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Revocatoria Fallimentare e Cessione del Credito

La Corte di Cassazione chiarisce i confini della revocatoria fallimentare in relazione a un pagamento eseguito in virtù di una precedente cessione di credito. Un creditore riceveva un pagamento da una società poco prima che questa fallisse, sostenendo che l’atto fosse l’esecuzione di una cessione di credito avvenuta fuori dal ‘periodo sospetto’. La Corte ha stabilito che le modalità concrete del pagamento sono decisive: poiché il denaro è transitato sul conto della società poi fallita prima di essere trasferito al creditore, l’operazione non costituisce una cessione tipica ma un pagamento di debito autonomo. Tale pagamento, avvenuto nel periodo sospetto, è stato quindi correttamente dichiarato inefficace, confermando le sentenze dei gradi precedenti e respingendo il ricorso del creditore.

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Revocatoria Fallimentare: il Pagamento è un Atto Autonomo dalla Cessione del Credito

L’azione di revocatoria fallimentare è uno strumento fondamentale per tutelare la parità di trattamento tra i creditori (par condicio creditorum). Ma cosa accade quando un pagamento, effettuato poco prima del fallimento, è presentato come l’atto finale di una precedente cessione di credito? Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione offre un importante chiarimento, sottolineando come le modalità concrete dell’operazione siano decisive per stabilire se un atto sia revocabile o meno. La vicenda riguarda una società che, pochi mesi prima di essere dichiarata fallita, ha effettuato un pagamento di oltre 57.000 euro a un suo creditore. Il curatore fallimentare ha agito per revocare tale pagamento, ma il creditore si è difeso sostenendo che l’operazione fosse l’adempimento di un contratto di cessione di credito stipulato molto tempo prima, e quindi al di fuori del cosiddetto ‘periodo sospetto’.

I Fatti di Causa

Una società commerciale, prima di essere dichiarata fallita, aveva un credito verso un’Amministrazione Comunale. Per saldare un proprio debito, la società stipulava un accordo, qualificato come ‘cessione di credito’, con un suo creditore. Tuttavia, l’operazione non si svolgeva secondo lo schema tipico: invece di far pagare direttamente il Comune al nuovo creditore, la somma veniva prima accreditata sul conto corrente della società cedente. Successivamente, la società stessa, tramite un bonifico, trasferiva l’importo al suo creditore. Questo pagamento avveniva pochi mesi prima della dichiarazione di fallimento, rientrando pienamente nel periodo di sei mesi previsto dall’art. 67 della Legge Fallimentare per la revocatoria dei pagamenti di debiti liquidi ed esigibili.

La Decisione della Corte: la Revocatoria Fallimentare Prevale

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello hanno accolto la domanda del curatore fallimentare, dichiarando inefficace il pagamento. La Corte di Cassazione, investita della questione, ha dichiarato il ricorso del creditore inammissibile, confermando di fatto la decisione dei giudici di merito. Il punto centrale della controversia non era l’esistenza dell’accordo di cessione, ma la sua natura e, soprattutto, le modalità con cui il pagamento era stato eseguito. La Cassazione ha ritenuto che la valutazione della Corte d’Appello fosse corretta e incensurabile in sede di legittimità.

Le Motivazioni della Sentenza

La Suprema Corte ha evidenziato una distinzione cruciale. Un conto è una cessione del credito tipica, ai sensi dell’art. 1260 c.c., in cui il credito esce immediatamente dal patrimonio del cedente per entrare in quello del cessionario, con il debitore originario che paga direttamente al nuovo creditore. In questo scenario, il patrimonio del cedente non viene intaccato da un successivo pagamento.

Nel caso di specie, invece, il flusso finanziario è stato diverso: il denaro dovuto dal Comune è entrato nel patrimonio della società (poi fallita) e solo in un secondo momento è stato trasferito al creditore. Questo secondo passaggio, secondo la Corte, non è l’esecuzione di una cessione, ma costituisce a tutti gli effetti ‘il pagamento di un debito a carico di Co.Ges. ed a favore dell’Elia’.

L’accordo iniziale tra le parti è stato quindi interpretato non come un atto con effetto traslativo immediato del credito, ma come un negozio con efficacia meramente obbligatoria: la società si era impegnata a pagare il suo creditore una volta incassata la somma dal Comune. L’effettivo depauperamento del patrimonio, rilevante ai fini della revocatoria fallimentare, si è verificato non al momento dell’accordo, ma al momento del bonifico. Essendo tale atto avvenuto all’interno del periodo sospetto, è stato legittimamente revocato.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: nell’ambito della revocatoria fallimentare, la sostanza prevale sulla forma. La qualificazione data dalle parti a un contratto (in questo caso ‘cessione di credito’) non è vincolante per il giudice, che deve invece analizzare gli effetti concreti dell’intera operazione. L’insegnamento pratico è chiaro: per minimizzare il rischio di revocatoria, le operazioni di cessione del credito devono essere strutturate in modo che il flusso di denaro passi direttamente dal debitore ceduto al creditore cessionario, senza transitare per il patrimonio del cedente. Qualsiasi passaggio intermedio attraverso il conto corrente del cedente può essere interpretato come un pagamento autonomo di un debito preesistente, esponendolo al rischio di essere reso inefficace qualora intervenga il fallimento.

Un pagamento che esegue una precedente cessione di credito è sempre al sicuro dalla revocatoria fallimentare?
No. La Corte ha stabilito che se il pagamento non segue lo schema tipico della cessione (pagamento diretto dal debitore ceduto al cessionario) ma transita sul conto del cedente (poi fallito), esso costituisce un atto di pagamento autonomo e distinto, come tale revocabile se avvenuto nel periodo sospetto.

Cosa determina il momento in cui si verifica il depauperamento del patrimonio ai fini della revocatoria fallimentare?
Il depauperamento si verifica con l’atto che effettivamente diminuisce il patrimonio del debitore a svantaggio della massa dei creditori. Nel caso di specie, non è stata la cessione del credito (ritenuta di natura solo obbligatoria) a causarlo, ma il successivo bonifico bancario dal conto del debitore (poi fallito) a quello del creditore.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Perché la valutazione sulla natura dell’accordo tra le parti (se fosse una vera cessione di credito con effetto traslativo immediato o un mero accordo obbligatorio) è un’analisi di fatto riservata ai giudici di merito. La Cassazione non può riesaminare tale valutazione, a meno di vizi di motivazione specifici che in questo caso non sono stati riscontrati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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