
L’ordinanza impugnata, nel prendere in esame il primo motivo di doglianza, ha escluso il ricorrere di un « giudicato sostanziale » capace di incidere sulla decisione della lite, tenuto conto del diverso perimetro della stessa rispetto all’oggetto del giudizio in precedenza definito con la sentenza n. 11129/2003.
Questa Corte, in particolare, ha spiegato che il thema decidendum del precedente giudizio, promosso nel 1991 dalle sorelle COGNOME contro la RAGIONE_SOCIALE, quale cessionaria dell’azienda della fallita RAGIONE_SOCIALE, aveva avuto riguardo al « diritto al nome » delle attrici -e segnatamente si era pronunciata sulla liceità dell’inclusione del patronimico COGNOME (in quanto « nome di una persona estranea alla società ») nella denominazione sociale della convenuta -ed era stato introdotto onde invocare la tutela prevista negli artt. 6 e 7 cod. civ. e non negli artt. 2567 e 2564 cod. civ., dettati in tema di « rapporti tra imprenditori concorrenti e quelli tra le singole imprese e i soggetti ai quali è rivolta la loro attività » (così si legge nella sentenza di questa Corte n. 11129/2003).
Ha evidenziato la sentenza impugnata in questa sede che il diverso ambito soggettivo e oggettivo dei due giudizi non consentiva di rinvenire la supposta pregiudizialità, dato che il giudizio in corso aveva ad oggetto la domanda di nullità della registrazione del marchio « RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE » e la sua restituzione alla società attrice.
Ha sottolineato che la decisione impugnata era fondata sull’individuazione di una « ditta derivata », in quanto volontariamente ceduta insieme all’azienda dall’originario imprenditore individuale, per atto inter vivos , ad una società di
capitali (la RAGIONE_SOCIALE, poi trasformata in RAGIONE_SOCIALE, in seguito dichiarata fallita), con conseguente applicazione della presunzione legale ex art. 2573, comma 2, cod. civ., per cui, « quando il marchio è costituito da una ditta derivata si presume che il diritto all’uso esclusivo di esso sia stato trasferito con l’azienda ».
Ha aggiunto, inoltre, che l’art. 2563, comma 2, cod. civ. prevede che la ditta « deve contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore », sicché può ritenersi patronimica e originaria solo la ditta costituita dal nome del titolare che la utilizzi, mentre deve ritenersi derivata quella trasferita dall’originario titolare ad altro imprenditore, unitamente all’azienda alienata; in altri term ini, la ditta che appartenga a un soggetto diverso dal titolare del relativo patronimico non può che essere derivata.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la revocazione di tale ordinanza, prospettando due motivi di doglianza, ai quali hanno resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE).
L’intimato NOME COGNOME non ha svolto difese.
Tutte le parti costituite hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ..
Considerato che:
5.1 Il primo motivo di ricorso assume, ai sensi dell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., che la Corte di Cassazione abbia presupposto come esistenti due elementi di fatto -la natura « derivata » della « ditta RAGIONE_SOCIALE » e la cessione del « patronimico COGNOME » quale nome dell’originario titolare della ditta palesemente smentiti dalla sentenza definitiva della Corte d’appello di Firenze n. 1224 del 1999, che, invece, aveva accertato che la ditta « RAGIONE_SOCIALE » non era derivata, in quanto apparteneva al medesimo soggetto titolare del patronimico, ed il patronimico « COGNOME » non risultava essere mai stato ceduto dal fallimento della società ricorrente.
Ove il collegio avesse correttamente valutato e verificato queste circostanze di fatto, così come consacrate, nella loro intangibilità ed immodificabilità, in una pronuncia passata in giudicato, avrebbe certamente adottato una decisione diversa da quella gravata e non avrebbe potuto ritenere operante, come statuito, la presunzione stabilita dall’art. 2573, comma 2, cod. civ. in merito al trasferimento del marchio « RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE since 1904 ».
5.2 Il secondo motivo di ricorso prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 395, n. 5, cod. proc. civ., in quanto l’ordinanza impugnata ha violato il giudicato sostanziale di cui alla sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 1224 del 1999 , nella parte in cui quest’ultima ha ritenuto che la ditta « RAGIONE_SOCIALE non era stata ceduta in sede fallimentare per difetto del consenso dell’alienante ex art. 2565, comma 2, cod. civ..
La Corte di legittimità, nel ritenere che l’applicazione dell’art. 2573, comma 2, cod. civ. (in uno all’art. 15 l. marchi allora vigente) escludesse applicazione dell’art. 2565 cod. civ., rendendo irrilevante l’indagine sul consenso quale presupposto neces sario del trasferimento della ditta nell’ambito dell’alienazione dell’azienda per atto tra vivi, ha fatto riferimento non al giudicato sostanziale contenuto nella sentenza richiamata dalla ricorrente, bensì alle motivazioni con cui i giudici del merito avevano ritenuto, in contrasto con il giudicato venutosi a formare, che la ditta RAGIONE_SOCIALE poteva dirsi derivata per essere stata conferita dall’originario titolare in una società di capitali, recante peraltro il medesimo patronimico come denominazione.
Al contrario, la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 1224 del 1999 aveva incontrovertibilmente accertato che nell’ambito della procedura fallimentare a carico della RAGIONE_SOCIALE era stata trasferita solo la relativa azienda e non anche la ditta, intesa come segno distintivo e nome commerciale dell’impresa, con la conseguenza che, in assenza di patto espresso ai sensi dell’art. 2565 cod. civ., l’antica
ditta può essere adoperata soltanto dall’alienante il quale può tutelare il diritto all’uso esclusivo di essa.
6. Ambedue i mezzi, da esaminarsi congiuntamente, propongono censure di contenuto sostanzialmente sovrapponibile e intendono lamentare -l’una dolendosi di un errore di fatto costituito da un’inadeguata valutazione di un documento istruttorio, costituito dalla decisione della corte fiorentina su cui si sarebbe formato il giudicato, l’altra sostenendo la revocabilità di un provvedimento del giudice di legittimità che contrasti con un precedente decisione avente forza di giudicato fra le parti – che questa Corte, con la propria decisione, non abbia tenuto conto del giudicato venutosi a formare sul contenuto della sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 1224/1999, la quale aveva accertato che la ditta « RAGIONE_SOCIALE non era una ditta derivata, in quanto apparteneva al medesimo soggetto titolare del patronimico, ed il patronimico « RAGIONE_SOCIALE » non risultava essere mai stato ceduto dal fallimento della società ricorrente.
Simili doglianze risultano inammissibili per un concorrente ordine di motivi.
6.1 Occorre rilevare, in primo luogo, che le censure (ivi compresa la prima, adducendo l’errata percezione del contenuto del documento in cui tale giudicato sarebbe sostanziato) sollecitano la revocazione della decisione impugnata in ragione della sua contrarietà ad altra precedente decisione avente fra le parti autorità di cosa giudicata, ai sensi dell’art. 395, n. 5, cod. proc. civ..
E ciò nonostante che l’art. 391 -bis cod. proc. civ. (come pure l’art. 391ter cod. proc. civ., regolante l’ipotesi di decisione nel merito da parte di questa Corte) non faccia menzione di tale caso di revocazione, fra quelli esperibili avverso le decisioni della Corte di Cassazione.
Ne discende l’inammissibilità dei motivi in esame, che sollecitano la revocazione di una decisione di questa Corte per una ipotesi non prevista dall’art. 391 -bis cod. proc. civ..
A questo proposito è opportuno ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di chiarire che avverso le sentenze di mera legittimità della Corte di cassazione non è ammissibile l’impugnazione per revocazione per contrasto di giudicati, ai sensi dell’art. 395, n. 5, cod. proc. civ., non essendo tale ipotesi espressamente contemplata nella disciplina anteriore al d.lgs. n. 40 del 2006, né in quella successiva (artt. 391bis e 391ter cod. proc. civ.), secondo una scelta discrezionale del legislatore – non in contrasto con alcun principio e norma costituzionale, atteso che il diritto di difesa e altri diritti costituzionalmente garantiti non risultano violati dalla disciplina delle condizioni e dei limiti entro i quali può essere fatto valere il giudicato, la cui stabilità rappresenta un valore costituzionale -condivisibile anche alla luce della circostanza che l’ammissibilità di tale impugnazione sarebbe logicamente e giuridicamente incompatibile con la natura delle sentenze di mera legittimità, che danno luogo solo al giudicato in senso formale e non a quello sostanziale (Cass., Sez. U., 10867/2008; nello stesso senso, da ultimo, Cass. 23355/2023).
6.2 Per altro verso va poi sottolineato come l’ordinanza n. 4160/2022 di questa Corte abbia rilevato che non sussisteva « un ‘giudicato sostanziale’ capace di incidere sulla decisione in esame, in quanto i due giudizi in questione hanno avuto un perimetro del tutto diverso »; e ciò per la diversità degli elementi soggettivi (essendo i due giudizi intercorsi tra parti diverse) ed oggettivi (avendo il giudizio precedente, estinto, ad oggetto il nome dell’imprenditore e non il marchio la cui registrazione nel secondo giudizio si assumeva nulla).
L’esistenza di un giudicato costituiva , quindi, un punto controverso sul quale questa Corte ebbe a pronunciarsi, con una statuizione che non risulta investita da una denuncia di errore percettivo.
Ne discende la mancanza di decisività di ambedue i mezzi, che non sussiste qualora l’impugnato provvedimento trovi fondamento anche
in rationes decidendi rispetto alle quali non sia contestato alcun errore percettivo (Cass. 4678/2022; Cass. 16439/2021).
I motivi in esame, sotto le spoglie del giudizio di revocazione per errore di fatto o per contrasto con precedente giudicato, finiscono così per sollecitare, in realtà, la revisione del giudizio concernente l’esistenza di un giudicato, malgrado lo stesso s ia oramai definitivo e non più impugnabile, men che mai in sede di revocazione.
In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in favore di ciascuno dei controricorrenti in € 7.700, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 14 giugno 2024.