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Revocatoria fallimentare: pagamento a rischio

Un professionista riceve un pagamento da una società poco prima che questa fallisca. Tale pagamento, avvenuto a saldo di un credito maggiore a seguito di una transazione, è stato oggetto di una azione di revocatoria fallimentare. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito, dichiarando inefficace il pagamento e condannando il professionista alla restituzione della somma. La Corte ha ritenuto provata la conoscenza dello stato di insolvenza (scientia decoctionis) da parte del creditore, sulla base di una serie di indizi gravi, precisi e concordanti, come la necessità di un decreto ingiuntivo e l’accettazione di una somma inferiore per liberare l’unico bene della società.

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Revocatoria Fallimentare: Quando il Pagamento Ricevuto Va Restituito

Ricevere un pagamento da un cliente o da un partner commerciale in difficoltà finanziarie può sembrare una boccata d’ossigeno, ma nasconde insidie significative. La revocatoria fallimentare è uno strumento giuridico che permette al curatore di un’azienda fallita di ‘revocare’ alcuni pagamenti effettuati prima della dichiarazione di fallimento, obbligando chi li ha ricevuti a restituire le somme. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 18575/2024) offre un chiaro esempio di come e perché ciò possa accadere, mettendo in luce il concetto di ‘scientia decoctionis’, ovvero la conoscenza dello stato di insolvenza del debitore.

I Fatti: Un Credito Professionale e un Accordo Rischioso

La vicenda ha come protagonista un professionista che vantava un cospicuo credito per compensi professionali, superiore a 119.000 euro, nei confronti di una società di costruzioni. Di fronte all’inadempimento, il professionista aveva ottenuto un decreto ingiuntivo e iscritto un’ipoteca sull’unico immobile di proprietà della società debitrice.

Successivamente, per consentire alla società di vendere tale immobile, le parti raggiungevano un accordo transattivo: il professionista acconsentiva a ricevere una somma notevolmente inferiore (circa 23.000 euro), rinunciando al resto del suo credito e cancellando l’ipoteca. Circa due mesi dopo questo pagamento, la società veniva dichiarata fallita. Il curatore fallimentare agiva quindi in giudizio per ottenere la revoca del pagamento.

La Decisione nei Gradi di Merito

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello accoglievano la domanda del Fallimento. I giudici ritenevano che, sebbene il pagamento fosse stato effettuato con un mezzo non anomalo (assegno circolare), sussistessero tutti i presupposti per la revocatoria fallimentare ai sensi dell’art. 67, comma 2, della Legge Fallimentare. In particolare, veniva considerata provata la ‘scientia decoctionis’ del professionista.

La questione della Revocatoria fallimentare in Cassazione

Il professionista presentava ricorso in Cassazione, sostenendo, tra le altre cose, che la Corte d’Appello avesse errato nel non motivare adeguatamente e nell’invertire l’onere della prova sulla sua conoscenza dello stato di insolvenza. A suo dire, il pagamento rientrava nella normalità dei rapporti commerciali e non vi erano prove sufficienti del suo essere a conoscenza delle difficoltà finanziarie della società.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione impugnata. I giudici supremi hanno chiarito che la valutazione sulla sussistenza della ‘scientia decoctionis’ è una questione di fatto, riservata al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente basato la sua decisione su una serie di indizi gravi, precisi e concordanti. Questi elementi includevano:

1. L’azione legale precedente: Il fatto che il professionista avesse dovuto ricorrere a un decreto ingiuntivo e a un’ipoteca sull’unico bene della società era un chiaro segnale della grave difficoltà di quest’ultima nel saldare i propri debiti.
2. La transazione: L’aver accettato una somma pari a meno di un quinto del credito originario, rinunciando alla parte restante, non è un comportamento tipico in un rapporto commerciale sano. Tale accordo è stato interpretato come la consapevolezza del professionista che quella fosse l’unica possibilità di recuperare almeno una parte del suo credito prima del crollo definitivo della società.

La Cassazione ha sottolineato che tali circostanze, nel loro complesso, costituivano una prova presuntiva più che sufficiente della conoscenza dello stato di insolvenza da parte del creditore. I tentativi del ricorrente di contestare questa valutazione sono stati considerati meri tentativi di riesaminare il merito della vicenda, attività preclusa in sede di Cassazione.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di revocatoria fallimentare: la consapevolezza dello stato di insolvenza del debitore non deve essere provata con una ‘prova diretta’ (come una confessione), ma può essere desunta da un insieme di elementi fattuali (presunzioni). Per i creditori, specialmente professionisti e fornitori, ciò significa che accettare accordi transattivi ‘al ribasso’ o pagamenti ottenuti dopo azioni legali da parte di un’azienda in palese difficoltà finanziaria comporta un alto rischio. Tali pagamenti, se effettuati nel cosiddetto ‘periodo sospetto’ prima del fallimento, possono essere revocati, con il conseguente obbligo di restituire quanto incassato alla massa dei creditori.

Quando un pagamento a un creditore può essere soggetto a revocatoria fallimentare?
Un pagamento può essere soggetto a revocatoria fallimentare, ai sensi dell’art. 67, comma 2, della Legge Fallimentare, se è avvenuto nel semestre anteriore alla dichiarazione di fallimento e se il curatore prova che il creditore conosceva lo stato di insolvenza del debitore (scientia decoctionis).

Quali elementi possono dimostrare che un creditore conosceva lo stato di insolvenza del debitore?
La conoscenza dello stato di insolvenza può essere provata tramite presunzioni gravi, precise e concordanti. Nel caso esaminato, elementi decisivi sono stati il fatto che il creditore avesse dovuto ottenere un decreto ingiuntivo e iscrivere ipoteca sull’unico immobile del debitore, e l’aver successivamente accettato un pagamento transattivo molto inferiore al credito originario pur di incassare qualcosa.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione dei fatti che ha portato il giudice a ritenere provata la conoscenza dell’insolvenza?
No, la valutazione delle prove e degli indizi che dimostrano la ‘scientia decoctionis’ è un giudizio di fatto riservato ai giudici di primo e secondo grado. In Cassazione è possibile denunciare solo vizi di violazione di legge o un’omessa motivazione su un fatto decisivo, non un riesame del merito delle prove.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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