Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8877 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8877 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4109/NUMERO_DOCUMENTO R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, con sede in Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’ AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende, unitamente all’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale a margine del ricorso
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’ AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende, unitamente all’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale a margine del controricorso
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n . 3226/2019 depositata il 18/11/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/3/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Bologna, con sentenza n. 20160/2018, dichiarava l’inefficacia, ai sensi dell’art. 67, comma 1, n. 2, l. fall. , dei pagamenti effettuati da RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE in favore di RAGIONE_SOCIALE a mezzo di versamenti del fideiussore Banca Popolare di Milano e, di conseguenza, condannava l’ accipiens a corrispondere al fallimento del solvens la somma di € 52.870 oltre accessori.
La Corte d’appello di Bologna, a seguito dell’impugnazione presentata da RAGIONE_SOCIALE, rilevava che l’istituto di credito fideiussore, dopo aver pagato, aveva esercitato la rivalsa nei confronti della debitrice garantita.
Riteneva che questi pagamenti effettuati dal terzo avessero comportato un depauperamento del patrimonio dell’imprenditore decotto, con conseguente pregiudizio per la massa dei creditori, e costituissero pagamenti anomali revocabili ai sensi dell’art. 67, comma 1, n. 2, l. fall..
Osservava che non solo l’appellante non aveva fornito la prova della propria inscientia decoctionis , ma sussistevano anche diversi elementi indicativi della sua effettiva conoscenza dello stato di insolvenza della società debitrice all’epoca dei pagamenti.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza di rigetto dell’impugnazione, pubblicata in data 18 novembre 2019, prospettando tre motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di RAGIONE_SOCIALE
Ambedue le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 67, comma 1, n. 2, e comma 2, l. fall., perché la Corte d’appello ha ritenuto che il pagamento ottenuto dal creditore mediante l’escussione della garanzia rilasciata dal terzo costituisca un mezzo anomalo di pagamento ex art. 67, comma 1, n. 2, l. fall.
e in questo modo si è posta in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, che riconduce, invece, una simile fattispecie alla disciplina prevista dall’art. 67, comma 2, l. fall..
Il motivo è inammissibile.
5.1 La Corte distrettuale, nel prendere in esame il secondo motivo di appello, che confutava il ricorrere di pagamenti anomali effettuati dalla società poi fallita (ponendo così in contestazione il relativo accertamento da parte del primo giudice), ha accertato che il fideiussore, dopo aver pagato, si era rivalso sul debitore garantito, determinando un depauperamento del patrimonio di quest’ultimo , e ha ritenuto che simili pagamenti fossero qualificabili come anomali e potessero essere revocati ai sensi del l’art. 67, comma 1, n. 2, l. fall.. Nel far ciò, tuttavia, i giudici distrettuali hanno fatto esplicito rimando a due pronunce di questa Corte che investono l’una (Cass. 506/2016) la revocatoria di pagamenti non effettuati con mezzi normali ex art. 67, comma 1, n. 2, l. fall., l’altra (Cass. 24172/2017) la revocatoria di pagamenti effettuati con mezzi normali ai sensi del secondo comma dell’art. 67 l. fall..
In questo modo è stata effettuata un’indebita commistione del principio secondo cui al fine della esperibilità dell’azione revocatoria ex art. 67, comma 1, n. 2, l. fall. il pagamento eseguito dal terzo deve considerarsi anormale quando l’effetto solutorio del debito del fallito si sia realizzato attraverso un diverso negozio utilizzato dalle parti, in via mediata e indiretta, per eludere la par condicio (Cass. 506/2016), con quello, diverso, a mente del quale la revocatoria fallimentare del pagamento di debiti del fallito ex art. 67, comma 2, l. fall. è esperibile anche quando il pagamento sia stato effettuato dal terzo garante, purché risulti che questi, dopo aver pagato, abbia esercitato azione di rivalsa verso il debitore principale prima dell’apertura del fallimento (Cass. 6282/2016).
Più correttamente i pagamenti effettuati dal terzo garante con rivalsa verso il debitore principale prima dell’apertura del fallimento
dovevano essere ricondotti, in mancanza di peculiarità della fattispecie in esame tali da giustificare una diversa classificazione (di cui la decisione impugnata non dà conto), all’ipotesi di revoca prevista da ll’art. 67, comma 2, l. fall. (v. Cass. 24172/2017, Cass. 6282/2016, Cass. 2903/2016, Cass. 13549/2012).
5.2 Gli argomenti appena illustrati, tuttavia, giustificano solamente la correzione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 384, comma 4, cod. proc. civ., e non la sua cassazione, poiché il ricorrente non ha interesse all’accoglimento della censura.
Infatti, la Corte di merito, pur avendo (erroneamente) classificato i pagamenti in discorso quali pagamenti anomali, ha comunque accertato che la società creditrice all’epoca conosceva la situazione di insolvenza della debitrice.
Oltre a ciò, la Corte distrettuale ha dato conto (a pag. 3) che RAGIONE_SOCIALE aveva presentato domanda di concordato preventivo con riserva in data 18 gennaio 2013 e che i pagamenti in discorso erano stati effettuati, a mezzo del fideiussore, nei mesi di agosto, settembre e dicembre 2012.
In questo modo i giudici distrettuali, da un lato, hanno ritenuto dimostrato il ricorrere della scientia decoctionis richiesta dall’art. 67, comma 2, l. fall., dall’altro hanno dato conto che i pagamenti erano avvenuti nel periodo sospetto previsto dalla medesima norma, ove si consideri che l’art. 69 -bis , comma 2, l. fall. prevede che il computo dei termini decorra dalla data di pubblicazione della domanda di preconcordato nel registro delle imprese.
Sulla base di simili accertamenti in fatto i giudici distrettuali dovevano comunque addivenire al rigetto dell’impugnazione presentata, cosicché l’odierna ricorrente non ha interesse all’accoglimento della censura, dato che il dispositivo della sentenza impugnata risulta conforme a diritto.
6. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 67, l. fall., 115 e 116 cod.
proc. civ.: l’errata riconduzione della vicenda alla disciplina prevista dal primo comma dell’art. 67 l. fall., invece che a quella del successivo capoverso, ha avuto come effetto -a dire di parte ricorrente – quello di provocare un ‘illegittima inversione dell’onere della prova, in quanto in realtà era il curatore a dover dimostrare l’esistenza della scientia decoctionis in capo all’ accipiens .
Peraltro, la Corte d’appello non avrebbe compiuto quel prudente apprezzamento cui era tenuta nella valutazione degli elementi di prova offerti a dimostrazione della conoscenza dello stato di insolvenza.
Il motivo risulta nel suo complesso inammissibile.
La mancata indicazione di caratteristiche di anomalia tali da ricondurre il pagamento mediante escussione della garanzia fideiussoria alla disciplina prevista dall’art. 67, comma 1, n. 2, l. fall. doveva portare i giudici distrettuali -come detto -all’in quadramento della fattispecie nella disciplina dell’art. 67, comma 2, l. fall., con la conseguente attribuzione alla curatela attrice dell’onere di dimostrare la conoscenza dello stato di insolvenza del debitore da parte dell’ accipiens .
L’odierno ricorrente, tuttavia, non ha interesse ad impugnare l’erronea attribuzione all’appellante dell’onere probatorio della sua inscientia decoctionis , visto che la Corte distrettuale ha comunque rilevato, attraverso un’autonoma ratio decidendi , che vi erano diversi elementi indicativi di tale effettiva conoscenza, tenuto conto delle modalità con cui il rapporto si era sviluppato fino al rilascio dell’immobile (dato che l’affittuaria non aveva pagato i canoni dall’aprile 2012, con conseguente ri soluzione del contratto per inadempimento ed escussione della fideiussione per ricevere il dovuto), del tenore delle dichiarazioni rese nel corso dell’istruttoria, delle risultanze del bilancio al 31 marzo 2012 e delle capacità di controllo della società appellante.
Simili valutazioni non possono poi essere sindacate, in questa sede di legittimità, nei loro approdi.
Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza con cui si lamenti che questi, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 cod. proc. civ. (Cass., Sez. U., 20867/2020).
La doglianza concernente la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile, invece, solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce a una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta a una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., Sez. U., 20867/2020).
Non è dunque possibile, come fa il motivo in esame, proporre una censura per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod.
proc. civ. denunciando un’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito.
8. Il terzo motivo di ricorso assume la violazione degli artt. 67 l. fall., 1936 -1957 cod. civ.: affermare la revocabilità ex art. 67 l. fall. del pagamento reso dal terzo è -in tesi -contrario alla lettera e al fine della norma, perché tutte le fattispecie previste dall’art. 67 l. fall. hanno come minimo comune denominatore che gli atti dispositivi siano posti in essere dal fallito e abbiano come diretto effetto un depauperamento del suo patrimonio.
Il pagamento effettuato con denaro proprio del terzo non può essere ritenuto lesivo della par condicio creditorum , perché tale lesione si verifica solo con la rivalsa, cosicché il curatore deve esercitare l’azione revocatoria nei confronti di quest’ultimo atto.
Per di più, il permanere degli effetti dell’esecuzione di un contratto non può essere subordinato ad elementi esterni allo stesso ed indipendenti dalla volontà delle parti, costituiti dalla decisione del garante di agire in rivalsa nei confronti del debitore principale.
Il motivo è inammissibile ex art. 360bis , n. 1, cod. proc. civ..
Si è già detto che la revocatoria fallimentare del pagamento di debiti del fallito ai sensi dell’ art. 67, comma 2, l. fall. è esperibile anche quando il pagamento sia stato effettuato dal terzo garante, purché risulti che questi, dopo aver pagato, abbia esercitato l’ azione di rivalsa verso il debitore principale prima dell’apertura del fallimento. L’odierna ricorrente sostiene che la revocatoria deve essere esperita non nei confronti del pagamento effettuato dal garante, ma nei confronti dell’atto di rivalsa del terzo, a cui è direttamente collegabile la lesione della par condicio creditorum .
La tesi intende valorizzare il meccanismo attraverso il quale il pagamento è realizzato per individuare il destinatario dell’azione revocatoria nel soggetto che funge da tramite per la realizzazione del pagamento piuttosto che nel reale beneficiario finale dello stesso.
Un simile assunto contrasta, però, con la lettera e la ratio della norma che, nel prevedere la revoca dei pagamenti, intende fare in modo che il soggetto che sia stato soddisfatto dal debitore nel periodo sospetto -poco importa se direttamente o attraverso un meccanismo che preveda un pagamento di un terzo e una rivalsa di quest’ultimo nei confronti del debitore, come nel caso di escussione di una fideiussione -rimanga assoggettato al concorso attraverso la declaratoria di inefficacia del pagamento che egli abbia ricevuto.
Se deve essere revocato il pagamento, allora non è possibile ‘spostare’ la direzione dell’azione dal reale destinatario dello stesso a chi abbia provveduto alla sua esecuzione riversandone gli effetti sul patrimonio del debitore, perché la revocatoria sanziona di inefficacia il negozio solutorio e, dunque, va diretta contro chi ne è stato l’effettivo beneficiario (v. Cass. 6282/2016, pag. 7).
10. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 8.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 13 marzo 2024.