Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9480 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 9480 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/04/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 6789/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE -GESTIONE GOVERNATIVA RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso ope legis dall ‘ Avvocatura Generale dello Stato presso i cui Uffici domicilia in Roma, alla INDIRIZZO. -ricorrente- contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANIA n. 1443/2022 depositata il 12/12/2022, RG NUMERO_DOCUMENTO/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO per delega verbale AVV_NOTAIO.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Catania, con la sentenza n. 1443 del 2022 ha rigettato l’appello principale e l’appello incidentale proposti rispettivamente dal RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Catania.
AVV_NOTAIO‘ing . NOME COGNOME aveva adito il Tribunale di Catania premettendo di aver svolto l’incarico di Dirigente generale della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dal 1° agosto 2009 al 17 gennaio 2011, data nella quale tale incarico era stato revocato. Esponeva che detta revoca era stata preceduta da una nota del 13 dicembre 2010 a firma del Commissario governativo della RAGIONE_SOCIALE, il quale, valutata negativamente l’attività da lui svolta, lo sospendeva immediatamente e gli assegnava termine per eventuali controdeduzioni.
Nonostante egli avesse contestato punto per punto tutti gli addebiti, era stato revocato con delibera n. 470 del 2011.
La revoca dell’incarico dirigenziale determinava anche la risoluzione del rapporto.
Pertanto, aveva adito in giudizio il RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE chiedendo il ripristino del contratto e la
prosecuzione del rapporto dirigenziale, con diritto alla corresponsione delle retribuzioni e degli emolumenti maturati fino all’effettiva riammissione in servizio, o comunque fino alla scadenza dell’incarico, nonché il risarcimento dei danni conseguiti alla lesione della professionalità e del diritto all’immagine.
Il Tribunale aveva dichiarato illegittima, e per l’effetto aveva annullato, la revoca dell’incarico dirigenziale e aveva ordinato al RAGIONE_SOCIALE, di pagare allo stesso, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, la retribuzione lorda fino al termine di scadenza dell’incarico, oltre alla maggior somma tra interessi di valutazioni.
Avverso tale sentenza interponevano appello sia il RAGIONE_SOCIALE, sia il lavoratore.
La Corte d’A ppello, nel rigettare l’impugnazione del RAGIONE_SOCIALE ha affermato che l’Amministrazione non aveva adempiuto all’onere probatorio relativo alla sussistenza della giusta causa della revoca dell’incarico dirigenziale prima della scadenza del termine naturale.
Affermava, inoltre, che il dirigente ingiustamente revocato aveva diritto alla corresponsione dei compensi e degli emolumenti spettanti fino alla naturale scadenza del rapporto, senza con ciò voler avallare un ‘ illegittima estensione della tutela reintegratoria in favore della categoria dei dirigenti che per legge ne sono esclusi, non venendo in esame la disciplina dei licenziamenti non pertinente al caso di specie, ma la disciplina dei contratti.
Il giudice di secondo grado riteneva assorbiti i motivi d ell’ appello incidentale condizionato.
Rigettava l’appello incidentale autonomo, atteso che l’allegato danno morale all’onorabilità e all’immagine del professionista, non poteva mai essere causalmente ricondotto alle offensività delle espressioni utilizzate nella motivazione del provvedimento di revoca
impugnato, trattandosi questo di un atto destinato unicamente al dirigente revocato, privo di pubblicità e di attitudine ad essere conosciuto da terzi, restando confinato alla sfera di conoscenza delle parti.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE prospettando due motivi di ricorso.
Resiste con controricorso il lavoratore, che ha depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica, con la quale ha eccepito l’improcedibilità del ricorso , ex artt. 369 e 372, cod. proc. civ., per omesso deposito della relata di notifica della sentenza di appello, atteso che unitamente al ricorso veniva depositata esclusivamente la copia telematica della sentenza appellata, peraltro senza attestazione di conformità.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza ex art. 360, n.4, cod. proc. civ., per omessa motivazione ex art. 132, n. 4, cod. proc. civ.
La sentenza di appello è censurata nella parte in cui ha omesso di motivare l’inadempimento del lavoratore rispetto all’obbligo di presentare i resoconti mensili dello stato di avanzamento e/o realizzazione della sua attività e dei cantieri seguiti per la Pubblica Amministrazione.
La Corte d’Appello aveva ritenuto che la documentazione prodotta dall’Amministrazione, in particolare la nota 7936 del 6 luglio 2010, la nota 9313 del 30 agosto 2010 e la nota 13464 del 2010 e i relativi carteggi tra le parti, non fosse sufficiente a dimostrare la sussistenza della giustificatezza della revoca dell’incarico. Tuttavia, non poteva non rilevarsi che il giudice di appello non si fosse pronunciato sul mancato resoconto mensile dello stato di avanzamento e/o realizzazione. Tale inadempimento di per sé
sufficiente ad incidere sul rapporto fiduciario era stato posto a base della revoca dell’Amministrazione.
L’anomalia della motivazione integrava il vizio di motivazione censurabile ex art. 360, n.4, cod. proc. civ.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Occorre ricordare che, per costante orientamento di codesta Corte (cfr., Cass., n. 2441/2022) il giudice di merito non è tenuto a confutare punto per punto ogni singolo fatto ma a valutare complessivamente le prove ed i fatti dedotti.
Adempimento, questo, puntualmente rispettato dalla Corte di Appello.
Quest’ultima, nella sentenza, premette come il recesso anticipato fosse stato motivato sulla base della valutazione negativa dell’opera prestata dal lavoratore, cui erano state mosse contestazioni di impegno e applicazione ‘scarsi e evanescenti’ in termini qualitativi e quantitativi, in considerazione di reiterati giorni di assenza o di presenza per un numero esiguo di ore giornaliere; di insufficiente raggiungimento degli obiettivi e mancato resoconto mensile dello stato di avanzamento e/o realizzazione; di mancata partecipazione ai processi e procedimenti amministrativi aziendali e reiterata e immotivata reiezione di incarichi di RUP e DL.
Il giudice di appello dava atto che nella delibera di revoca dell’incarico venivano richiamate le contestazioni contenute nelle note 7936/2010, 9313/2010, 13314/2010, 13459/2013.
Quindi, con articolata motivazione, ha affermato che: ‘Alla stregua delle regole che sovrintendono alla regolamentazione dell’onere probatorio, l’Amministrazione era tenuta a dimostrare la giusta causa della revoca dell’incarico dirigenziale prima della scadenza del termine naturale, fornendo la prova dei fatti addotti quali motivi giustificativi del recesso anticipato, singolarmente confutati dal dirigente revocato. L’appellante ritiene di aver
adempiuto al proprio onere probatorio mediante la produzione documentale e in particolare di aver adempiuto con la produzione della nota n. 7936 del 06/07/2010, della nota n. 9313 del 30/08/2010 e della nota n. 13464 del 13/12/2010′ (pag. 6 -7 sentenza di appello) ‘ .
Sennonché, continua la Corte di Appello, tutti i fatti addebitati con le superiori note risultavano insussistenti o, comunque, l condotta del lavoratore non configurava un inadempimento idoneo a giustificare, da solo ‘e in assenza di prova degli altri fatti contestati nella delibera n. 470 del 10/01/2011- la risoluzione anticipata del rapporto, anche volendo tenere in considerazione i parametri elaborati dalla giurisprudenza in tema di licenziamento del dirigente e di ‘giustificatezza’ del recesso’ (pag. 9 della sentenza di appello).
Pertanto, il giudice di appello statuiva che ‘ Alla stregua delle superiori argomentazioni deve quindi escludersi che l’Amministrazione abbia fornito la dimostrazione della legittimità dell’adottata revoca dell’incarico dirigenziale’ (pag.11 della sentenza di appello).
Va inoltre considerato che allorchè viene dedotto l ‘error in procedendo costituito dal vizio di omessa motivazione, il ricorrente, in ottemperanza al principio di autosufficienza e specificità dei motivi di ricorso, è tenuto, a pena di inammissibilità, ad indicare puntualmente gli atti e i fatti processuali del giudizio di merito che si assumono non vagliati dal giudice di secondo grado, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell’iter processuale senza compiere ge nerali verifiche degli atti (cfr. Cass., n. 16028 del 2023, n. 18361 del 2023).
Ora, l’Amministrazione ricorrente lamenta che il giudice di appello avrebbe omesso di motivare ‘sul mancato resoconto mensile dello stato di avanzamento e/o realizzazione’ (pag. 6 del ricorso) -asseritamente provate, sempre a detta della ricorrente, dalla non
contestazione del fatto nei precedenti giudizi di merito – ma non indica in quali atti processuali di primo o di secondo grado ha chiesto al giudice di vagliare anche tale addebito, né in quali atti risulta l’assenza della contestazione da parte dell’odierno controricorrente.
La giurisprudenza di legittimità ha già affermato che (cfr., Cass., n. 16028 del 2023) che il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della prova derivante dalla assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza, deve indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto.
Pertanto, il primo motivo di ricorso, così come proposto, è inammissibile per violazione del principio di specificità del ricorso in cassazione ex art. 366, cod. proc. civ.
Con il secondo motivo di ricorso è prospettata la violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, n.3, cod. proc. civ., de ll’ art. 10 della legge n. 604 del 1966, dell’art. 3 della legge n. 300 del 1970, dell’art. 2119, cod. civ., e dell’art. 2697, cod. civ. Erronea individuazione del metro di valutazione dell’inadempimento del dirigente.
La sentenza è censurata nella misura in cui ha ritenuto di applicare alla revoca del rapporto dirigenziale il concetto di giusta causa, atteso che nella specie veniva in rilievo il concetto di giustificatezza.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Si legge nella sentenza impugnata che la condotta tenuta dal Direttore Generale non configurava un inadempimento idoneo a giustificare -da solo e in assenza di prova degli altri fatti contestati con la delibera n. 470 del 10/01/2011- la risoluzione anticipata del
rapporto, anche volendo tenere in considerazione i parametri elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di licenziamento del dirigente e di ‘giustificatezza’ del recesso’.
In altri termini il giudice di appello ha ritenuto il recesso ante tempus del tutto arbitrario anche con riguardo alla giustificatezza e con tale ratio decidendi non si confronta la censura in esame.
Resta assorbita, trovando applicazione il criterio della ragione più liquida, che nella specie ha un eguale impatto operativo, l’eccezione di improcedibilità del ricorso.
Ed infatti, in applicazione del principio processuale della “ragione più liquida”, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276, cod. proc. civ. (cfr., Cass., n. 363 del 2019).
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Come ritenuto dalle Sezioni Unite della Corte, con sentenza n. 9938 del 2014, stante la non debenza delle amministrazioni pubbliche del versamento del contributo unificato, non deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al primo periodo del dPR 30 maggio 2002 n. 115, art.13, comma 1quater , introdotto dal comma 17 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, ai fini del raddoppio del contributo per i casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Non sussistono i presupposti di cui al primo periodo del dPR 30 maggio 2002 n. 115, art.13, comma 1quater , introdotto dal comma 17 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, ai fini del raddoppio del contributo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 09/1/2024.