Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10497 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10497 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13499-2019 proposto da:
COGNOME NOME, DI COGNOME NOME, DI COGNOME NOME, DI COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che li rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME ADDOLORATA, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO
INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO che li rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrenti –
nonché contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME;
-intimati – avverso la sentenza n. 650/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/04/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Lette le memorie dei ricorrenti;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con citazione notificata il 3.7.1997 NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME deducevano che il 27.2.97 era deceduto in Roma il loro congiunto COGNOME NOME, vedovo di NOME COGNOME e senza figli, lasciando quali unici eredi legittimi, la sorella NOME ed i nipoti COGNOME NOME, NOME e NOME, figli del premorto fratello NOME; precisavano che il compendio ereditario era costituito da alcuni immobili siti in Roma ed in S. Elena Sannita, oltre che da depositi bancari e postali; aggiungevano che NOME COGNOME, cognata del de cuius , occupava uno di tali immobili (quello sito in Roma al INDIRIZZO) ritenendosi erede dello stesso COGNOME; chiedevano, pertanto, che l’adito Tribunale di Roma accertasse e
dichiarasse che essi attori erano gli eredi del defunto NOME COGNOME, con la condanna della convenuta a rilasciare l’appartamento in questione.
COGNOME NOME si costituiva chiedendo il rigetto della domanda avversaria, deducendo che il de cuius con un testamento olografo datato 1.2.1976 l’aveva istituita erede universale, lasciandole la maggior consistenza del suo patrimonio, mentre con altro precedente testamento olografo del 19.5.1973 le disposizioni testamentarie erano dirette non solo a favore di essa convenuta ma anche degli altri cognati del de cuius, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, in quanto istituiti legatari. Chiedeva, pertanto, che il tribunale adito la dichiarasse erede o legataria dei beni mobili ed immobili di cui trattasi, con la condanna della nipote NOME COGNOME al rilascio dell’appartamento del de cuius , da cui quest’ultima l’aveva estromessa, ed al risarcimento dei danni.
All’udienza del 6.05.1998 la causa veniva riunita ad altra che gli stessi attori avevano promosso contro i COGNOME al fine di essere dichiarati, in quanto unici eredi legittimi di NOME COGNOME, proprietari di due appartamenti siti in Roma, con conseguente condanna dei convenuti al rilascio degli stessi.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 23460/2001, ritenuta la validità dei testamenti olografi in parola, rigettava entrambe le domande formulate dagli attori e dichiarava che la successione di COGNOME NOME era regolata dai menzionati testamenti olografi redatti in data 19.5.73 ed 1.2.1976 contenenti, il primo, legato congiunto in favore di tutti i germani COGNOME, ed il secondo, l’istituzione della sola COGNOME NOME quale unica ed esclusiva
erede di COGNOME NOME in ordine ai beni immobili e mobili descritti in tale ultimo testamento.
La sentenza veniva appellata dai sig.ri COGNOME, i quali, in riforma dell’impugnata decisione, insistevano per la declaratoria di essi appellanti quali unici eredi del de cuius , i cui due testamenti olografi non essendo a lui riconducibili, dovevano ritenersi inefficaci ed invalidi, anche perché revocati ed oggetto di rinuncia da parte di COGNOME NOME.
Si costituivano gli appellati che insistevano per il rigetto del gravame.
Essendo deceduta COGNOME NOME, il processo veniva riassunto nei confronti degli eredi della medesima, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 4521/09, rigettava l’appello, compensando le spese del grado. La Corte confermava la validità dei suddetti testamenti e riteneva che il testamento olografo del 19.5.73 (di cui erano beneficiari tutti i germani COGNOME) non era stato revocato dal successivo testamento pubblico del 22 maggio 1973, di contenuto identico in quanto contemplava le stesse disposizioni patrimoniali, ne’ dal successivo atto pubblico dello stesso notaio in data 27.12.1984 con il quale il de cuius aveva revocato i precedenti testamenti, tranne (oltre al testamento olografo del 1.2.76) il ricordato testamento del 19.5.73, che quindi era destinato ad operare in via esclusiva a seguito della revoca delle successive conformi disposizioni testamentarie, nonché quello del 1.2.1976, in base al quale doveva ritenersi che a COGNOME NOME fosse attribuita la
qualifica di erede non più revocabile in quanto si trovava nel possesso dei beni ereditari.
Avverso la predetta sentenza COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo (che riguardava soltanto la dedotta revoca anche del testamento del 19.5.73).
Nella resistenza di COGNOME NOME, COGNOME NOME, nonché COGNOME NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, nella qualità di eredi di NOME COGNOME, e disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi di COGNOME NOME, deceduto nelle more, questa Corte con la sentenza n. 17267/2012 ha accolto il ricorso, cassando la sentenza d’appello con rinvio alla Corte d’appello di Roma.
In primo luogo, era esaminata la questione pregiudiziale posta dai controricorrenti e concernente il difetto d’interesse dei ricorrenti, essendo passata in giudicato per mancata impugnazione la pronuncia della sentenza che aveva accertato la qualità di erede universale di COGNOME NOME.
I controricorrenti avevano dedotto che si era formato un giudicato interno che non consentiva l’apertura, sia pure parziale, della successione legittima. Pertanto, i ricorrenti sarebbero stati privi di interesse ad impugnare le disposizioni testamentarie del 19.5.73 perché in caso d’accoglimento della loro domanda, i beni oggetto di tale testamento avrebbero accresciuto la massa ereditaria nella disponibilità dell’unica erede testamentaria, NOME COGNOME.
L’eccezione era però rigettata in quanto secondo la Corte muoveva da un presupposto errato, e cioè che nella fattispecie possa operare il diritto d’accrescimento tra coeredi di cui agli artt. 674 e ss. c.c. Invero, l’istituto dell’accrescimento può aversi soltanto nel caso di chiamata congiuntiva “quando più eredi sono istituiti con uno stesso testamento nell’universalità dei beni, senza determinazione di parte o in parti uguali, anche se determinate, qualora uno di essi non possa e non voglia accettare”. Nella fattispecie non sussistevano tali condizioni, mancando la vocazione o chiamata congiuntiva, che sussiste quando gli eredi siano chiamati con uno stesso testamento ( coniunctio verbis ) e il testatore non abbia fatto determinate parti, ovvero pur determinando le parti, abbia chiamato i coeredi in parti uguali ( coniunctio re ); pertanto per l’accrescimento delle quote ereditarie è necessaria la coniunctio re et verbis . Nel caso in esame mancavano i requisiti della coniunctio re et verbis , atteso che COGNOME NOME era stata istituita unica erede con il testamento olografo del 1.2.76 per cui non vi era alcuna chiamata congiuntiva con gli altri COGNOME, nominati legatari, ma con altro testamento olografo del 19.5.73. D’altra parte, era pacifico che il de cuius con l’indicato testamento in favore di COGNOME NOME, non avesse disposto di tutti i suoi beni, ciò che rendeva possibile la coesistenza della successione legittima con quella testamentaria (Cass. n. 2968 del 7.4.97; Cass. n. 6697 del 10.5.02).
Passando all’analisi del ricorso, che denunziava la violazione e falsa applicazione degli , , , e in relazione alla dedotta revoca anche del testamento del
19.5.1973, e precisamente la questione se il testamento olografo del 19.5.73 fosse stato revocato o meno a seguito della revoca espressa del successivo testamento pubblico del 22.5.1973, avvenuta per atto pubblico del de cuius in data 27.12.84, atteso che i due testamenti contenevano disposizioni di identico tenore, questa Corte rilevava che il giudice di appello aveva ritenuto che per effetto di tale atto pubblico – che richiamava espressamente il testamento pubblico del 22 maggio 1973, ma non quello olografo del 19 maggio 1973 – era stato revocato solo il primo, per cui continuava ad operare l’olografo in via esclusiva. Secondo la corte territoriale i due testamenti, proprio perché contenevano “disposizioni d’identico tenore”, non erano affatto inconciliabili, per effetto dell’ secondo cui il testamento posteriore quando non revoca in modo espresso il precedente, annulla in questo solo le disposizioni incompatibili. Tale norma “presuppone la possibilità logica e giuridica della concorrenza delle disposizioni testamentarie non contemporanee e fissa, in linea di principio, la regola della loro paritaria coesistenza, cioè della conservazione delle disposizioni più antiche, sicché di massima, queste sopravvivono e convivono con il testamento novello, restandone travolte soltanto quelle incompatibili con le successive”. Concludeva la Corte d’appello che ” accertata la mancata caducazione del primo testamento, a nulla rilevava la successiva revoca del de cuius con il ricordato l’atto pubblico del 27.12.1984 che riguardava solo il testamento pubblico (ancorché identico) del 22.5.1973″.
Tale affermazione era stata sottoposta a critica dai ricorrenti che reputavano che tale assunto fosse viziato da violazione delle
norme di legge richiamate, in quanto non era stata correttamente ed adeguatamente indagata la volontà del de cuius alla luce delle norme che regolano le disposizioni testamentarie. Con riferimento in specie al menzionato atto di revoca notarile, il giudice di merito avrebbe limitato la sua indagine al solo contenuto letterale dello stesso, in cui si menzionava solo il testamento pubblico, ma non quello olografo. Invece nell’atto di revoca del de cuius “… l’espressione “il testamento del 1973″ doveva essere interpretata, alla luce del complesso dei vari atti, tenendo primario conto delle volontà sostanziali nello stesso atto contenute alla luce delle finalità che con la sottoscrizione della revoca il detto de cuius intendeva raggiungere seguendo il medesimo canone ermeneutico del contenuto e dello scopo già osservato al momento della prima valutazione dei soli due testamenti tra di loro, che aveva portato la corte a rilevarne l’identità di contenuti”. Erano invero chiare – per i ricorrenti – la volontà e l’intenzione del testatore nella revoca dei precedenti testamenti, nel senso che egli non intendeva più beneficiare i propri cognati con il lascito dei due appartamenti. La corte capitolina, dunque, applicando correttamente i canoni interpretativi giurisprudenziali, avrebbe dovuto dichiarare revocato anche il primo testamento olografo, “attesa l’evidente incompatibilità tra le volontà sostanziali manifestate con il primo testamento e le opposte incompatibili volontà sostanziali manifestate con l’atto ultimo di revoca, evitando con ciò di volere concludere con una finale affermazione (revoca delle successive e conformi disposizioni testamentarie) che oltre ad essere contraddittoria in se…contrasta con la volontà del de cuius”.
Secondo la precedente sentenza di questa Corte i giudici di appello non avevano correttamente seguito i canoni interpretativi prescritti ai fini dell’accertamento della volontà del de cuius nelle disposizioni testamentarie in parola, in considerazione, tra l’altro, della peculiarità della vicenda in esame, nella quale il testamento olografo del 19.05.73 – che recava determinate attribuzioni patrimoniali – era stato seguito soltanto 3 giorni dopo (in data 22.5.73) da un testamento pubblico che riproduceva le stesse attribuzioni patrimoniali e perciò era stato ritenuto dal giudice del merito contenente una disposizione mortis causa sovrapponibile e non incompatibile agli effetti dell’ . Il testamento pubblico potrebbe atteggiarsi a negozio riproduttivo, assolvendo ad una funzione meramente duplicativa del precedente olografo, redatto solo 3 giorni prima. Ne derivava che andava stabilito sulla base di un più accurato esame delle emergenze istruttorie acquisite – se, con la revoca delle disposizioni testamentarie in esame, il de cuius avesse inteso o meno non più beneficiare i propri cognati COGNOME, eliminando entrambe le disposizioni testamentarie. Nel caso di specie infatti si riteneva che la Corte di merito nella scelta e valutazione degli elementi di giudizio più idonei a ricostruire la volontà del de cuius, non si fosse attenuta alle regole ermeneutiche di cui all’ , (v. Cass. Sez. 2, n. del 11/04/2005), e che non avesse tenuto conto che il giudice di legittimità aveva precisato in materia, che l’interpretazione delle disposizioni testamentarie è caratterizzata, rispetto a quella del contratto, da una più penetrante ricerca, al di là della mera dichiarazione, della volontà del testatore, la quale, alla stregua delle regole ermeneutiche di cui all’
(applicabili, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria), va individuata sulla base dell’esame globale della scheda, con riferimento, essenzialmente nei casi dubbi, anche ad elementi estrinseci, come la cultura, la mentalità e l’ambiente di vita del testatore” (Cass. Sez. 2, n. del 03/12/2010).
Ha quindi enunciato il seguente principio: “Ove ad un testamento olografo faccia seguito un testamento pubblico recante la medesima attribuzione patrimoniale in favore dello stesso erede, la successiva revoca, per atto notarile, del testamento pubblico, senza alcuna menzione del precedente olografo estende i propri affetti al testamento olografo precedente ove quello pubblico sia meramente riproduttivo, sicché ai fini della revoca espressa del testamento occorre guardare non tanto alla scheda testamentaria in sé, quanto piuttosto alle attribuzioni patrimoniali che essa reca”.
Conclusivamente il ricorso doveva essere accolto; la sentenza cassata e la causa rinviata anche per le spese di questo giudizio ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma, la quella deciderà sulla base del principio di diritto sopra enunciato.
Riassunto il giudizio su iniziativa di COGNOME NOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, si sono costituiti COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME (questi ultimi tre quali eredi di COGNOME NOME, a sua volta erede di COGNOME NOME).
Deceduto COGNOME NOME, si costituivano i suoi eredi COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME e NOME, nonché COGNOME NOME.
Restavano contumaci COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME, a sua volta erede di COGNOME NOME, nonché COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, eredi della figlia premorta di COGNOME NOME, nonché l’altro erede di COGNOME NOME, COGNOME NOME.
La Corte d’Appello di Roma, quale giudice di rinvio, con la sentenza n. 650 del 30 gennaio 2019 ha dichiarato che eredi legittimi e quindi proprietari dei beni di COGNOME NOME, ad esclusione di quelli assegnati a COGNOME NOME con il testamento del 1976, erano COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
La Corte d’Appello dopo aver richiamato le vicende processuali pregresse ed il principio di diritto affermato da questa Corte, reputava che il testamento olografo del 19 maggio 1973 era stato revocato con il testamento del 27 dicembre 1984, e ciò in quanto la sentenza del giudice di legittimità aveva accertato l’identità delle disposizioni patrimoniali in esso contenute con quelle di cui al testamento pubblico del 22 maggio 1973, che era stato espressamente richiamato nel testamento del 1984 che conteneva la volontà di revoca.
Ciò comportava che i beni immobili ubicati in Roma ed oggetto dei due testamenti del 1973, in quanto oggetto di legato in favore dei fratelli COGNOME, rientravano tra i beni oggetto della successione legittima che si era invece aperta in favore dei germani COGNOME.
Per l’effetto COGNOME NOME, e per essa i suoi eredi, andavano condannati al rilascio dei beni in favore degli attori.
Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso, affidato a due motivi, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Resistono con controricorso COGNOME NOME, COGNOME NOME, in proprio e quali eredi legittimi della sorella defunta COGNOME NOME, nonché COGNOME NOME.
Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.
Con ordinanza interlocutoria emessa all’esito dell’adunanza camerale del 19 giugno 2024 è stata disposta la rinnovazione della notifica del ricorso nei confronti di COGNOME NOME
Parte ricorrente, in prossimità dell’udienza, ha depositato memorie nelle quali riferisce che COGNOME NOME è deceduto e che allo stesso, come da documentazione prodotta, risultano succeduti gli eredi di COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Si segnala altresì che pur essendo stata tentata la notifica a quest’ultimo all’estero, essendo nelle more trasferitosi in Spagna, non risultano pervenute le cartoline postali attestanti il perfezionamento della notifica.
Reputa tuttavia che tale circostanza non impedisca la decisione del ricorso, dovendo in effetti ritenersi comunque assicurato il contraddittorio.
A tal fine rileva che il ricorso era stato già notificato a COGNOME NOME in proprio, così che, pur essendo nelle more divenuto anche erede del padre, non si impone una nuova notifica specificamente indirizzata alla parte nella acquista qualità.
Questa Corte ha, infatti, affermato che qualora una medesima persona fisica cumuli in sé la qualità di parte in proprio e quale erede di altro soggetto, non è necessario provvedere all’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti, quale erede, ove la stessa sia già costituita in proprio, ravvisandosi nella specie l’unicità della parte in senso sostanziale (nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato l’inammissibilità dell’appello, per mancata integrazione del contraddittorio, in relazione all’omessa notifica dell’atto di citazione nei confronti degli eredi di una parte, deceduta anteriormente alla notifica di tale atto, i quali erano già costituiti, in proprio, nel medesimo grado di giudizio). (Cass. Sez. 1, 23/05/2008, n. 13411; Cass. n. 6844/2012; Cass. n. 5444/2021, secondo cui non va integrato il contradditorio nei confronti della persona fisica che, cumulando in sé la qualità di parte in proprio e quella di erede di altro soggetto, deceduto prima dell’inizio del giudizio, sia stata comunque citata nella causa in proprio).
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c. e degli artt. 1362, 587, 680 e 682 c.c., con omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, rappresentato dall’accertamento della portata meramente riproduttiva o meno del testamento pubblico del 22/5/1973 rispetto alle disposizioni contenute nel testamento olografo del 19/5/1973.
Si deduce che la sentenza emessa in sede di rinvio non si è attenuta alle prescrizioni contenute nella sentenza che ha disposto il rinvio e che pertanto è incorsa nei medesimi vizi che connotavano la sentenza cassata.
Con la prima sentenza emessa dalla Corte d’Appello si era reputato che tra i due testamenti del DATA_NASCITA non vi fosse incompatibilità, così che la revoca del testamento pubblico del 22 maggio non implicava anche una volontà di revocare quello del 19 maggio.
La sentenza di questa Corte n. 27267/2012 ha cassato la decisione di appello, ma ha rinviato al giudice di merito affinché indagasse se il testamento successivo potesse considerarsi come negozio meramente riproduttivo di quello precedente, poiché solo in tal caso avrebbe potuto trovare applicazione il principio di diritto enunciato.
La cassazione era quindi funzionale ad una rinnovata indagine da parte del giudice di rinvio circa la perfetta sovrapponibilità tra le previsioni contenute nei due testamenti, onde riscontrare l’assoluta identità tra le due schede, presupposto necessario affinché si possa reputare che la revoca, esplicitamente riferita al testamento pubblico del 22 maggio, si estenda anche alla scheda olografa del 19 maggio.
La Corte d’Appello di Roma quale giudice di rinvio ha del tutto travisato il contenuto della sentenza di questa Corte ed ha erroneamente affermato che già in questa vi fosse l’accertamento circa l’identità delle due schede, sostenendo quindi che non doveva più compiere alcuna indagine, e che per l’effetto la revoca era da riferire ad entrambi i testamenti.
Nel compiere tale affermazione, oltre a non avvedersi del reale contenuto della sentenza che ha disposto la cassazione, e del compito che la stessa affidava al giudice di rinvio, ha altresì trascurato il fatto che solo nella scheda del 22 maggio era
contenuta una clausola, che prevedeva la sostituzione per l’ipotesi in cui COGNOME NOME non avesse inteso avvalersi della previsione relativa agli immobili legati.
Tale differenza non è stata in alcun modo presa in considerazione dal giudice di rinvio che ha quindi ravvisato il carattere meramente riproduttivo della seconda scheda in contrasto con quello che è il loro (parziale) diverso contenuto.
Inoltre, vi sarebbero altri indici rivelatori della volontà del de cuius di attribuire gli immobili in ogni caso ai cognati COGNOME, in quanto se la revoca del testamento è da attribuire al deteriorarsi dei rapporti con la cognata NOME, non si comprende per quale ragione nella revoca del 1984 non vi sia alcuna menzione del testamento del 1976, con il quale la stessa era stata istituita erede universale per beni diversi da quelli oggetto dei legati.
Deve invece reputarsi che il testamento del 1984 abbia voluto fare chiarezza delle precedenti disposizioni patrimoniali mantenendo in vita sia quello del 1976 in favore della cognata NOME, sia quello del 19 maggio 1973 in favore di tutti i cognati, essendo tale ultimo testamento funzionale al desiderio di far retrocedere i beni ai cognati, dai quali aveva acquistato gli immobili interessati.
Il motivo è fondato.
La sentenza impugnata, nel valutare i rapporti tra le due schede del maggio 1973, ha affermato che la sentenza di questa Corte aveva espressamente ritenuto che vi fosse un’identità delle disposizioni patrimoniali nei medesimi contenute, così che era precluso ogni diverso accertamento.
Trattasi però di affermazione che risulta evidentemente in contrasto con il contenuto precettivo della sentenza di questa Corte quanto ai compiti devoluti al giudice di rinvio.
La sentenza n. 27267/2012, nel criticare l’esito cui era pervenuto il giudice di appello, che solo in ragione della pretesa compatibilità del contenuto delle due schede, aveva escluso che la revoca potesse estendersi anche al testamento del 19 maggio, sebbene vi fossero disposizioni in larga parte coincidenti, ha rimesso al giudice di rinvio di verificare ‘ sulla base di un più accurato esame delle emergenze istruttorie acquisite – se, con la revoca delle disposizioni testamentarie in esame, il de cuius avesse inteso o meno non più beneficiare i propri cognati COGNOME, eliminando entrambe le disposizioni testamentarie ‘.
Ha altresì precisato che in tale indagine il giudice non avrebbe dovuto arrestarsi al solo tenore letterale delle espressioni utilizzate dal testatore, ma avrebbe dovuto compiere una più penetrante indagine della volontà del de cuius ‘ sulla base dell’esame globale della scheda, con riferimento, essenzialmente nei casi dubbi, anche ad elementi estrinseci, come la cultura, la mentalità e l’ambiente di vita del testatore “.
Ne deriva che anche il principio di diritto enunciato risulta formulato in maniera tale da trovare applicazione alla fattispecie solo per l’ipotesi in cui, all’esito dell’indagine demandata al giudice di rinvio, fosse stato appurato che il secondo testamento aveva contenuto meramente riproduttivo del primo.
Al compito demandato il giudice di rinvio si è però sottratto, ritenendo erroneamente che l’indagine circa l’identità e sovrapponibilità delle disposizioni testamentarie fosse già stata
compiuta, ed in maniera definitiva, da questa Corte, ma in evidente contrasto con il contenuto del dictum di questo giudice che ha invece reputato necessario compiere ulteriori indagini.
Se da un lato vale la regola secondo cui, in ipotesi di cassazione con rinvio per violazione di norme di diritto, il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla “regola” giuridica enunciata, ma anche alle premesse logico-giuridiche della decisione, e attenersi agli accertamenti già compresi nell’ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se in ipotesi non esaminate nel giudizio di legittimità, costituiscono il presupposto stesso della pronuncia, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza, in contrasto col principio di intangibilità della stessa. (Cass. n. 7091/2022), nella specie era proprio carente nella sentenza di questo giudice quell’accertamento cui era condizionata l’applicazione della regula iuris contenuta nel principio di diritto formulato.
In tal senso, rileva la regola per cui il giudice di rinvio è vincolato al principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione in relazione ai punti decisivi non congruamente valutati dalla sentenza cassata e, se non può rimetterne in discussione il carattere di decisività, conserva il potere di procedere ad una nuova valutazione dei fatti già acquisiti e di quegli altri la cui acquisizione si renda necessaria in relazione alle direttive espresse dalla sentenza di annullamento (Cass. n. 3150/2024), a maggior ragione nel caso in cui siffatta indagine sia espressamente sollecitata nella sentenza che ha disposto il rinvio.
L’essersi la Corte d’appello sottratta al compito assegnatole, sull’erroneo presupposto che il giudice di legittimità avesse anche accertato in maniera definitiva la natura meramente riproduttiva delle due schede, implica quindi violazione dell’art. 384 c.p.c., dovendosi pertanto pervenire alla cassazione della pronuncia impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, affinché adempia al compito a suo tempo demandatogli dalla prima pronuncia di questa Corte.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., con la nullità della sentenza nella parte in cui ha riconosciuto la qualità di eredi legittimi di COGNOME NOME a favore degli attori, stante la violazione del giudicato interno quanto all’affermazione della qualità di erede universale in capo a COGNOME NOME.
Si deduce che la sentenza della Corte d’Appello aveva statuito che effettivamente il testamento del 1 febbraio 1976 aveva attribuito i beni diversi da quelli oggetto dei legati a favore della convenuta COGNOME NOME, e che tale attribuzione concretava un’istituzione di erede universale.
Siffatta affermazione non aveva costituito oggetto di ricorso per cassazione e quindi era passata in giudicato.
Una volta rinvenuto tale giudicato interno, deve perciò reputarsi che, ove anche si ritenesse revocata pure la scheda del 19 maggio 1973, i beni oggetto della stessa non potrebbero che essere assegnati all’erede testamentaria, essendo perciò esclusa la possibilità di assegnazione in favore degli eredi legittimi.
Il motivo è assorbito, sia in ragione del fatto che, per effetto dell’accoglimento del primo motivo, resta ancora sub iudice la questione circa la persistente efficacia della scheda testamentaria con la quale i beni, che il giudice di rinvio ha attribuito agli eredi legittimi, sono stati assegnati agli odierni ricorrenti, sia in quanto gli stessi ricorrenti hanno posto il motivo in via subordinata rispetto al primo.
Il giudice di rinvio, come sopra designato, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, ed, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, che