Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22796 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22796 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 07/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 30703/2018 r.g. proposto da:
Società RAGIONE_SOCIALE (c.f. P_IVA, con sede legale in Como, INDIRIZZO, in persona del legale rappresentante protempore e Amm.re Unico arch. NOME COGNOME , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede legale in Erba (Co), INDIRIZZO (codice fiscale CODICE_FISCALE), in persona della Dott.ssa NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE, nella sua qualità di curatore fallimentare, rappresentata ed assistita dall’avv. NOME COGNOME del Foro di Roma, presso il cui studio in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliata per procura allegata in atti.
-controricorrente –
avverso il decreto n. 16066/2018, pronunciato dal Tribunale Como nel giudizio R.G. 6049/2017, emanato in data 5.10.2018, pubblicato in data 8.10.2017 e comunicato dalla cancelleria in data 8.10.2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 8/7/2025
dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con il decreto qui impugnato il Tribunale di Como – decidendo sul ricorso per revocazione presentato dal Fallimento RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE accoglieva la domanda e per l’effetto disponeva la revoca de i decreti del g.d., emessi in data 18 aprile 2011 e 15 marzo 2017, nella parte in cui avevano ammesso allo stato passivo della procedura il credito della predetta società per l’importo di euro 668.813,71, con conseguente accoglimento anche dell’u lteriore domanda restitutoria in favore del fallimento per la somma complessiva di euro 301.217,68, oltre interessi legali.
La RAGIONE_SOCIALE aveva infatti chiesto ed aveva ottenuto di essere ammessa al passivo del fallimento RAGIONE_SOCIALE, in chirografo, per l’importo complessivo di euro 677.428,72 , in virtù di due assegni bancari di cui il primo (emesso per euro 150.000,00), protestato per mancanza di fondi, e il secondo (emesso per euro 500.000,00), protestato in quanto sottoscritto da soggetto non autorizzato.
Redatto il piano di riparto finale, di cui veniva dichiarata l ‘ esecutività, la Iniziative Immobiliari 2005, aveva dunque riscosso l’importo di euro 301.017,68, in relazione al quale era stata utilmente collocata nel passivo fallimentare. Nel prosieguo della procedura, il curatore – appresa la notizia che la pretesa azionata dalla RAGIONE_SOCIALE era risultata in realtà presumibilmente già onorata in altra sede – con ricorso depositato il 4.12.2017 proponeva istanza per revocazione del credito ammesso al passivo a beneficio della predetta società, assumendo di aver scoperto l’esistenza di documenti decisivi mai conosciuta prima del primo dicembre 2017.
Il Tribunale di Como accoglieva la domanda.
4.1 Il Tribunale, per quel che rileva ancora in questa sede, ha evidenziato che: (i) l’azione era stata tempestivamente proposta in quanto il curatore
aveva scoperto in data successiva alla dichiarazione di esecutività dello stato passivo documentazione di cui non aveva né poteva avere avuto prima la disponibilità, documentazione che era stata messa a sua disposizione dalla Procura della Repubblica di Como solo in data primo dicembre 2017; (ii) alla stregua della documentazione acquisita risultava che i due assegni – in virtù dei quali la RAGIONE_SOCIALE era stata già ammessa al passivo – erano stati onorati; (iii) a nulla rilevava no le modalità dell’adempimento , anche se curate da un terzo; (iv) l ‘ ammissione al passivo doveva essere, perciò, revocata e la convenuta condannata alla restituzione di quanto percepito.
Il decreto, pubblicato in data 8.10.2017, è stato impugnato da RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, cui RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. 6. La Procura generale, nella persona del Sostituto Procuratore generale
dott.ssa NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 98, comma 4, e 99, comma 1 e comma 4, l. fall.
1.1 Si censura, cioè, l’affermazione contenuta nel decreto impugnato per aver ritenuto che il termine perentorio per l’esercizio dell’azione di revocazione decorresse solo dal giorno in cui la parte (in questo caso, il curatore) aveva avuto ‘formale comunicazione’ della documentazione posta a base della revocazione. Questo convincimento sarebbe in contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità che ha sempre ritenuto che, in tema di revocazione, il termine per la proposizione dell’azione decorr a dal giorno in cui la parte ha avuto, non formale apprensione dei documenti, bensì conoscenza dell’esistenza dei documenti assunti come decisivi e che sia inammissibile l’azione quando il tardivo recupero de i documenti risulti imputabile a negligenza della parte che avrebbe potuto acquisirli tempestivamente con l’ordinaria diligenza . Sempre secondo la società ricorrente, tale errore avrebbe avuto un’influenza decisiva nello statuire
erroneamente la tempestività dell’azione di revocazione che , viceversa, sarebbe stata inammissibile per l’intervenuta decadenza.
1.2 Il primo motivo di ricorso è infondato.
Non sono infatti condivisibili le obiezioni sollevate dalla ricorrente nel motivo ora in esame. Ed invero, la società ricorrente sostiene, in buona sostanza, che il termine perentorio per la proposizione dell’azione decorr a dal momento in cui il curatore abbia preso visione della documentazione decisiva rilevante e non da quello, evidentemente successivo, in cui ne abbia acquisito la materiale disponibilità.
1.3 Come correttamente osservato anche dall’Ufficio della Procura generale nella requisitoria scritta, la tesi della ricorrente non può essere condivisa per un duplice ordine di ragioni.
In termini generali non può sostenere che il dies a quo per la proposizione dell’azione decorra dalla conoscenza dell’ esistenza del documento. Invero, la giurisprudenza di legittimità, dal cui orientamento non vi è motivo per discostarsi, pur pronunciandosi in relazione ad ipotesi di revocazione ex art. 395 cod. proc. civ., ha espresso principi che possono essere integralmente richiamati con riguardo alla revocazione ‘fallimentare’ (cfr. Cass. n. 3752 del 1981; Cass. n. 5604 del 1985; Cass. n. 5144 del 2019). E ciò nel senso che: – il ritrovamento del documento decisivo si identifica, non già nella materiale apprensione dello stesso, ma nella acquisizione di quel grado di conoscenza del suo contenuto idoneo a valutarne la rilevanza revocatoria; -l’accertamento di tale momento, costituendo l’oggetto di un giudizio di fatto, spetta in via esclusiva al giudice del merito la cui valutazione sul punto può essere censurata solo per vizio di motivazione, nei ristretti limiti oggi consentiti dal novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per come perimetrati successivamente dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. Un. n. 8054/2014).
Orbene, muovendo dai principi da ultimo ricordati (e qui di nuovo riaffermati), il provvedimento impugnato deve essere pertanto confermato in punto di tempestività dell’azione.
In realtà, la società ricorrente non ha impugnato per vizio di motivazione la decisione del Tribunale di Como (nei termini ristretti sopra ricordati: Cass.
Sez. Un. n. 8053/2014, cit. supra ), il quale, compiendo sul punto un accertamento in fatto, ha dichiarato che il curatore, solo all’esito delle indagini svolte dalla Procura di Como aveva potuto ricostruire la vicenda processuale e comprendere esattamente il contenuto dei documenti, della cui esistenza aveva avuto notizia precedentemente.
Ne consegue che l ‘ impugnata decisione risulta, peraltro, conforme a diritto (secondo i principi già affermati da questa Corte) laddove àncora il dies a quo del termine perentorio per la proposizione dell’azione , non già alla data in cui il curatore aveva avuto notizia dell ‘ esistenza dei documenti (e cioè al 28.9.2017), ma a quella (diversa e successiva) nella quale la pregnanza decisiva degli stessi era stata colta nella sua interezza (e cioè al 1°.12.2017). 1.4 Del resto, come di nuovo correttamente rilevato dalla Procura generale, se si opinasse diversamente, si arriverebbe ad ipotizzare, in modo del tutto irragionevole, che l’azione di revocazione d ovrebbe essere proposta, a pena di decadenza, sulla base di sospetti e non all’esito di un approfondimento istruttorio, che consenta di valutare prognosticamente la fondatezza dell’azione.
2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., dell’art. 474 medesimo codice di rito e degli artt. 16 e 21 r.d. 21.12.1933, n. 1736. Si censura il decreto impugnato per aver reputato pagato il credito portato da assegno bancario insinuato al passivo fallimentare, a motivo del ritenuto recupero del credito all’esito di procedura esecutiva medio tempore intrapresa in Svizzera, sebbene la procedura esecutiva fosse stata promossa senza il possesso materiale del titolo di credito ed altresì contro un soggetto non obbligato cartolarmente ed estraneo all’obbl igazione consacrata nel titolo medesimo. Tale divisamento violerebbe – sempre secondo la ricorrente – la norma che richiede il possesso, in capo al creditore procedente in via esecutiva, del titolo esecutivo e le norme che non consentono l’azione cartolare su assegno verso soggetti non obbligati in base all’assegno medesimo.
2.1 Il secondo motivo è inammissibile.
Le doglianze proposte dalla società ricorrente si fondano, invero, su ricostruzioni fattuali che non trovano riscontro alcuno nel provvedimento del
Tribunale di Como che, alla stregua degli atti di causa, ha accertato in fatto, con motivazione congrua, che il credito portato dai due assegni bancari era stato estinto integralmente. Più precisamente, la decisione impugnata non fa riferimento alcuno alle modalità di svolgimento della procedura esecutiva avviata in svizzera né ai tempi e ai modi del pagamento coattivo ovvero volontario.
Ne consegue che, a tutto voler concedere, sarebbe stato onere della parte ricorrente indicare quali erano stati i fatti storici decisivi e controversi che, veicolati nel processo attraverso una produzione documentale tempestiva, non sarebbero stati presi in adeguata considerazione dal Tribunale.
In ogni caso ed a prescindere da tali preliminari considerazioni, giova precisare che nessun rilievo può assumere il fatto che gli assegni non fossero disponibili in originale e che la procedura esecutiva si fosse svolta contro un socio della società ora fallita.
Sul punto, va infatti, precisato che non è dato sapere quale documentazione fosse stata prodotta in quel processo di esecuzione forzata. Al contrario è, invece, certo che il socio fosse cartolarmente obbligato poiché aveva sottoscritto uno dei due assegni, pur senza averne il potere. E ciò senza neanche contare che le censure si pongono in modo del tutto decentrato rispetto alla ratio decidendi che sorregge il provvedimento impugnato. Ed invero, il Tribunale di Como ha affermato che non rilevava in alcun modo che la procedura esecutiva svizzera si fosse svolta nei confronti di un soggetto esecutato diverso, posto che lo stesso Tribunale aveva opinato nel senso che si era al cospetto del pagamento del terzo, sottolineando ancora che era irrilevante chi avesse eseguito il pagamento, con la conseguenza evidente che le censure sopra ricordate, ancorché articolate in fatto, neanche colgono la ragione decisoria che fonda il provvedimento qui in scrutinio.
3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione degli artt. 1173 e 1175 c.c., per aver ritenuto pagato il credito del creditore insinuato al passivo, a motivo dell’essersi costui ritratto altrove e da altri soggetti una somma comprensiva del suo complessivo credito. Tale conclusione sarebbe in contrasto con le norme a presidio del rapporto obbligatorio e della relatività
del medesimo, per le quali vi sarebbe estinzione dell’obbligazione quando quest’ultima è adempiuta, nella specificità del singolo rapporto obbligatorio, dal debitore.
3.1 Anche il terzo motivo è inammissibile per evidente indeterminatezza, genericità e mancanza di specificità delle relative censure.
Va ricordato infatti che le norme di cui si lamenta la violazione affermano che ‘Le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico’ (1173 c.c.) e che ‘Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della corret tezza’ (art. 1175 c.c).
Ebbene, la ricorrente non spiega in alcun modo le ragioni di contraddizione tra i sopra menzionati precetti normativi e le statuizioni giudiziali contenute nel provvedimento impugnato.
Sul punto, giova ricordare che, secondo gli insegnamenti di questa Corte di legittimità, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata
(cfr., tra le altre, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 24298 del 29/11/2016 ; Sez. L, Ordinanza n. 17570 del 21/08/2020).
4. Il quarto mezzo denuncia ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 1180 c.c. e 115 L.Fall. (art. 360 n. 3 c.p.c.) ‘ . Si censura sempre il decreto impugnato per avere ritenuto che il pagamento effettuato da un qualsiasi soggetto avesse estinto il credito del diverso soggetto insinuato al passivo fallimentare. Tale conclusione sarebbe in contrasto con i principi codicistici in tema di adempimento di terzo (art. 1180-1201 c.c.), i quali esigono che l’adempimento di un’obbligazione altrui da parte di un terz o debba esprimere la volontà del terzo di imputare il proprio pagamento al debito altrui. Contrasterebbe, altresì, con i principi propri della materia fallimentare (art. 115 l. fall.), i quali esigono per l’esclusione del creditore originario il cui credito fosse stato ammesso al passivo e successivamente pagato da un terzo -che quest’ultimo si surroghi al creditore originario, succedendo nella titolarità del credito.
4.1 Anche il quarto motivo è inammissibile posto che risulta essere del tutto congetturale l’assunto secondo cui il pagamento volontario non sarebbe stato imputato, poiché trattasi di asserzione sganciata da precisi riferimenti documentali e, peraltro, del tutto smentita dal controricorrente e comunque implicante un accertamento di carattere fattuale, che non può essere riscontrato nel giudizio di legittimità.
4.2 Secondo RAGIONE_SOCIALE il pagamento disposto da NOME NOME non avrebbe potuto essere qualificato come adempimento del terzo, perché: (i) difettava una siffatta dichiarazione da parte di NOME; (ii) difettava una richiesta di surrogazione da parte di NOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE; (iii) difettava una quietanza di pagamento da parte di RAGIONE_SOCIALE che valesse a titolare il pagamento, come eseguito nell’interesse e per conto di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (iv) difettava una comunicazione da parte di NOME al Fallimento in cui si desse atto dell’avvenuto pagamento di un debito alla società.
Le doglianze, così proposte, attingono, con evidenza, profili di valutazione di carattere fattuale, come tali non più sindacabili in questo giudizio di cassazione. Ed invero, i l concreto riscontro dell’efficacia liberatoria della
fattispecie dell’adempimento del terzo si risolve , per espresso insegnamento di questa Corte di legittimità, in un accertamento di fatto (cfr. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 35786 del 22/11/2021) e la ricorrente non ha neanche denunciato un omesso esame e neppure un vizio motivazionale, nei limiti ora circoscritti, per quanto già sopra ricordato, dall’art. 360, primo comma n. 5, cod. proc. civ. (Cass. Sez. Un. n. 8054/2014, cit. supra ).
5. La società ricorrente propone, da ultimo, un quinto motivo, con il quale deduce ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 96 comma 3 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) ‘, per avere ritenuto il Tribunale l’opposizione della creditrice basata su eccezioni pregiudiziali e di merito infondate e completamente insostenibili in fatto. Secondo la società ricorrente, tale conclusione, oltre che sostanziarsi in mera petizione di principio, contrasterebbe con la consolidata giurisprudenza di legittimità che esige, per la condanna ex art. 96 comma 3 cod. proc. civ., la mala fede e colpa grave della condotta processuale, tale da integrare l”abuso del processo’ .
5.1 Inammissibile si rivela, ancora , la censura svolta con l’ultimo motivo.
Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, la condanna ex art. 96, comma 3, cod. proc. civ. è volta a salvaguardare finalità pubblicistiche, correlate all’esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi nonché interessi della parte vittoriosa ed a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall’art. 88 cod. proc. civ., realizzata attraverso un vero e proprio abuso del processo. Ai fini della condanna per lite temeraria ex art. 96, comma 3 cod. proc. civ. , ‘sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l’esercizio dell’azione processuale nel suo complesso, cosicché possa considerarsi meritevole di sanzione l’abuso dello strumento processuale in sé, anche a prescindere dal danno procurato alla cont roparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosità dell’azione per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione’ (Cass. n. 19948 del 2023; Cassazione civile, Sezioni Unite, n. 9912 del 2018).
Detto ciò, occorre tuttavia evidenziare che, sempre secondo la giurisprudenza di legittimità (v. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 13315 del 19/05/2025), in materia di responsabilità aggravata ex art. 96 cod. proc. civ., ai fini della
condanna al risarcimento dei danni, l’accertamento dei requisiti costituiti dall’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, ovvero dal difetto della normale prudenza, implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità (v. anche Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19298 del 29/09/2016).
Il ricorso va dunque complessivamente rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, 8.7.2025