Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27479 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27479 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 145-2023 proposto da:
FIERRO NOME, quale difensore di se stessa;
contro
RAGIONE_SOCIALE;
– intimato – avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di TORRE ANNUNZIATA, depositata il 25/05/2022;
Lette le memorie della ricorrente;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/10/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– ricorrente –
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
NOME COGNOME ha proposto opposizione avverso il decreto con il quale il Tribunale di Torre Annunziata aveva revocato l’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME, che erano stati assistiti dalla ricorrente in un giudizio di separazione consensuale svoltosi dinanzi allo stesso Tribunale, revoca disposta per non avere le parti depositato, anche a seguito delle richieste di integrazione, la documentazione sufficiente ad attestare la persistenza dei requisiti reddituali legittimanti il beneficio richiesto.
Il Tribunale con ordinanza del 25 maggio 2022 ha dichiarato l’opposizione inammissibile ritenendo che unici legittimati ad impugnare il provvedimento di revoca dell’ammissione al detto beneficio erano le parti, e non anche il loro difensore, che è invece legittimato solo ad impugnare i provvedimenti con i quali sia stato liquidato il compenso ovvero rigettata la richiesta di liquidazione del compenso per le prestazioni rese in favore della parte ancora ammessa al beneficio.
Infatti, una volta intervenuta la revoca, viene meno il rapporto diretto tra difensore e Stato, ed il primo ha la possibilità di agire nei confronti degli assistiti per il pagamento del proprio compenso.
Per la cassazione di tale ordinanza propone ricorso COGNOME NOME sulla base di tre motivi, illustrati da memorie.
L’intimato non ha svolto difese in questa fase.
Il AVV_NOTAIO Delegato ha depositato proposta di definizione del giudizio ex art. 380 bis c.p.c. e nel termine di legge il ricorrente ha presentato istanza di decisione.
Preliminarmente, rileva la Corte che nel procedimento ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., come disciplinato dal d.lgs. n. 149 del 2022, il presidente della sezione o il consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis.1, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4 e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (cfr. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 2024 depositata il 10.4.2024).
Sulla scorta di tale pronuncia, il AVV_NOTAIO, autore della proposta di definizione ex art. 380 bis c.p.c., non versa in situazione di incompatibilità.
Il primo motivo di ricorso denuncia la nullità del provvedimento per violazione degli artt. 81, 100, 112, 134 e 702 per c.p.c., nella parte in cui la domanda proposta è stata qualificata come opposizione avverso il provvedimento di revoca dell’ammissione al beneficio del patrocinio nei confronti dei clienti della ricorrente, anziché come impugnazione del rigetto dell’istanza di liquidazione dei compensi, derivando dall’erronea qualificazione dell’opposizione il rilievo del difetto di legittimazione attiva del difensore.
Il motivo è evidentemente privo di fondamento, risultando incensurabile la qualificazione del rimedio oppositorio che è stata
data dal giudice di merito, e dovendosi tenere conto che l’omessa liquidazione dei compensi del difensore non è frutto di un’autonoma decisione sulla qualità e quantità delle prestazioni rese, ma è diretta ed automatica conseguenza del provvedimento di revoca dell’iniziale ammissione al beneficio, che, come rilevato anche nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 21997/2018; Cass. n. 16424/2020), è il presupposto fondamentale per ottenere la liquidazione dei compensi maturati dal difensore per l’assistenza professionale prestata in favore della parte ammessa al beneficio.
Infatti, è solo con tale provvedimento che viene ad instaurarsi il rapporto diretto tra difensore e Stato che legittima il primo ad esigere la liquidazione del compenso dal secondo, così che, una volta venuto meno lo stesso presupposto, si ripristina ex nunc in caso di revoca per fatti sopravvenuti, ovvero ex tunc , ove la revoca sia conseguenza del riscontro della carenza originaria dei requisiti per l’ammissione, il rapporto professionale con il cliente.
E’ pertanto ineludibile per il difensore che intenda comunque conseguire il compenso dallo Stato che sia a monte dichiarata l’illegittimità del provvedimento di revoca, rispetto alla cui impugnazione deve ribadirsi la legittimazione esclusiva del soggetto aspirante al beneficio (così ex multis Cass. n. 21997/2018, secondo cui la legittimazione ad impugnare il decreto di rigetto dell’istanza di ammissione e quello di revoca del beneficio già riconosciuto spetta alla sola parte che intendeva avvalersene o che tale revoca ha subito, essendo l’unica titolare del diritto al suddetto patrocinio, e non al difensore, il quale può agire esclusivamente, ove il menzionato beneficio non sia venuto meno, per ottenere la liquidazione del compenso eventualmente
ad esso spettante; conf. da ultimo Cass. n. 29930/2023; Cass. n. 24604/2023).
Il secondo motivo di ricorso lamenta la nullità del provvedimento impugnato per violazione degli artt. 134 e 277 c.p.c., 24 e 111 Cost., nonché dell’art. 6 §1 CEDU, con la violazione e falsa applicazione degli artt. 82, 84, 131 co. 4 lett. a) e 136 del DPR n. 115/2002, quanto alla necessità di dover distinguere il rapporto tra difensore e Stato e quello tra beneficiario e Stato.
Sul presupposto della legittimazione del difensore a proporre opposizione, il Tribunale avrebbe dovuto esaminare le questioni di merito poste con il ricorso.
La conclusione del Tribunale ha vanificato le legittime aspettative della ricorrente, dovendosi escludere che la revoca del beneficio possa incidere sul rapporto tra difensore e Stato, con il concreto rischio che il difensore debba farsi carico anche dell’impossibilità di recupero del compenso nei confronti del cliente.
Il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 84 e 170 del DPR n. 115 del 2002 nella parte in cui si è ritenuto che l’opposizione del difensore può essere effettuata solo avverso il provvedimento di liquidazione, sottolineando che non possa essere impugnato il provvedimento che neghi in toto la liquidazione, come nel caso di specie,
Anche tali motivi devono essere disattesi, alla luce delle considerazioni espresse nella disamina del primo motivo e che si fondano sul rilievo che il rapporto diretto tra difensore e Stato, che consente anche di avanzare richiesta di liquidazione nei confronti del secondo, presuppone a monte la permanenza del provvedimento di ammissione al beneficio, così che una volta
venuto meno, la legittimazione del difensore è esclusa per la contestazione del provvedimento che incide direttamente sul beneficio, risultando quindi carente anche la legittimazione a dolersi del fatto che i compensi non gli siano stati liquidati. Una richiesta di liquidazione avanzata dal difensore una volta che sia dedotto o comunque emerga che il beneficio sia stato perso, risulta inammissibile per l’evidente difetto di legittimazione del soggetto istante, e non è dato, come avvenuto nel caso di specie, dolersi della mancata liquidazione per introdurre surrettiziamente delle censure al provvedimento di revoca rispetto al quale il difensore è evidentemente privo di legittimazione.
Come anche evidenziato nella proposta del consigliere delegato, le Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 8561/2021 hanno confermato che il difensore non sia legittimato a dolersi personalmente delle eventuali decisioni assunte in ordine all’ammissione del beneficio, trattandosi di provvedimenti che incidono sul rapporto tra la parte che pretende il riconoscimento del beneficio e lo Stato, rispetto al quale il difensore non ha alcun potere dispositivo.
Il timore che per effetto della revoca, con il conseguente ripristino del rapporto contrattuale tra la parte ed il difensore, quest’ultimo possa essere esposto al rischio di essere al cospetto di una parte insolvente, senza avere avuto in precedenza la possibilità di richiedere anticipazioni ovvero l’avere dovuto anticipare delle spese non esenti, è però destinato a porre in evidenza un inconveniente di fatto che non legittima di per sé la fondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale sollevati, soprattutto ove si abbia anche riguardo alla possibilità che invece le pretese economiche del difensore possano ricevere soddisfazione, ed in
misura anche superiore a quella che sarebbe stato possibile conseguire dall’erario, posto che nei rapporti con il cliente non opera la riduzione dei compensi prevista invece nel caso di liquidazione in danno dello Stato.
Né infine può costituire un probante parametro di riferimento per la denuncia di illegittimità costituzionale del sistema come sopra interpretato, nel senso che, una volta venuto meno il beneficio per effetto della revoca, venga meno la possibilità per il difensore di rivolgersi allo Stato, il richiamo al testo dell’art. 131 del DPR n. 115/2002 quale risultante a seguito dell’intervento della sentenza della Corte Costituzionale n. 217/2019, in relazione al compenso spettante all’ausiliario del giudice, rilevando a tal fine la differenza tra detta figura e quella del difensore.
Infatti, anche a voler rimarcare che per effetto dell’intervento del giudice delle leggi l’anticipazione dei compensi per la categoria degli ausiliari del giudice sarebbe prevista anche per l’ipotesi di revoca dell’ammissione (alla luce del tenore originario della noma che prevedeva la prenotazione a debito in caso di impossibilità di ripetizione degli onorari dalla parte processuale, anche in relazione all’ipotesi di revoca del beneficio), deve di converso opinarsi che la declaratoria di incostituzionalità della norma, in assenza di più specifici indicazioni nella sentenza della Corte, debba operare nel senso che anche l’anticipazione in questo caso presupponga che vi sia un provvedimento di ammissione ancora efficace. In tal senso va evidenziato quanto specificato di recente da Cass. n. 24331/2024 che, proprio per effetto della citata sentenza della Consulta n. 217/2019, ritiene che anche per gli ausiliari del giudice operi appieno il sistema dell’anticipazione, secondo quanto previsto per il difensore, il che porta a reputare
che anche per i primi, il presupposto per l’adozione del provvedimento di liquidazione è la persistenza di un provvedimento di ammissione al beneficio, la cui revoca preclude la possibilità di anticipazione da parte dello Stato (occorrendo quindi e evidenziare che il richiamo all’ipotesi di revoca del beneficio quale legittimamente la prenotazione a debito, di cui al co. 3 dell’art. 131 fosse strettamente correlata al meccanismo della prenotazione a debito, e che risulta ormai travolta per effetto del riconoscimento a favore degli ausiliari del diritto all’anticipazione, con l’applicazione quindi anche del regime previsto per il diritto al compenso del difensore).
Né vanno trascurate le differenze tra le due categorie di professionisti coinvolti nel sistema del beneficio de quo, in quanto l’ausiliario del giudice è di norma designato a seguito di una valutazione ufficiosa del giudice, fungendo da diretto collaboratore di questi, analogamente alle altre categorie di cui al comma 3 del menzionato art. 131, laddove il difensore della parte ammessa al beneficio viene designata direttamente dalla parte e consegue il ripristino del rapporto contrattale una volta venuto meno il beneficio.
Non va poi trascurato il temperamento che lo stesso legislatore ha posto alla regola della retroattività della revoca del beneficio, specificamente dettata dall’ultimo comma dell’art. 136, atteso quanto previsto dall’art. 86 del medesimo DPR n. 115 del 202, che dispone che ‘ Lo Stato ha, in ogni caso, diritto di recuperare in danno dell’interessato le somme eventualmente pagate successivamente alla revoca del provvedimento di ammissione’.
La norma mira ad assicurare il diritto al recupero delle spese a favore dello Stato, ma tenuto conto della regola secondo cui il
decreto di liquidazione del compenso in favore dell’ausiliario ovvero del difensore ha natura giurisdizionale e non amministrativa e, pertanto, può essere impugnato ex art. 170 del d.P.R. n. 115 del 2002, ma non revocato d’ufficio dall’autorità giudiziaria che lo abbia emesso, in quanto questa, salvo i casi espressamente previsti, ha definitivamente consumato il proprio potere decisionale e non ha un generale potere di autotutela, tipico dell’azione amministrativa (cfr. Cass. n. 20640/2017; Cass. n. 36340/2021), ma individua nella parte ammessa il destinatario della richiesta di ripetizione, e non anche nel soggetto a favore del quale venne emesso il decreto (cfr. altresì Cass. n. 25127/2013, secondo cui il decreto di liquidazione del compenso a favore del consulente tecnico ha natura giurisdizionale e, come tale, può essere impugnato, ma non revocato d’ufficio dal P.M. che lo abbia emesso, sia pure implicitamente mediante pronuncia di un secondo provvedimento sostitutivo del primo, il che esclude che, al fine di recuperare l’importo versato in forza del decreto di liquidazione che si intenda revocare, sia applicabile l’art. 187 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, in quanto tale norma consente, piuttosto, il recupero di somme indebitamente pagate).
Sebbene la fattispecie sia destinata a trovare maggiormente applicazione per le liquidazioni compiute in favore dell’ausiliario, che di norma intervengono allorché il giudizio è ancora in corso (essendo le liquidazioni in favore dei difensori disposte di norma contestualmente alla definizione del grado nel quale cui le prestazioni sono state rese), dalla stessa previsione si ricava che di regola la retroattività della revoca dell’ammissione influisce sulla stessa possibilità di adottare un provvedimento di
liquidazione del compenso del professionista che ha svolto la sua attività a vantaggio della parte inizialmente ammessa al beneficio.
Il ricorso va, pertanto, rigettato, nulla dovendosi disporre quanto alle spese non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., va applicato -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis c.p.c. -il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, di una ulteriore somma -nei limiti di legge- in favore della cassa delle ammende.
Con riferimento all ‘applicazione dell’art. 96 c.p.c. va data continuità al principio secondo cui ‘In tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380-bis, comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. -codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché non attenersi ad una valutazione del proponente poi confermata nella decisione definitiva lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente’ (Cass. Sez. U, Ordinanza n. 27433 del 27/09/2023).
Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater , del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda