Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23122 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23122 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8433/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’ Avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE giusta procura speciale allegata al ricorso
– ricorrente
–
contro
FALLIMENTO di RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso da ll’ Avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura speciale allegata al controricorso
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 38/2023 depositata il 3/1/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/7/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il fallimento di RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio RAGIONE_SOCIALE affinché fosse dichiarato inefficace, ai sensi degli artt. 66 l. fall. e 2901 cod. civ., l’atto con cui la società poi fallita, nell’ambito di
un’operazione di scissione societaria, aveva trasferito parte del suo patrimonio (fra cui era compresa parte di un capannone industriale sito in Pettoranello del Molise) alla compagine convenuta, con la conseguente condanna di RAGIONE_SOCIALE alla restituzione di quanto trasferito o, qualora la restituzione materiale non fosse più possibile, al pagamento del corrispondente valore.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 20016/2016, in accoglimento della domanda attorea dichiarava inefficace l’atto di delibera di scissione in data 2 luglio 2009 e condannava RAGIONE_SOCIALE alla restituzione del bene immobile al fallimento di RAGIONE_SOCIALE
La Corte distrettuale di Roma rigettava l’appello presentato da RAGIONE_SOCIALE con sentenza pubblicata il 3 gennaio 2023. Ricordava, in particolare, che secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE e della Corte di legittimità la revocatoria ordinaria dell’atto di scissione societaria era ammissibile, perché mirava a ottenere l’inefficacia relativa di tale atto così da renderlo inopponibile al solo creditore pregiudicato, dovendosi ritenere che la tutela dei creditori, a fronte di atti societari, si estendesse sino a ricomprendervi, sia pure in via mediata, qualsiasi attribuzione patrimoniale indiretta ivi contenuta.
Richiamava, inoltre, la consolidata giurisprudenza della Corte di legittimità secondo cui la pronuncia di inefficacia di atti depauperativi del patrimonio del fallito contiene, quale conseguenza implicita e senza necessità di una corrispondente richiesta espressa, l’obbligo di restituire i beni ceduti o, se sia materialmente impossibile la restituzione, quello di corrispondere l’equivalente pecuniario del loro valore.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di RAGIONE_SOCIALE
A seguito della proposta di definizione del giudizio, formulata da questa Corte ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. e ritualmente
comunicata, parte ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1 Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 66 l. fall. e 2901 cod. civ., in quanto la Corte distrettuale ha confermato la dichiarazione di inefficacia dell’atto di sc issione societaria pronunciata all’esito del giudizio di primo grado assumendo erroneamente -in tesi di parte ricorrente – la legittima esperibilità dell’azione revocatoria ordinaria avverso un simile atto, in adesione a un orientamento contrastante con la disciplina positiva in materia di scissione societaria e, in particolare, con il tipico sistema di garanzie dei diritti dei terzi ivi previsto.
4.2 Il secondo mezzo assume, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 66 l. fall., 2901 e 2902 cod. civ., in quanto l’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria non comporta l’invalidità del relativo atto, con il rientro del bene nel patrimonio del debitore, ma solo la sua inefficacia, sì da rendere lo stesso bene assoggettabile unicamente all’esecuzione concorsuale; la sentenza impugnata in tesi di parte ricorrente -deve perciò essere comunque cassata, con riferimento alla conferma della statuizione di condanna alla restituzione del bene immobile assegnato in esecuzione dell’atto revocato.
Il ricorso risulta inammissibile per tutte le ragioni già illustrate all’interno della proposta di definizione anticipata del 19 novembre 2024, che il collegio condivide e fa proprie.
In particolare, tale proposta ha già opportunamente osservato che « il primo motivo (‘Violazione e falsa applicazione degli art. 66 l.f. e 2901 c.c.’) che contesta la stessa assoggettabilità a revocatoria dell’atto di scissione societaria non offre argomenti per mutare
l’opposto e ormai consolidato indirizzo nomofilattico, poiché le osservazioni svolte risultano già ampiamente considerate e superate nelle molteplici pronunce che, conformemente a quanto statuito da Corte Giust., 30/1/2020, in C-394/18, hanno sancito l’ammissibilità dell’azione revocatoria ordinaria dell’atto di scissione societaria, in quanto strumento diverso, aggiuntivo (non sostitutivo) e quindi concorrente rispetto all’opposizione preventiva dei creditori sociali ex art. 2503 c.c. (ex multis, Cass. 12047/2021, 2153/2021, 30184/2022 e, da ultimo, Cass. 5438/2024). Altrettanto vale per il secondo motivo (‘Violazione e falsa applicazione degli art. 66 l.f., 2901 e 2902 c.c.’) che contesta la conferma del capo di condanna del convenuto al trasferimento, in favore della curatela attrice, « del bene immobile assegnato in esecuzione dell’atto di scissione», sul rilievo che l’accoglimento dell’azione revocatoria in materia fallimentare «non determina alcun effetto restitutorio, né, tantomeno, un effetto traslativo a favore della massa dei creditori, ma comporta la inefficacia relativa dell’atto rispetto alla massa dei creditori, rendendo il bene trasferito assoggettabile all’esecuzione concorsuale». Trascura il ricorrente che la condanna alla restituzione del bene in questione non ne comporta il paventato «rientro nel patrimonio del debitore alienante» (in questo caso la società fallita), e nemmeno un effetto traslativo in favore della massa dei creditori (Cass. 17590/2005) ma solo -e appunto -il suo assoggettamento alla procedura fallimentare, notoriamente assimilabile ad una procedura esecutiva collettiva, e dunque al solo scopo di reintegrare la garanzia ex art. 2740 c.c. nei confronti della (e limitatamente alla) massa dei creditori concorsuali (Cass. 9584/2015), rispetto al cui interesse il bene «viene in considerazione soltanto per il suo valore» (Cass. 26041/2013). La ratio decidendi non è stata dunque colta, essendo evidente che i giudici di merito hanno inteso non già negare che «oggetto della domanda di revocatoria (ordinaria o fallimentare) non è il bene in sé, ma la reintegrazione della generica garanzia
patrimoniale dei creditori mediante l’assoggettabilità del bene a esecuzione» (per tutte, Cass. Sez. U, 12476/2020), bensì riaffermare, sulla scorta di un consolidato e mai smentito indirizzo nomofilattico, che l’accoglimento della domanda revocatoria fall imentare comporta il ‘recupero’ del bene nell’orbita fallimentare, proprio in vista della sua liquidazione concorsuale a vantaggio della massa dei creditori. Tanto che solo quando l’assoggettabilità del bene all’esecuzione concorsuale diviene impossibile (perché il bene è stato alienato a terzi con atto opponibile ai creditori, o perché la domanda revocatoria è stata proposta dopo il fallimento del debitore convenuto), la reintegrazione dei creditori si realizza in via sostitutiva «per equivalente pecuniario» (Cass., Sez. U., cit.; cfr. da ultimo Cass. 34214/2023, ove vengono messe in risalto le peculiarità della procedura fallimentare che giustificano i maggiori poteri conseguenti all’esercizio dell’azione revocatoria ex art. 66 l.fall. rispetto all’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., con specifico riferimento alla facoltà del curatore fallimentare di agire per ottenere direttamente la dichiarazione di inefficacia dell’atto anche nei confronti degli aventi causa del contraente immediato). In altri termini, la condanna alla restituzione dell’immobile alla curatela fallimentare della società scissa non incide sulla validità del ‘trasferimento’ alla società risultante dalla scissione, ma è esclusivamente funzionale a consentire la soddisfazione dei creditori della prima, secondo le regole della concorsualità ».
Nulla occorre aggiungere a questi argomenti, giacché il ricorrente, nel sollecitare la decisione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis , comma 2, cod. proc. civ. e nella memoria da ultimo depositata, ha insistito nel valorizzare le risultanze testuali della decisione impugnata (nella parte in cui riporta un precedente di questa Corte in materia di inefficacia ex art. 44 l. fall.) e della statuizione di primo grado, senza cogliere, ancora una volta, che i giudici di merito hanno inteso sostenere che l’accogl imento della domanda revocatoria
comportava una restituzione da intendersi in termini di ‘recupero’ del bene nell’orbita fallimentare , in vista della sua liquidazione concorsuale a vantaggio della massa dei creditori.
In virtù delle ragioni sopra illustrate il ricorso deve essere
dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Per effetto della decisione qui adottata, risultante pienamente conforme alla proposta formulata ai sensi del primo comma dell’art. 380bis cod. proc. civ., deve trovare applicazione la conseguenza sanzionatoria prevista dall’art. 96, comma 3, cod. proc. civ., come richiamata dall’ultimo comma del medesimo art. 380 -bis .
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 8.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Condanna, altresì, la ricorrente al pagamento, a favore della controricorrente ed ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ., della somma equitativamente determinata nella misura di € 8.000 nonché al pagamento, in favore della Cassa delle ammende e in applicazione dell’art. 96, comma 4, cod. proc. civ., della somma di € 2.500.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 10 luglio 2025.