Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 850 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 850 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
Oggetto
Revoca COGNOME
R.G.N. 17310/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 15/11/2023
CC
ORDINANZA
sul ricorso 17310-2022 proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
nonchŁ contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 737/2021 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 22/12/2021 R.G.N. 224/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/11/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte.
RILEVATO CHE
La Corte d’appello di Firenze confermava la pronuncia di primo grado che aveva respinto la domanda di COGNOME NOME volta ad ottenere il ripristino dell’indennità di disoccupazione (Naspi) revocatagli dall’Inps in quanto soggetto condannato per reati ostativi ai sensi d ell’art.2, co.58 e 61 l. n.92/12.
Innanzitutto, riteneva la Corte d’appello il difetto di legittimazione passiva del Ministero di Giustizia. Nel rapporto con l’Inps, la sentenza affermava che la revoca dell’indennità di disoccupazione non avesse carattere di sanzione accessoria penale e quindi non fosse soggetta al divieto di retroattività. In secondo luogo, nemmeno COGNOME aveva espiato tutte le pene irrogate, che includevano anche reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art.416 -bis c.p.
Avverso la sentenza ricorre COGNOME NOME per tre motivi.
Inps e Ministero di Giustizia resistono con controricorso. L’Inps ha depositato memoria illustrativa.
L’ufficia della Procura Generale ha depositato memoria illustrativa concludendo per il rigetto del ricorso.
All’adunanza camerale il collegio riservava termine di 60 giorni per il deposito del presente provvedimento.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, COGNOME NOME deduce violazione/falsa applicazione degli artt.2, co.58 ss. l. n.92/12, 3, 25, co.2, 38, 111 Cost., 1 l. n.689/81. Il motivo reitera l’eccezione di incostituzionalità dell’art.2, co.61 l. n.92/ 12 sia per la sua portata retroattiva, trattandosi di sanzione penale in violazione
dell’art.25 Cost., sia per la violazione del principio di intangibilità del giudicato e di uguaglianza, e anche per la violazione dell’art.38 Cost.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce violazione/falsa applicazione dell’art.2, co.61 l. n.92/12, per avere la Corte escluso che le pene subite per i reati ostativi di cui all’art.2, co.58 l. n.92/12 fossero già tutte espiate.
Con il terzo motivo di ricorso, si deduce violazione/falsa applicazione dell’art.118, co.1 d.a. c.p.c. in quanto la Corte non avrebbe motivato il proprio dissenso da un precedente contrario emesso in un caso analogo al presente.
Preliminarmente è da respingere l’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata esposizione dei fatti di causa. È vero che l’incipit del ricorso rimanda, per i fatti di causa, al ricorso introduttivo di primo grado. Tuttavia, poi, seppur in modo stringato, il corpo del ricorso fa intendere quale sia stato l’iter processuale, ovvero l’oggetto della domanda (ripristino dell’indennità di disoccupazione), il rigetto intervenuto sia in primo sia in secondo grado, nonché le motivazioni della sentenza d’app ello.
Il primo motivo è infondato.
Premesso in fatto che COGNOME otteneva varie condanne definitive sia per reati ex art.416 bis c.p. sia per vari altri reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dal’art.416 -bis c.p. o al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, e che tali condanne erano precedenti all’entrata in vigore della l.
n.92/12, viene in luce la disposizione transitoria dell’art.2, co.61 della stessa, da leggersi in combinato disposto con il precedente comma 58.
In particolare, dispongono tali commi che:
’58. Con la sentenza di condanna per i reati di cui agli articoli 270-bis, 289-bis, 416-bis, 416-ter e 422 del codice penale, nonché per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, il giudice dispone la sanzione accessoria della revoca delle seguenti prestazioni, comunque denominate in base alla legislazione vigente, di cui il condannato sia eventualmente titolare: indennità di disoccupazione, assegno sociale, pensione sociale e pensione per gli invalidi civili.
Con la medesima sentenza il giudice dispone anche la revoca dei trattamenti previdenziali a carico degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza, ovvero di forme sostitutive, esclusive ed esonerative delle stesse, erogati al condannato, nel caso in cui accerti, o sia stato già accertato con sentenza in altro procedimento giurisdizionale, che questi abbiano origine, in tutto o in parte, da un rapporto di lavoro fittizio a copertura di attività illecite connesse a taluno dei reati di cui al primo periodo. ‘
’61.
‘
Con riguardo al comma 61 e alla dedotta illegittimità costituzionale per contrarietà con l’art.25, co.2 Cost., va richiamato l’orientamento consolidato emerso in sede penale, secondo cui la revoca è pronunciata dall’Inps e non dal giudice penale, e quindi non può essere considerata quale pena accessoria, essendosi invece in
presenza di un effetto della condanna dipendente da un provvedimento dell’autorità amministrativa (Cass. Pen. n.11581/18, Cass. Pen. n.5169/22, Cass. Pen. n.33021/23).
Correttamente la sentenza impugnata ha perciò ritenuto che, non vertendosi in ambito di sanzione di natura penale, fosse inconferente il richiamo all’art.25, co.2 Cost.
Quanto al principio di intangibilità del giudicato, si osserva che trattandosi di un provvedimento amministrativo emesso dall’Inps e non di un provvedimento giurisdizionale, esso non ha forza di intaccare, modificandolo, il giudicato.
Quanto alla lamentata violazione dell’art.3 Cost., il motivo cita Cass. Pen. n.6013/17 e mira ad ottenere una separata considerazione, entro il provvedimento di cumulo ex art.663 c.p.p., dei reati ostativi ex art.2, co.58 l. n.92/12 rispetto a quelli non ostativi. Ebbene, la Corte d’appello non ha affatto negato la possibilità di separata considerazione entro il cumulo, ma -come si vedrà esaminando il secondo motivo -ha accertato in fatto che varie condanne per reati ostativi, cumulate ex art.663 c.p.c., non erano ancora state espiate.
Quanto, infine, alla dedotta violazione dell’art.38 Cost., poiché la revoca della Naspi impedirebbe l’esigenza di liberazione dal bisogno cui ha riguardo il precetto costituzionale, basta richiamare -come già fatto nella sentenza impugnata -C. Cost. n.271/21, dalla quale emerge che lo ‘statuto d’indegnità’ che giustifica la revoca del trattamento previdenziale incide, pregiudicandola in modo anticostituzionale, sull ‘esigenza di assicurare i necessari mezzi rispetto al solo
condannato che espii la pena non in regime carcerario -come invece nel caso di specie -poiché solo chi espia la pena in detenzione domiciliare o in altra forma alternativa ha necessità di sopportare le spese del proprio mantenimento.
Il secondo motivo è infondato.
Preliminarmente va confermata la valutazione in diritto compiuta dalla Corte in base alla quale il comma 61, laddove parla dei ‘reati di cui all’art.58’ si riferisce non ai soli ‘ reati di cui agli articoli 270-bis, 280, 289-bis, 416bis, 416ter e 422 del codice penale’ secondo il dettato del comma 58 , ma anche -come ancora prosegue lo stesso comma 58 -ai ‘ delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo ‘. È vero che il comma 58 distingue, in modo opinabile, tra reati (elencandoli per rubrica) e delitti (commessi avvalendosi delle condizioni dell’art.416 bis), mentre il comma 61 si riferisce ai soli reati del comma 58, ma il richiamo è da intendersi in senso omnicomprensivo, sia perché è reato anche il delitto, e tutte le fattispecie penali elencate al comma 58 sono reati delittuosi (e non contravvenzioni), sia soprattutto perché, la ratio dei commi 58 e 61 è quella appunto di elencare ipotesi ostative, tutte poste sullo stesso piano al fine di configurare lo ‘statuto d’indegnità’ legittimante la revoca dei trattamenti previdenziali.
Ciò premesso, il motivo si duole della mancata separata considerazione, entro il provvedimento di cumulo ex art.663 c.p.p., delle due condanne per il delitto ex art.416-bis c.p., adducendo che le relative pene erano gi state espiate. Il motivo non considera però -aderendo
all’interpretazione sistematica dei commi 58 e 61 qui respinta per quanto appena detto -le condanne riportate per delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolare l ‘ attività delle associazioni previste dallo stesso articolo; ed è proprio sulla base di tali condanne che, con accertamento in fatto sottratto al sindacato di legittimità, la Corte d’appello ha escluso l’espiazione della pena.
Il terzo motivo è parimenti infondato.
Per un verso, l’art.118 d.a. c.p.c. riguarda la motivazione per relationem a precedenti conformi, risultando norma inconferente riguardo al caso in questione, dove viene invocato un precedente di merito che si assume difforme. Per altro verso, il precedente di merito nemmeno è difforme, limitandosi a sostenere la separata considerazione delle pene (per reati ostativi e per reati non ostativi) unificate nel provvedimento di cumulo ex art.663 c.p.p. e l’imputazione dell’espiazione per prima alle pene più gravose e dunque a quelle per reati ostativi. Si è già detto sul punto che la Corte non ha escluso la separata considerazione entro il cumulo, né che l’imputazione dell’espiazione vada fatta prima riguardo alle pene più gravose (per reati ostativi). La sentenza ha invece accertato che vi erano ancora pene da espiare per reati ostativi (in specie quelli commessi con l’aggravante dell’art.7 l. n.203/91).
Conclusivamente il ricorso va respinto con compensazione delle spese di lite attesa la novità della questione in sede di legittimità.