Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3345 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 3345 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21285/2018 R.G. proposto da:
NOME COGNOME , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE PER LO RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE E LA RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE IN PUGLIA BASILICATA E IRPINIA – COGNOME , domiciliato ope legis in ROMA INDIRIZZO
Oggetto: Dipendente COGNOME – Riparto RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE – Revoca –
R.G.N. 21285/2018
Ud. 12/01/2024 CC
12, presso AVVOCATURA GENERALE RAGIONE_SOCIALEO STATO che lo rappresenta e difende
-controricorrente – avverso la SRAGIONE_SOCIALENZA della CORTE D’APPELLO POTENZA n. 101/2018 depositata il 11/05/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 12/01/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 101/2018 del giorno 11 maggio 2018, la Corte d’appello di Potenza, nella regolare costituzione dell’appellato NOME COGNOME, ha accolto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE BASILICATA RAGIONE_SOCIALE IRPINIA) avverso la sentenza del Tribunale di Potenza n. 46/2017 e per l’effetto, ha revocato il decreto ingiuntivo n. 481/2014, originariamente ottenuto dall’appellato per l’importo di € 51.003,86, a titolo di competenze per pres tazioni svolte in favore dello stesso COGNOME.
Nel riformare la decisione di prime cure -che aveva invece respinto l’opposizione di COGNOME a detto decreto ingiuntivo -la Corte territoriale ha rilevato che la delibera commissariale n. 1362 del giorno 8 agosto 2011 -che aveva approvato il riparto del RAGIONE_SOCIALE unico per l’anno 2010, riconoscendo a NOME COGNOME la somma di cui al ricorso monitorio -era stata successivamente revocata in autotutela.
La Corte d’appello, poi, ha, in primo luogo, escluso diversamente da quanto opinato dal giudice di prime cure -che il provvedimento di revoca in autotutela avesse inciso su diritti ormai acquisiti e cristallizzati nel patrimonio dell’appellato, osservan do che la delibera
commissariale n. 1362 del giorno 8 agosto 2011 era stata adottata senza che il RAGIONE_SOCIALE avesse espresso il parere obbligatorio e vincolante sul RAGIONE_SOCIALE 2010 e che, conseguentemente, doveva escludersi che in capo all’appellato fosse insorto un di ritto soggettivo perfetto in ordine alle somme indicate nella delibera.
La Corte territoriale, poi, ha affermato la legittimità del provvedimento di revoca in autotutela, in quanto conforme al disposto di cui all’art. 21 -novies L. n. 241/1990, essendo stato adottato entro un termine ragionevole rientrante nel limite di legge e rispondendo all’interesse pubblico di evitare la corresponsione di un beneficio economico senza titolo.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Potenza ricorre NOME COGNOME.
Resiste con controricorso COGNOME IN LIQUIDAZIONE.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380 bis.1, c.p.c.
Il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 182, 163, 300, 347, 414 c.p.c.
Argomenta, in particolare, il ricorso che, poiché nel corso di un separato giudizio innanzi il Tribunale di Roma, l’Avvocatura dello Stato aveva formalmente dichiarato la cessata esistenza di COGNOME, con conseguente declaratoria di interruzione del giudizio , la Corte d’appello di Potenza avrebbe dovuto rilevare d’ufficio la non regolare costituzione delle parti, adottando provvedimento di interruzione del giudizio.
Da ciò, conclude il ricorso, deriverebbe la nullità della sentenza impugnata in quanto adottata nei confronti di un soggetto inesistente, anche in virtù dell’effetto costitutivo della cancellazione dal Registro delle Imprese ex art. 2495 c.c.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, testualmente:
‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 1366, 1460 c.c. Violazione e falsa applicazione della L. 241/1990, in particolare dell’art. 21. Eccesso di potere giurisdizionale sotto vari profili, in particolare per il mancato rispetto dell’organ izzazione pubblica, e la disciplina contrattuale di diritto privato del lavoro. Travisamento dei fatti’ .
Il ricorso impugna la decisione della Corte d’appello di Potenza nella parte in cui la stessa ha ritenuto legittima l’adozione del provvedimento di revoca in autotutela, denunciando che tale valutazione sarebbe avvenuta senza alcun approfondimento sui ‘numerosi elaborati procedimentali di natura prettamente negoziale e non, attraverso i quali si è pervenuto alla corresponsione contrattuale degli incentivi in questione’ ; si sarebbe posta in contrasto con il principio di legittimo affidamento e certezza del diritto; sarebbe scesa in modo inammissibile nella valutazione della legittimità di un provvedimento amministrativo.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Anche a non voler considerare la circostanza che -contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente -il controricorrente COGNOME non si era estinto neppure all’epoca di proposizione del ricorso innanzi a questa Corte -basti richiamare la disciplina dettata sul punto ancora dall’art. 23, D.L. n. 44/2023 -l’infondatezza del motivo discende da ben due principi affermati costantemente da questa Corte.
In base al primo – che peraltro discende direttamente dall’art. 300 c.p.c. -ove la parte interessata dall’evento interruttivo sia costituita a mezzo di procuratore, l’interruzione del giudizio non può comunque
essere dichiarata d’ufficio, risultando invece necessaria la dichiarazione del legale della parte colpita dall’evento interruttivo (Cass. Sez. 2 Ordinanza n. 4336 del 13/02/2023; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 21742 del 27/10/2016; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6208 del 13/03/2013)
In base al secondo, nessuna rilevanza può avere la circostanza che l’evento interruttivo risulti dalla documentazione agli atti del processo (Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 10048 del 24/04/2018) o che la dichiarazione ex art. 300 c.p.c. sia resa in un diverso giudizio, considerata l’autonomia dei giudizi medesimi (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8494 del 28/05/2012; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5116 del 22/05/1998), non potendo tali elementi surrogare la necessaria dichiarazione del procuratore della parte ed essendo escluso che il giudice del merito sia tenuto a svolgere d’ufficio accertamenti in ordine alla sussistenza dell’evento interruttivo stesso.
3. Il secondo motivo è, invece, inammissibile.
Questa Corte ha chiarito (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016) che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione.
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Nel caso in esame il motivo di ricorso, ben lungi dal conformarsi a tale canone viene, in primo luogo, a dedurre doglianze eterogenee ed inammissibili sia per la loro genericità (come nel caso del riferimento ad un non meglio determinato ‘eccesso di potere giurisdizionale’ ) sia per il loro collocarsi al fuori del perimetro dell’art. 360, n. 3) , c.p.c. (come nel caso del riferimento al ‘travisamento dei fatti’ ).
Il ricorso omette di illustrare in modo chiaro per quali ragioni le affermazioni contenute nella decisione impugnata verrebbero a porsi in contrasto con le previsioni di legge invocate, ed in particolare omette di sottoporre ad ammissibile critica la -peraltro condivisibile -affermazione contenuta nella decisione di merito, e cioè che la revoca in autotutela della delibera commissariale -peraltro in conformità a previsioni di legge e in tempi e modi conformi a legge -era venuta necessariamente a travolgere tutti gli atti conseguenti, compresa l’approvazione del riparto per il RAGIONE_SOCIALE .
Quest’affermazione della Corte territoriale viene criticata con generici riferimenti a ‘numerosi elaborati procedimentali di natura prettamente negoziale e non’ , trascendendo -in modo evidente -in un mero sindacato di fatto, riguardo al quale di deve ribadire sia il
principio di inammissibilità del ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019) sia il principio per cui il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 5.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale in data 12 gennaio