Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23645 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 23645 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/08/2025
Oggetto:
Direttore sanitario – Revoca
anticipata – quiescenza – reintegro
Dott. NOME COGNOME
Presidente –
Dott. NOME COGNOME Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME
Consigliere –
SENTENZA
sul ricorso 16689-2024 proposto da:
COGNOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall ‘ avvocato NOME COGNOME con diritto di ricevere le comunicazioni all ‘ indirizzo pec dei Registri di Giustizia presso cui domicilia digitalmente;
– ricorrente –
contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE AGRIGENTO, in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso RAGIONE_SOCIALE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall ‘ avvocato NOME COGNOME
con diritto di ricevere le comunicazioni all ‘ indirizzo pec dei Registri di Giustizia;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 428/2024 della CORTE D ‘ APPELLO di PALERMO, depositata il 04/06/2024 R.G.N. 590/2022;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l ‘ avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il ricorrente, direttore sanitario aziendale presso l ‘ ASP Agrigento, ha agito in giudizio per ottenere l ‘ accertamento dell ‘ illegittimità della revoca dell ‘ incarico di DSA poiché intervenuta anticipatamente rispetto alla previsione di cui all ‘ art. 3 bis del d.lgs. n. 502/1992.
In particolare, il Dott. COGNOME COGNOME era stato nominato direttore sanitario in data 1.9.2014; tale nomina era stata riconfermata in data 1.9.2017 mentre era in carica il commissario dell ‘ Azienda, Ing. COGNOME
A seguito della revoca del predetto Commissario, avvenuta in data 19.09.2018, il dr. COGNOME COGNOME aveva quindi assunto anche le funzioni di direttore generale facente funzioni, per un periodo massimo di sei mesi, in attesa di nuova nomina del Commissario, avvenuta in data 18.12.2018.
Nominato, quindi, quale Commissario dell ‘ ASP il Dott. COGNOME costui lo aveva riconfermato come DSA alle medesime condizioni del contratto precedentemente sottoscritto in data 1.9.2017.
Successivamente, con nota della Regione Siciliana del 4.4.2019, il Dott. COGNOME era stato nominato direttore generale, e per effetto di questo nuovo incarico, con delibera n. 69257 del 16.04.2019 aveva disposto la cessazione dell ‘ incarico già conferito al Dott. COGNOME con
decorrenza dal 17.04.2019 (data, quest ‘ ultima, coincidente con il momento in cui quest ‘ ultimo era stato posto in quiescenza).
Il ricorrente assumeva l ‘ illegittimità della predetta revoca, ai sensi della normativa vigente – d.lgs. n. 502/92 -, non potendo, a suo dire, tale incarico ‘avere una durata inferiore a tre anni e superiore a cinque’ e sostenendo che, in ragione di tale normativa, il suo ruolo non avrebbe dovuto cessare prima dei tre anni, e la sua nomina sarebbe dovuta permanere almeno sino al 31.10.2020, non essendo stati rilevati dei ‘gravi motivi’ legittimanti la rimozione dal mandato.
Il Tribunale ha respinto la domanda.
Ha richiamato il principio affermato da questa Corte secondo cui il rapporto di lavoro non può risolversi anticipatamente rispetto al periodo minimo triennale, dovendosi ritenere nulla la clausola che consenta il recesso ‘ ad nutum ‘ – con contestuale decadenza dall ‘ incarico – per il venir meno del rapporto fiduciario tra direttore generale e direttore amministrativo, e a quest ‘ ultimo, in applicazione della disciplina propria del recesso per giusta causa derivante da inadempimento, spetta, in tale evenienza, l ‘ integrale risarcimento del danno e non solamente il mero rimborso delle spese sostenute e il compenso per l ‘ opera fino a quel momento prestata ex art. 2237 cod. civ. (Cass., Sez. L, n. 14349 del 9 luglio 2015).
Ha tuttavia ritenuto le richieste risarcitorie di parte ricorrente infondate sotto altro profilo e cioè per essere stato il Lo Bosco collocato in quiescenza in data 17 aprile 2019. Ha richiamato l ‘ art. 6, d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 114 che fa divieto alle pubbliche amministrazioni di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza.
La Corte d ‘ appello ha confermato tale pronuncia, pur con motivazione in parte diversa.
Ha affermato l ‘ illegittimità della revoca anticipata dell ‘ incarico per nullità della clausola contrattuale che correlava la durata dell ‘ incarico di DSA alla durata del mandato del Commissario Straordinario (e quindi alla nomina del nuovo DG) per contrasto con l ‘ art. 97 Cost alla luce del quale devono considerarsi vietati i meccanismi di decadenza automatica ove riferiti a figure dirigenziali non apicali. Tuttavia, il collegio ha ritenuto che non ricorressero le condizioni né per la ricostruzione del rapporto -poiché il ricorrente era ormai collocato a riposo -né per il risarcimento del danno poiché nel caso di specie l ‘ incarico di DSA sarebbe potuto proseguire per un solo anno ed a titolo gratuito stante il divieto di attribuire incarichi a lavoratori in quiescenza disciplinato dall ‘ art. 5, comma 9 del d.l. 95/2012 al fine di favorire il ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni e di conseguire risparmi di spesa.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a otto motivi.
L ‘ APS di Agrigento ha resistito con controricorso.
Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione dell ‘ art. 101, comma 2, cod. proc. civ. (art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. error in iudicando ), perché la Corte doveva dichiarare la nullità della sentenza di 1° Grado ‘della terza via’, eccepita dal ricorrente e comunque rilevabile d ‘ ufficio, oltre che omessa motivazione sulla mancata dichiarazione di nullità (art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. error in procedendo ).
Il motivo è infondato.
Innanzitutto, non risulta che il RAGIONE_SOCIALE abbia censurato in sede di appello la decisione di prime cure per violazione dell ‘ art. 101, comma 2, cod. proc. civ., ma solo lamentato che, contrariamente a quanto
affermato dal Tribunale, l ‘ incarico doveva proseguire nonostante l ‘ intervenuto pensionamento e a lamentare che la sentenza impugnata era fondata solo sul falso presupposto di decadenza automatica dall ‘ incarico di direttore sanitario per pensionamento da dipendente e che aveva sovvertito la consecutio temporale e causale degli eventi ed il rapporto di causa -effetto tra la (antecedente) destituzione dall ‘ incarico di direttore sanitario ed il (successivo) collocamento in pensione.
Inoltre, a ben guardare, tale questione, in punto di fatto, era stata posta dallo stesso RAGIONE_SOCIALE in sede di ricorso.
Ed infatti era stato proprio il ricorrente ad evidenziare (si veda il ricorso di primo grado puntualmente richiamato e depositato in atti) che in data 15/11/2018 aveva inoltrato all ‘ ASP di Agrigento formale richiesta di collocamento in pensione (‘per anzianità contributiva’) , che tale richiesta era stata riscontrata dall ‘ ASP con nota n. 190195 del 20/11/2018 del Servizio Risorse Umane, comunicando che era stato rilevato un ‘errore nei contributi attribuiti per l’ anno 2017, che è stato già segnalato ai competenti uffici dell ‘ INPS e che risulta essere già in fase di imminente correzione ‘ , che era stata effettuata in ritardo, consentendo la collocazione in quiescenza dal 17/04/2019, giusta Deliberazione dell ‘ ASP di Agrigento n. 2 del 17/04/2019, per pensione di anzianità contributiva, come tale cumulabile con tutti i redditi da lavoro, secondo la normativa vigente.
Senza dire che l ‘ intervenuto pensionamento quale fatto ostativo alla reintegra e al risarcimento del danno costituisce, nell ‘ argomentare della Corte territoriale, il rovescio della medaglia rispetto alla illegittimità della revoca anticipata che è stata impugnata dal Lo Bosco. Quindi non vi è alcuna nullità.
Si consideri, del resto, che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, alla quale va data continuità, il giudice d ‘ appello può dare una qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite diversa da
quella data dal giudice di primo grado, avendo il potere-dovere di definire la natura del rapporto al fine di precisarne il contenuto, gli effetti e le norme applicabili ed incorre nel vizio di extrapetizione solo qualora pronunci oltre i limiti delle richieste e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni non dedotte e che non siano rilevabili d ‘ ufficio, attribuendo alle parti un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, evenienze, queste, non riscontrabili nella fattispecie (v. ex multis Cass., Sez. L, n. 1550 del 26 gennaio 2006; Cass., Sez. 3, n. 15383 del 28 giugno 2010; Cass., Sez. 2, n. 20932 del 5 agosto 2019; Cass., Sez. L, n. 5832 del 3 marzo 2021).
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia omessa pronuncia sull ‘ istanza di remissione in termini del 23/01/2024 del ricorrente, di cui la Presidente aveva dato atto il 25/01/2024, con ‘ Visto, si provveda all ‘ udienza ‘ (di trattazione del 23/05/2024) e rimasta ‘sospesa’, ma la Corte non si è più pronunciata, con violazione dell ‘ art. 161, comma 1, cod. proc. civ. (art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. error in procedendo ).
Il motivo è infondato.
Il ricorrente lamenta la mancata pronuncia su una richiesta di rimessione in termini al fine del deposito di atti (si vedano gli allegati all ‘ istanza inserita nel desk : Delibera della Giunta Regionale Valle d ‘ Aosta n. 140 del 16.02.2023; Delibera della Giunta Regionale Valle d ‘ Aosta n. 140 del 16.02.2023; Parere Uff. Legislativo Ministero P.A.; Deliberazione dell ‘ ASP di Agrigento n. 980 del 07/06/2022) che avrebbero dato conto dell ‘ univocità di indirizzo nazionale (già seguìto in casi analoghi dalla P.A.) e della strettissima attinenza con i fatti in causa.
In realtà, come da questa Corte già affermato (Cass., Sez. L, n. 33393 del 17 dicembre 2019), nel rito del lavoro, la produzione di documenti successivamente al deposito degli atti introduttivi è ammissibile solo nel caso di documenti formati o giunti nella
disponibilità della parte dopo lo spirare dei termini preclusivi ovvero se la loro rilevanza emerga in ragione dell ‘ esigenza di replicare a difese altrui; peraltro, l ‘ acquisizione documentale può essere disposta d ‘ ufficio, anche su sollecitazione di parte, se i documenti risultino indispensabili per la decisione, cioè necessari per integrare, in definizione di una pista probatoria concretamente emersa, la dimostrazione dell ‘ esistenza o inesistenza di un fatto la cui sussistenza o insussistenza, altrimenti, sarebbe destinata ad essere definita secondo la regola sull ‘ onere della prova.
Nello specifico non si trattava di atti indispensabili per la decisione ma di orientamenti di altre Amministrazioni o dell ‘ Ufficio legislativo.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione delle leggi speciali sanitarie (prevalenti sulle norme generali, specie se di divieto) e degli artt. 36 e 97 Cost. (art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. error in iudicando ), oltre che ‘anomalia motivazionale’ (art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. -error in procedendo ), per errata motivazione sul pensionamento, punto decisivo nella controversia.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia omesso esame ( error in procedendo ) di un fatto decisivo per il giudizio: la non operatività fino al 07/10/2019 del pensionamento (da primario, posizione avulsa da quella di direttore sanitario aziendale, per cui era in aspettativa senza assegni), perfezionatosi solo il 01/12/2019, quando, decorsi i termini di impugnazione, è diventato definitivo l ‘ atto INPS.
Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione degli artt. 2058 e 2059 cod. civ., degli artt. 2, 36 e 111 Cost. e art. 132, n. 4, cod. proc. civ. (art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. -, error in iudicando ) per l ‘ asserita impossibilità di reintegro nel posto di direttore sanitario, senza nessuna riparazione, in quanto la sentenza dà atto dell ‘ abuso dell ‘ ASP ‘Posta, dunque, l’ illegittimità della revoca’ -, ma prosegue, ‘ nella pacifica impossibilità di ricostituire
ora per allora il rapporto di collaborazione, ormai impedito dal collocamento a riposo del Lo Bosco, spetterebbe a quest ‘ ultimo il risarcimento del danno ad essa conseguente …’ configurando contraddittoria motivazione (art. 360, comma 1,, n. 5, cod. proc. civ. error in procedendo ).
Con il sesto motivo il ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione dell ‘ art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e degli artt. 1218, 1223, 1225, 1226, 2043, 2058 e 2059 cod. civ. e artt. 4 e 35 della Costituzione (art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. error in iudicando ), sulle ragioni di fatto e di diritto per cui verrebbe giustificata la presunta ‘elisione’ dei danni patrimoniali. Inoltre, si rileva ‘motivazione apparente’, in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo ).
Con il settimo motivo il ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione dell ‘ art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e artt. 1218, 1223, 1225, 1226, 2043, 2058 e 2059 cod. civ. (art. 360, comma 1, n. 3, error in iudicando -) sulla presunta ‘elisione’ dei danni da perdita di chance e non patrimoniali, oltre che motivazione ‘in fatto’ non condivisibile, in quanto con l ‘ illegittima destituzione da direttore sanitario, sono cessati in uno anche tutti gli incarichi inscindibili dalla funzione, cui il ricorrente avrebbe avuto diritto anche in quiescenza per 1 anno (art. 360, comma 1, n. 5, co. proc. civ. error in procedendo -).
Con l ‘ ottavo motivo il ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione dell ‘ art. 92, comma 2, cod. proc. civ. (art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. error in iudicando -), sulla condanna del ricorrente alle spese di 1° e 2° Grado, in quanto la Corte ha prima ammesso e poi negato l ‘ estrema particolarità e incertezza delle questioni. Inoltre, la Corte ha omesso di dare atto della fondatezza e del parziale accoglimento del Ricorso in re ipsa , risultando le motivazioni a sostegno del rigetto del ricorso con condanna alle spese
viziate da irriducibile illogicità (art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. -error in procedendo -).
I motivi da 4 a 7 sono fondati per le ragioni di seguito illustrate.
Questa Corte ha già affrontato questione analoga (Cass., Sez. L, n. 127 del 5 gennaio 2025) ed ha affermato che l ‘ art. 5, comma 9, del d.l. n. 95 del 2012, convertito con l. n. 135 del 2012, non può essere interpretato nel senso che l ‘ intervenuta quiescenza del direttore generale in corso di rapporto determina la cessazione ope legis dell ‘ incarico.
La pronuncia, qui condivisa, resa con riferimento ad un direttore generale, è mutuabile anche nel caso che l ‘ intervenuta revoca anticipata riguardi il direttore sanitario.
L ‘ art. 5 del d.l. n. 95/2012, convertito nella legge n. 135/2012, rubricato ‘riduzione di spese delle pubbliche amministrazioni’, ha introdotto, per tutte le PP.AA. incluse nel conto economico consolidato, diverse disposizioni finalizzate a ridurre la spesa corrente. Queste disposizioni « costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell ‘ articolo 117, terzo comma, della Costituzione », così come previsto dal comma 6 del medesimo articolo. Il suddetto art. 5, prima delle modifiche del 2022, così prevedeva al comma 9: « È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all ‘ articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2011, nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall ‘ Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell ‘ articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 nonchè alle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Alle suddette amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni di cui al
primo periodo e degli enti e società da esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all ‘ articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125. Gli incarichi, le cariche e le collaborazioni di cui ai periodi precedenti sono comunque consentiti a titolo gratuito. Per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può essere superiore a un anno, non prorogabile nè rinnovabile, presso ciascuna amministrazione. Devono essere rendicontati eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati dall ‘ organo competente dell ‘ amministrazione interessata. Gli organi costituzionali si adeguano alle disposizioni del presente comma nell ‘ ambito della propria autonomia ».
Il sopra riportato comma 9 ha, invero, sin qui conosciuto, dalla sua entrata in vigore, ben sette riformulazioni con le quali il legislatore ha sempre più esteso il divieto di conferire incarichi a titolo oneroso a soggetti già collocati in quiescenza, originariamente limitato ai soli incarichi di studio e a quelli di consulenza.
In particolare, con l ‘ art. 6 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90 conv. dalla l. 11 agosto 2014, n. 114 (applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame visto che l ‘ incarico di cui trattasi è dell ‘ 1/09/2017) è stato previsto che: « All ‘ articolo 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, le parole da ‘a soggetti, già appartenenti ai ruoli delle stesse’ fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: ‘a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Alle suddette amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni di cui al primo periodo e degli enti e società da esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di
cui all ‘ articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125. Incarichi e collaborazioni sono consentiti, esclusivamente a titolo gratuito e per una durata non superiore a un anno, non prorogabile nè rinnovabile, presso ciascuna amministrazione. Devono essere rendicontati eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati dall ‘ organo competente dell ‘ amministrazione interessata. Gli organi costituzionali si adeguano alle disposizioni del presente comma nell ‘ambito della propria autonomia.’ 2. Le disposizioni dell’ articolo 5, comma 9, del decreto-legge n. 95 del 2012, come modificato dal comma 1, si applicano agli incarichi conferiti a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto ».
Nel tempo il divieto è stato esteso agli incarichi ‘dirigenziali’, a quelli ‘direttivi’ e a generiche ‘cariche’ in organi di governo delle medesime amministrazioni conferenti oltre che degli enti dalle stesse controllati. Al divieto di conferire ‘incarichi’, ‘cariche’ e ‘collaborazioni’ a titolo oneroso, si accompagna la possibilità del loro conferimento a titolo gratuito, con limiti di durata per i soli casi di incarico ‘dirigenziale’ e di incarico ‘direttivo’. Pur tuttavia il legislatore ha contestualmente introdotto una serie, egualmente sempre più estesa, di eccezioni al suddetto divieto, prevedendo così altrettante deroghe ed ampliando la possibilità di conferire incarichi (o cariche) a titolo oneroso a soggetti già collocati in quiescenza.
Alcune delle menzionate eccezioni sono state inserite nella stessa previsione dell ‘ art. 5, comma 9, del d.l. n. 95/2012 che, come visto, consente ai soggetti già pensionati di ricoprire l ‘incarico di ‘componenti delle giunte degli enti territoriali’ (cfr. secondo periodo norma citata).
Ulteriori eccezioni, inoltre, sono state introdotte dalla più recente legislazione. In proposito, può farsi riferimento alle seguenti fattispecie: – art. 2 -bis , comma 5, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 che, in deroga all ‘ art. 5, comma 9, del d.l. n. 95/2012, consente agli enti del servizio
sanitario di conferire incarichi di lavoro autonomo, anche di collaborazione coordinata e continuativa, a personale sanitario collocato in quiescenza, per fronteggiare l ‘ emergenza pandemica; – art. 3bis , del d.l. 14 gennaio 2021, n. 2 ‘incarichi retribuiti al personale sanitario collocato in quiescenza’, recante, come nella norma appena richiamata, espressa deroga all ‘ art. 5, comma 9, del d.l. n. 95/2012; – art. 10 del d.l. 30 aprile 2022, n. 36, recante deroga all ‘ art. 5, comma 9, del d.l. n. 95/2012 per il conferimento di incarichi retribuiti a soggetti in quiescenza per le esigenze connesse al PNRR; – art. 1, comma 4bis , del d.l. 22 aprile 2023, n. 44, recante ulteriore deroga alla previsione di cui all ‘ art. 5, comma 9, del d.l. n. 95/2012.
14. Tanto precisato, il dato letterale del sopra riportato comma 9 è chiaro. Il divieto previsto è di ‘attribuire’. Situazione diversa è quella di precludere il ‘mantenimento’ di un incarico legittimamente attribuito che configura una cessazione ope legis dell ‘ incarico per effetto di una interpretazione estensiva. Come osservato dalla giurisprudenza amministrativa ancor prima della proliferazione legislativa delle richiamate deroghe, la norma in questione limita un diritto costituzionalmente garantito ‘quale quello di esplicare attività lavorative sotto qualunque forma giuridica’ (cfr. Consiglio di Stato, Sez. I, parere 15 gennaio 2020, n. 309); tanto preclude della stessa una interpretazione estensiva che potrebbe determinare un ‘ irragionevole compressione dei diritti dei soggetti in quiescenza, in violazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale.
Anche questa Corte (Cass., Sez. L, n. 3643 del 7 febbraio 2023, punto 5.3 della motivazione) ha rilevato, ancorché con riguardo alla possibilità di estendere la disposizione agli incarichi in favore dei medici convenzionati, che, a fronte del chiaro tenore letterale della norma, non risulta percorribile un ‘ interpretazione estensiva (né, tanto meno, analogica), trattandosi di una disposizione limitativa di una libertà e dovendosi piuttosto adottare un ‘ interpretazione restrittiva. Alla luce
dell ‘ indicato principio, il testo, che espressamente preclude la possibilità di conferire un incarico a chi è stato collocato in quiescenza, non può essere interpretato nel senso che tale incarico cessa ope legis per effetto della sopravvenuta quiescenza.
Né rileva, in senso contrario, il precedente di legittimità di cui a Cass., Sez, L, n. 11008 del 9 giugno 2020, secondo il quale, in tema di dirigenza medica, anche per il contratto per incarico dirigenziale ex art. 15 septies , comma 2, del d.lgs. n. 502 del 1992 rileva, ai fini dell ‘ estinzione del rapporto ed in mancanza di istanza di trattenimento in servizio sino al sessantasettesimo anno di età, il raggiungimento dell ‘ età massima di cui all ‘ art. 15 nonies del medesimo che non può essere derogato dalla volontà delle parti. In quel caso si trattava di altro tipo di incarico, di un rapporto di lavoro subordinato dirigenziale a tutti gli effetti e non un rapporto regolato dall ‘ art. 2222 del cod. civ. come è quello del direttore generale (sul punto si veda anche Cass., Sez. L, n. 16519 del 21 agosto 2004).
Inoltre, l ‘ art. 1, comma 489, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato) legge di stabilità 2014 (richiamata da disposizioni successive come ad esempio dall ‘ art. 14, comma 3, del d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito in legge 26/2019 e dal comma 3 dell ‘ art. 11 del d.l. 10 agosto 2023, n. 105 convertito, con modificazioni, dalla Legge 9 ottobre 2023, n. 137) ha espressamente previsto che: « Ai soggetti già titolari di trattamenti pensionistici erogati da gestioni previdenziali pubbliche, le amministrazioni e gli enti pubblici compresi nell ‘ elenco ISTAT di cui all ‘ articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, non possono erogare trattamenti economici onnicomprensivi che, sommati al trattamento pensionistico, eccedano il limite fissato ai sensi dell ‘ articolo 23-ter, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Nei trattamenti pensionistici di
cui al presente comma sono compresi i vitalizi, anche conseguenti a funzioni pubbliche elettive. Sono fatti salvi i contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza prevista negli stessi. Gli organi costituzionali applicano i principi di cui al presente comma nel rispetto dei propri ordinamenti ». Una regolamentazione, in via generale, del cumulo tra trattamento pensionistico e trattamento economico derivante da incarichi pubblici (con la fissazione di un limite) non avrebbe avuto senso se l ‘ art. 5, comma 9, del d.l. n. 95/2012 avesse inteso prevedere, egualmente in via generale, anche il divieto di mantenimento dell ‘ incarico in favore del dipendente collocato in quiescenza dopo l ‘ affidamento dello stesso. Senza dire che la disposizione da ultimo ricordata fa espressamente salvi i contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza prevista negli stessi.
15. Orbene, nello specifico, la Corte territoriale, specificamente evidenziando (pagg. 4 e 5 della sentenza) che la revoca dell ‘ incarico di direttore sanitario non era affatto motivata dal collocamento in quiescenza del Lo Bosco ‘disposto il giorno ad essa successivo’, bensì unicamente dalla cessazione del mandato del commissario straordinario, in virtù della espressa clausola risolutiva contenuta nella delibera di incarico e nel relativo contratto, ha dichiarato nulla la clausola di cui all ‘ art. 7 del contratto di lavoro stipulato il 1°.09.2017 dal Lo Bosco con l ‘ASP di Agrigento che stabiliva che ‘ il contratto stipulato con il direttore sanitario è correlato al mandato del Commissario e decorre dalla data del 01/09/2017 ‘.
Tale statuizione non ha formato oggetto di appello incidentale né di controricorso incidentale per cassazione da parte dell ‘ ASP e dunque costituisce giudicato interno.
I principi sopra affermati, deponenti nel senso che il pensionamento non inficia il diritto a mantenere l ‘ incarico di direttore sanitario, rilevano quanto alla negata ricostituzione del rapporto (asseritamente impedita dal collocamento a riposo del Lo Bosco) ed al disconosciuto
risarcimento del danno (che, ad avviso della Corte territoriale sarebbe egualmente precluso per effetto dell ‘ intervenuto pensionamento).
Conclusivamente vanno accolti i motivi dal terzo al settimo, rigettati i primi due, assorbito l ‘ ottavo.
La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte di appello di Palermo che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi sopra evidenziati e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte,
accoglie i motivi dal terzo al settimo, rigetta i primi due motivi, assorbito l ‘ ottavo;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d ‘ appello di Palermo, in diversa composizione, anche per le spese di lite di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione