Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26530 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 26530 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/10/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 230/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME,
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME in proprio e quale rappresentante dello RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME,
-controricorrente-
avverso l ‘ ORDINANZA del TRIBUNALE di GENOVA n. 15440/2018 depositata il 4.11.2020.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del l’ 11.9.2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con citazione notificata il 13.12.2018, COGNOME NOME proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 4212/2018 del Tribunale di Genova, col quale erano stati liquidati i compensi professionali in favore dell’AVV_NOTAIO in proprio e quale rappresentante RAGIONE_SOCIALE dello RAGIONE_SOCIALE per €88.888,00 per l’attività giudiziale svolta in favore di lei e di altri, in forza del mandato del 2.11.2006, innanzi a varie autorità giudiziarie, inclusa la Corte EDU. Il tutto fino alla revoca del mandato da parte di tutti i clienti, avvenuta il 22.8.2013.
In particolare, nell’opposizione la COGNOME eccepiva la carenza di legittimazione attiva del AVV_NOTAIO nella duplice veste indicata, nonché la prescrizione del credito. Instava per l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri difensori che sarebbero stati incaricati, e chiedeva di essere autorizzata a chiamare in causa gli altri clienti obbligati in solido per far valere nei loro confronti il regresso in caso di pagamento dell’intera somma richiestale. La COGNOME contestava poi la congruità e correttezza dell’importo richiesto, nonché il risultato dell’attività svolta dal RAGIONE_SOCIALE, sottolineando che il patto di quota lite, contenuto nella convenzione del 24.5.2010, prevedeva che nulla fosse dovuto al professionista in caso di esito negativo della causa patrocinata.
Disposto il mutamento di rito ai sensi dell’art. 4 D. Lgs. n.150/2011, il Tribunale di Genova in composizione collegiale, nella resistenza del AVV_NOTAIO, con ordinanza n.3618/2019 del 4.11.2019, notificata in pari data, rigettava l’opposizione, accertando la legittimazione attiva del AVV_NOTAIO.
In particolare, il Tribunale respingeva l’eccezione di difetto di legittimazione attiva sulla base dei mandati depositati e della prodotta documentazione relativa allo studio RAGIONE_SOCIALE; escludeva
l’esistenza dei presupposti per l’integrazione del contraddittorio, o per la chiamata in causa dei coobbligati solidali; riteneva che il patto di quota lite subordinato all’esito del giudizio avesse perso efficacia una volta revocato il mandato; giudicava congrui i compensi professionali, già vagliati dal giudice del monitorio, in quanto parametrati all’ingentissimo valore della causa patrocinata. Osservava, infine, che gli acconti ricevuti dal professionista per il credito azionato erano già stati detratti e che i diversi importi ai quali si riferiva l’opponente erano estranei all’oggetto del decreto ingiuntivo richiesto, mentre la revoca del mandato era intervenuta quando, dopo l’accoglimento del ricorso in Cassazione, era pendente una trattativa che poteva portare ragionevolmente ad un conveniente epilogo della vicenda.
Avverso tale ordinanza, COGNOME NOME ha proposto tempestivo ricorso a questa Corte il 20.12.2019, sulla scorta di due motivi, e COGNOME NOME, in proprio e quale RAGIONE_SOCIALE rappresentante dello RAGIONE_SOCIALE, ha resistito con controricorso. La Procura generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso. Il solo COGNOME, nella duplice veste indicata, ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n.3) c.p.c., la violazione degli artt. 113 c.p.c. e 111 Cost., in quanto la Corte distrettuale avrebbe errato nel sostenere la legittimazione attiva in capo all’AVV_NOTAIO (che mai avrebbe ricevuto mandato dalla ricorrente per la proposizione dell’appello alla Corte d’Appello di Firenze e per l’opposizione all’esecuzione e che avrebbe dovuto distinguere tra crediti personali e dello studio RAGIONE_SOCIALE), fornendo una motivazione contraddittoria e insufficiente sul punto. La Corte avrebbe errato nel sostenere la retroattività della revoca del mandato determinante l’inefficacia del patto di quota lite; non
avrebbe tenuto conto degli acconti già versati al professionista da lei allegati, pari ad € 40.750,00 e non ai soli €24.000,00 detratti dal compenso chiesto in fase monitoria; avrebbe errato nel non disporre l’integrazione del contraddittorio e nel non autorizzare la chiamata in causa in garanzia impropria dei coobbligati solidali, riferendosi ad una giurisprudenza pacifica non individuata; ed avrebbe errato nel ritenere congruo il compenso liquidato, ancorché non fosse stata prodotta in fase monitoria alcuna notula; e, infine, avrebbe erroneamente escluso l’esito negativo dell’attività RAGIONE_SOCIALE svolta dall’AVV_NOTAIO, in quanto il mandato gli era stato revocato quando era in corso una trattativa che avrebbe potuto portare ad una soluzione conveniente della vicenda.
Il primo motivo è inammissibile, in quanto il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve, appunto, necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato possa rientrare nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c.; sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con una articolazione di motivi, riferiti, come nella specie, ad una eterogeneità di profili tra loro confusi o inestricabilmente combinati, e non chiaramente collegabili ad una delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito (Cass. ord. 6.5.2022 n. 14404; Cass. ord. 14.5.2018 n.11603). In particolare, si riscontra nella specie uno scollamento tra le violazioni lamentate nella rubrica del ricorso, riferite agli articoli 113 c.p.c. e 111 della Costituzione ed al vizio dell’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., e la successiva eterogenea esposizione delle doglianze prospettate.
Anche, poi, a ritenere superabile tale profilo di inammissibilità attraverso il riferimento alla sostanza di tali doglianze, dopo la riforma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. apportata dall’art. 54 comma 1 lettera b) del D.L. 22.6.2012 n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7.8.2012 n.134, non è più censurabile la motivazione insufficiente, o contraddittoria, ma solo la motivazione totalmente mancante, o meramente apparente, o che sia perplessa al punto tale da doversi ritenere del tutto inidonea a spiegare le ragioni della decisione adottata, ed a soddisfare quindi il requisito costituzionale minimo della motivazione previsto dall’art. 111 comma 6° della Costituzione, e la motivazione addotta dall’ordinanza impugnata, ancorché succinta, consente di comprendere le ragioni del rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo.
L’art. 113 c.p.c. si limita poi a prevedere che il giudice debba decidere secondo diritto, a meno che la legge non gli attribuisca il potere di decidere secondo equità, sicché il richiamo operato a tale violazione risulta inconferente rispetto al contenuto delle doglianze argomentate.
Del tutto nuove e quindi inammissibili sono, poi, le doglianze della ricorrente inerenti al mancato conferimento del mandato all’AVV_NOTAIO per la proposizione dell’appello davanti alla Corte d’Appello di Firenze e dell’opposizione all’esecuzione davanti al Tribunale di Massa. Tali questioni, infatti, non risultano minimamente trattate dall’ordinanza impugnata, per cui la ricorrente per evitare una declaratoria di inammissibilità avrebbe dovuto indicare dove e quando avrebbe allegato il mancato conferimento dei suddetti mandati al professionista da parte sua (vedi in tal senso ex multis Cass. ord. 27.9.2021 n. 26147; Cass. ord. 2.11.2018 n. 28060), mentre non l’ha fatto.
Quanto ai mandati, il Tribunale di Genova, con valutazione in fatto non censurabile in questa sede, ha ritenuto che siano stati prodotti,
e del resto solo col ricorso in questa sede la COGNOME ha negato di avere conferito l’incarico al COGNOME per la proposizione dell’appello alla Corte d’Appello di Firenze e per l’opposizione all’esecuzione davanti al Tribunale di Massa, mentre in ordine all’eccepito difetto di legittimazione attiva dell’AVV_NOTAIO ad agire anche per i compensi dello RAGIONE_SOCIALE in assenza di prove circa l’attribuzione del relativo potere, la doglianza difetta di specificità ed il Tribunale di Genova ha ritenuto superata tale eccezione in virtù della produzione dello statuto, dell’atto costitutivo del suddetto studio RAGIONE_SOCIALE e dell’atto notarile del 7.2.2006, rep. n. 30028, dai quali è emerso che l’avvocatessa NOME, che era stata socia dello RAGIONE_SOCIALE suddetto, si era da tempo cancellata dall’albo RAGIONE_SOCIALE e non era più socia dello RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, per cui non avrebbe potuto quindi richiedere alcun compenso per l’attività giudiziale svolta dal solo avvocato COGNOME e nessuna censura risulta mossa a tale argomentazione.
La giurisprudenza di questa Corte, del resto, riconosce che lo RAGIONE_SOCIALE, ancorché privo di personalità giuridica, può agire per la riscossione dei compensi, spettando al giudice di merito accertare, sulla base degli accordi interni, la titolarità del credito ed il potere di rappresentanza (Cass. 4.6.2025 n. 14967; Cass. ord. 26.1.2022 n.2332; Cass. ord. 10.4.2018 n.8768; Cass. 13.4.2007 n. 8853).
Quanto agli acconti versati, il Tribunale di Genova ha tenuto conto dei versamenti per € 24.000,00 già scomputati dal professionista nell’avanzare, in sede monitoria, la richiesta di saldo dei compensi, ed ha ritenuto che gli ulteriori importi versati, indicati nella citazione in opposizione, non fossero riferibili ai mandati per i quali è stato emesso il decreto ingiuntivo, e nessuna censura specifica ha mosso la ricorrente per confutare tale convincimento, riguardante comunque profili di fatto non sindacabili in questa sede di legittimità.
La mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di non meglio individuati altri componenti dello RAGIONE_SOCIALE, è stata disattesa per mancanza dei presupposti, avendo in precedenza il Tribunale di Genova richiamato la documentazione prodotta relativa allo studio RAGIONE_SOCIALE, che come detto aveva evidenziato la pregressa uscita dallo studio dell’avvocatessa NOME.
Quanto alla mancata autorizzazione a chiamare in causa i coobbligati solidali della attuale ricorrente, va osservato che si tratta di una valutazione discrezionale sull’opportunità di estendere il giudizio all’azione di regresso per l’ipotesi di pagamento dell’intero da parte di un coobbligato che procedesse in futuro al pagamento dell’intero, non sindacabile in questa sede (vedi i n tal senso Cass. 31.7.2020 n. 16259).
Del tutto generica, e priva del requisito dell’autosufficienza, è la censura mossa alla ritenuta congruità del compenso RAGIONE_SOCIALE, che è stato liquidato sulla base delle parcelle prodotte e della tariffa RAGIONE_SOCIALE, anche in rapporto all’asserito esito negativo, e tenuto conto dell’ingente valore della causa, in quanto la ricorrente non ha fatto riferimento al superamento dei limiti tariffari, né ha negato che l’incarico RAGIONE_SOCIALE sia stato revocato all’AVV_NOTAIO dopo l’accoglimento del suo ricorso in cassazione, e prima che fosse definito il giudizio di rinvio davanti alla Corte d’Appello di Firenze, quando erano pendenti trattative che avrebbero potuto condurre ad una soluzione conveniente della vicenda, nonché prima della conclusione non positiva del giudizio davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
La ricorrente si duole, poi, del fatto che il Tribunale di Genova abbia ritenuto irrilevante il patto di quota lite contenuto nella convenzione di incarico del 24.5.2010, anteriore alla proposizione del ricorso in cassazione, che escludeva il pagamento di compensi in caso di esito negativo della lite, a causa dell’intervenuta revoca
del mandato prima che il giudizio di rinvio giungesse a conclusione, considerando quindi retroattiva la suddetta revoca.
Premesso che il patto di quota lite, essendo intervenuto nel 2010, nell’intervallo temporale tra l’entrata in vigore del D.L. n. 223/2006 e l’introduzione del divieto del patto di quota lite dell’art. 13 comma 4° della L. n. 247/2012, non poteva ritenersi nullo, il motivo in questione è inammissibile ex art. 360 bis n. 1) c.p.c., in quanto l’impugnata ordinanza si è uniformata alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo la quale nel caso del venir meno dell’operatività del patto di quota lite per revoca dell’incarico, o rinuncia allo stesso, non viene meno la validità dell’intero contratto di patrocinio e l’attività del professionista dev’essere compensata ex art. 7 della L. n. 794/1942, risultando precluso solo l’utilizzo del criterio convenzionale di liquidazione del compenso (vedi in tal senso Cass. ord. 10.3.2023 n. 7180; e con riferimento all’ipotesi della nullità del patto di quota lite Cass. ord. 10.9.2021 n. 24523; Cass. 30.7.2018 n. 20069), e non sono stati addotti argomenti nuovi che giustifichino il superamento di tale orientamento.
2) Col secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 5) c.p.c., la ricorrente si duole dell’omesso esame dell’eccezione di prescrizione sollevata a pagina 7 dell’atto di citazione in opposizione (‘ si formula anche eccezione di prescrizione’ ).
Anche a volere ritenere superabile il profilo d’inammissibilità, discendente dall’improprio richiamo alla violazione dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. in assenza di allegazione di un fatto storico principale, o secondario decisivo non considerato, anziché alla violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., ai quali la doglianza sostanziale avanzata è riferibile per l’omessa pronuncia sull’eccezione di prescrizione, in realtà la censura difetta comunque di specificità poiché la ricorrente non ha fatto riferimento, nel formularla, e già prima nel sollevare tale
eccezione nella citazione in opposizione, al decorso di uno specifico periodo di tempo a partire dalla maturazione dei singoli diritti al compenso azionati dall’AVV_NOTAIO, e neppure aveva riferito la prescrizione ad uno specifico credito della controparte e ad un periodo determinato.
Dall’esame dell’atto di citazione in opposizione, consentito perché in sostanza è stata formulata una doglianza su un vizio processuale, si desume, infatti, che la allora opponente, attuale ricorrente, si è limitata ad indicare che ‘ Infine si deve sottolineare come all’epoca della cessazione del mandato si riteneva di avere completamente saldato il professionista per cui si formula anche eccezione di prescrizione ‘ senza alcuna ulteriore precisazione.
In conclusione, il ricorso va respinto.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a carico di parte ricorrente.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico della ricorrente, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di cassazione respinge il ricorso di COGNOME NOME e la condanna al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per spese ed €7.500,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%. Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico della ricorrente, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del l’11.9.2025
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME