Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25492 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25492 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29993/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE nella qualità di mandataria e Gestore del Fondo pubblico di garanzia in favore delle PMI di cui alla L. 662/1996, in persona dell’Amm.re Delegato e legale rapp.te, COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 3015/2022, depositata il 29/09/2022 e notificata il 21/10/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
BNP RAGIONE_SOCIALEda qui in avanti, per brevità, BNP ParibasRAGIONE_SOCIALE conveniva, dinanzi al Tribunale di Milano, la Banca del MezzogiornoMedio Credito (d’ora in avanti RAGIONE_SOCIALE, chiedendone la condanna al pagamento dell’importo di euro 180.119,43, in esecuzione della garanzia rilasciata, ai sensi della l. n. 662/1996, in relazione a quattro contratti di leasing, conclusi con la RAGIONE_SOCIALE per l’80% dell’importo finanziato, che si erano risolti per inadempimento della RAGIONE_SOCIALE
La RAGIONE_SOCIALE, infatti, si era opposta all’escussione in via stragiudiziale della garanzia domandata dalla BNP Paribas, adducendo che, a seguito di un controllo interno, la garanzia era stata revocata in via di autotutela e ciò aveva costretto la BNP Paribas ad agire in giudizio, sia per ottenere la condanna della BDM-MCC alla corresponsione di quanto preteso sia per ottenere l’annullamento del provvedimento di revoca. Oltre al giudizio dinanzi al Tribunale di Milano aveva promosso, infatti, anche un giudizio dinanzi al TAR.
Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 1873/2021, riteneva sussistente la giurisdizione del giudice ordinario, rigettava l’istanza di sospensione di cui all’art. 295 cod.proc.civ. formulata dalla BDM -MCC e considerava illegittimo il provvedimento di revoca.
La Corte d’appello di Milano, con la sentenza n. 3015/2022, depositata il 29/09/2022 e notificata il 21/10/2022, ha confermato la pronuncia del tribunale.
Per quanto ancora di rilievo in questa sede, ha rigettato l’eccezione di difetto di giurisdizione, come aveva già fatto il tribunale, ritenendo correttamente applicato il principio enunciato da Cass., Sez. Un., n. 25577/2020 che aveva ribadito quanto già statuito da Cass., Sez. Un., n. 9826/2014 e, in sintonia con la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato n. 2668/2018), aveva affermato che la giurisdizione in caso di revoca della garanzia concessa spetta al giudice ordinario. Nella specie, infatti, RAGIONE_SOCIALE si era opposta all’escussione in via stragiudiziale della garanzia, rilevando che in autotutela, a seguito dei controlli disposti ai sensi del D.m. 2/09/2015, aveva revocato la garanzia concessa, atteso che il soggetto richiedente non aveva rispettato le Disposizioni operative in relazione agli oneri informativi e di documentazione; in particolare, essendo emerso che due dei contratti di leasing avevano scadenze diverse tra di loro, quanto alla data di sottoscrizione e di consegna dei beni, e che gli altri due non raggiungevano la percentuale minima del 50% di realizzazione dell’investimento deliberato, aveva revocato la garanzia per una nuova ponderazione di opportunità nel perseguimento del pubblico interesse.
La corte d’appello ha quindi confermato che spetta alla cognizione del giudice ordinario ogni fattispecie che attenga al venir meno della concessa agevolazione, non per ragioni attinenti a vizi dell’atto amministrativo, ma per i comportamenti posti in essere dal beneficiario nella fase attuativa dell’intervento agevolato ormai concesso.
Ha precisato che la RAGIONE_SOCIALE non aveva neppure saputo spiegare quale sarebbe stata la «nuova ponderazione di opportunità nel perseguimento del pubblico interesse affidato» che l’aveva portata alla revoca della garanzia concessa, trattandosi di aspetto nemmeno considerato nella deliberazione del Fondo di garanzia, e che non poteva ritenersi un vizio originario del provvedimento
concessorio la circostanza che l’operazione si fosse perfezionata con quattro contratti di leasing che prevedevano scadenze diverse, attenendo essa, invece, all’asserito inadempimento del beneficiario.
Ha confermato anche la correttezza della decisione di non sospendere il giudizio ai sensi dell’art. 295 cod.proc.civ., in ragione dell’avvenuta impugnazione da parte di BNP Paribas dinanzi al TAR del provvedimento di revoca, non sussistendo un rapporto di pregiudizialità giuridica tra i due giudizi e non essendo stato il giudice amministrativo chiamato a pronunciarsi su un provvedimento incidente su diritti soggettivi.
Avendo inviato BNP Paribas, successivamente alla stipula di ciascun contratto, la documentazione relativa, senza che alcuna eccezione venisse mossa da parte della garante, non essendovi alcuna disposizione che vietava la ricorrenza di una data diversa di scadenza dei canoni di leasing , rilevato che, al contrario, le disposizioni operative consentivano la stipulazione di contratti di finanziamento in date diverse, ha ritenuto la revoca della garanzia ingiustificata.
Mediocredito Centrale – Banca Del Mezzogiorno S.p.A. ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando quattro motivi.
BNP Paribas RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
Entrambe le parti, in vista dell’odierna camera di consiglio, depositano memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denunzia la nullità della gravata sentenza ex art. 360, 1° comma, n. 1 cod.proc.civ., per difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
La ricorrente sostiene che la sentenza di questa Corte n. 9826/2014 (una di quelle evocate dal giudice a quo ) non riguardava una controversia avente ad oggetto un provvedimento
di inefficacia della garanzia pubblica, ma la restituzione da parte dell’impresa beneficiaria (e non della banca finanziatrice) dell’agevolazione concessa nella forma di erogazione di garanzia e che la sentenza n. 25577/2020, a sua volta, era stata pronunciata con riferimento ad una vicenda diversa rispetto a quella in esame, la quale, invece, riguarderebbe la fase prodromica al finanziamento erogato, essendo stata la revoca del provvedimento concessorio basata su una diversa rappresentazione dei fatti posti a fondamento della concessione della garanzia: in particolare, come già in sintesi anticipato, era emerso che la data di scadenza della garanzia pubblica era successiva (31.05.2019) rispetto a quella deliberata dal Consiglio di Gestione del Fondo ex l. 662/96 (31.10.2018) e in ogni caso erano diversi la data di erogazione, la durata, la scadenza dei canoni e il piano di ammortamento dei contratti di leasing .
Di conseguenza, sostiene che la Corte di Appello di Milano avrebbe dovuto applicare il principio, pure esso enunciato da Cass., Sez. Un., n. 25577/2020, secondo cui «quando la P.A. proceda alla revoca o all’annullamento del provvedimento ampliativo, in ragione rispettivamente di una nuova ponderazione di opportunità nel perseguimento del pubblico interesse affidato oppure per originari vizi di legittimità, la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo».
A conferma di tanto adduce che: i) il provvedimento di revoca era stato adottato per «una nuova ponderazione di opportunità nel perseguimento del pubblico interesse affidato oppure per originari vizi di legittimità»; ii) la delibera di inefficacia della garanzia risultava già adottata da parte del Consiglio di Gestione del Fondo, in seguito alla notifica del ricorso introduttivo di primo grado davanti al giudice ordinario, che era stata assunta sulla scorta delle risultanze di un controllo ispettivo da parte dell’Autorità amministrativa, che non era sindacabile dal giudice ordinario, che
riguardava la valutazione strettamente istruttoria della soglia dell’investimento, che discendeva dall’accertamento di una inesatta rappresentazione dei fatti ai sensi del comma 2bis dell’art. 21 nonies della l. 241/1990, che era frutto dell’esercizio del potere autoritativo della P.A.
Il motivo è infondato.
Come riconosce la stessa ricorrente, la revoca della garanzia era stata disposta a seguito del controllo espletato ai sensi del Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 21/09/2015; detto controllo, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, peraltro, del tutto assertivamente -come già è stato rilevato dal giudice di merito, là dove ha osservato che l’appellante non aveva saputo indicare quale fosse la nuova ponderazione di opportunità nel perseguimento dell’interesse pubblico affidato (v. p. 10 della gravata sentenza) -era specificatamente orientato «all’accertamento della effettiva destinazione dei fondi per le finalità previste», era inequivocabilmente un controllo ex post rispetto alla concessione del beneficio, affidato al Consiglio di gestione; nel decreto ministeriale si parla infatti di controlli sulle operazioni ammesse al Fondo di garanzia che i soggetti richiedenti e i soggetti beneficiari finali si obbligano ad accettare; controlli che, in caso di esito positivo, comportano l’adozione di una delibera di conferma della garanzia concessa, in caso di esito negativo determinano «l’avvio del procedimento di inefficacia della garanzia e/o la revoca della concessione dell’agevolazione, secondo le modalità stabilite dalla legge 241/90 e successive modifiche e integrazioni trasmesso mediante PEC».
Il che impone di rigettare il motivo di ricorso, sulla scorta proprio di Cass., Sez. Un., n. 2557/2020 che alla domanda se spetti al giudice ordinario o al giudice amministrativo decidere la controversia promossa da chi, dopo essere stato ammesso ad un beneficio pubblico, si dolga della declaratoria d’inefficacia/revoca
dello stesso ha risposto, ribadendo che: «a) nella fase in cui l’amministrazione è munita del potere discrezionale di apprezzamento circa l’erogazione del contributo, l’aspirante è titolare di un interesse legittimo, che conserva identica natura durante tutta la fase procedimentale che precede il provvedimento di attribuzione del beneficio ed è tutelabile davanti al giudice amministrativo; del pari, quando la P.A. proceda alla revoca o all’annullamento del provvedimento ampliativo, in ragione rispettivamente di una nuova ponderazione di opportunità nel perseguimento del pubblico interesse affidato oppure per originari vizi di legittimità, la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo; b) dopo l’adozione del provvedimento amministrativo ampliativo, si determina il sorgere di un diritto soggettivo in capo al privato, onde, allorché si lamenti che il provvedimento non sia stato in séguito attuato dall’amministrazione, la quale abbia inteso far valere la decadenza dal beneficio per la mancata osservanza di obblighi assunti dal privato, la giurisdizione spetta al giudice ordinario».
Nella vicenda decisa da Cass., Sez. Un., n. 2557/2020, si trattava, peraltro, propria di una vicenda analoga a quella per cui è causa – la banca finanziatrice con regolamento di giurisdizione chiedeva di accertare a chi spettasse decidere sulla revoca della garanzia concessa alla società finanziata -in cui è stata confermata la giurisdizione del giudice ordinario, precisando con efficacia evidentemente rilevante nella presente controversia che «L’atto dalla banca contestato – la dichiarazione di “inefficacia” della garanzia – attiene, invero, non alla fase di ammissione benefici previsti dalla l. n. 662 del 1996, ma alla successiva fase di esecuzione del rapporto e, in particolare, di erogazione ed attivazione della garanzia. Onde è attribuita alla cognizione del giudice ordinario ogni fattispecie che attenga al venir meno della concessa agevolazione, non già per ragioni attinenti a vizi dell’atto
amministrativo (vuoi nella forma, o nel procedimento, o nella motivazione, ecc.), ma per i comportamenti posti in essere dallo stesso beneficiario nella fase attuativa dell’intervento agevolato, ormai concesso con il provvedimento iniziale, onde la controversia riguarda l’inadempimento del beneficiario nel corso della fase di esecuzione, con coinvolgimento di posizioni di diritti e di obblighi. In tale evenienza, si tratta non di questioni afferenti alla fase prodromica al finanziamento erogato, ma degli obblighi conseguenti e delle garanzie assunte dal M.C.C. s.p.a., quale gestore del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, nel caso di parziale o totale inadempimento del mutuatario: ne deriva che la controversia ha ad oggetto diritti di credito, dei quali conoscerà il giudice ordinario. Pertanto, mentre l’erogazione della sovvenzione avviene certamente a mezzo di un provvedimento discrezionale, che valuta gli interessi della pubblica amministrazione e quelli dei privati comparandoli, l’avvenuta esecuzione di tale atto amministrativo con il pagamento della somma da erogare determina rapporti di mutuo e di garanzia, che sono di diritto privato».
2) Con il secondo motivo la ricorrente prospetta la nullità della impugnata sentenza ex art. 360, 1° comma, n. 4 cod.proc.civ., in relazione all’art. 295 cod.proc.civ., per aver la Corte d’Appello di Milano ritenuto insussistenti i presupposti per la sospensione del giudizio ordinario.
3) Con il terzo motivo parte ricorrente si duole della violazione dell’art. 112 cod.proc.civ., per aver la Corte d’Appello di Milano deciso in ordine alla legittimità del provvedimento di inefficacia della garanzia nonostante detto provvedimento risultasse impugnato solo innanzi al Giudice Amministrativo ( ex art. 360, 1° comma, n. 4 cod.proc.civ.).
I due motivi che sono illustrati congiuntamente e che meritano pertanto una trattazione unitaria sono, per un verso, inammissibili, per un altro, infondati.
L’inammissibilità riguarda la riproposizione delle censure già disattese dalla corte d’appello in ordine alla sussistenza dei presupposti per disporre la sospensione necessaria per pregiudizialità amministrativa ai sensi dell’art. 295 cod.proc.civ.
Va innanzitutto osservato che sebbene l’art. 295 cod.proc.civ. non preveda la peculiare ipotesi di pregiudizialità tra causa civile e giudizio amministrativo, tale ipotesi non può ritenersi a priori esclusa, là dove l’accertamento compiuto dal giudice amministrativo sia suscettivo di produrre l’efficacia di giudicato tra le stesse parti della causa civile pregiudicata, in tal senso essendo necessario che il giudizio amministrativo abbia ad oggetto situazioni giuridiche di diritto soggettivo che si inseriscono quali elementi della fattispecie costituiva del diritto controverso nel giudizio civile: deve infatti ribadirsi il principio secondo cui la sospensione necessaria del processo, a norma dell’art. 295 cod. proc. civ., presuppone non soltanto che tra due giudizi sussista un rapporto di pregiudizialità giuridica, nel senso che la situazione sostanziale che costituisce oggetto di uno di essi rappresenti fatto costitutivo o comunque elemento della fattispecie di quella che costituisce oggetto dell’altro, ma anche che, per legge o per esplicita domanda di una delle parti, la questione pregiudiziale debba essere definita con efficacia di giudicato, ben potendo altrimenti risolverla in via incidentale il giudice della causa pregiudicata, nell’ottica di una sollecita definizione della controversia, la quale, avendo trovato riconoscimento nell’art. 111 Cost., prevale sull’opposta esigenza di evitare un contrasto tra giudicati.
Detta condizione ricorre «solo nel caso che il giudice amministrativo sia chiamato a definire questioni di diritto
soggettivo nell’ambito di attribuzioni giurisdizionali esclusive, mentre, qualora davanti al giudice amministrativo sia impugnato un provvedimento incidente su interessi legittimi, non può disporsi la sospensione del giudizio civile, ancorché connesso con quello amministrativo, potendo il giudice ordinario disapplicare i provvedimenti a tutela dei diritti soggettivi influenzati dagli effetti dei detti provvedimenti» (cfr. Cass., Sez. Un., 24/05/2013, n. 12901 e successiva giurisprudenza).
La corte d’appello non si è limitata a richiamare detti principi e a farne applicazione, ma ha anche aggiunto, allo scopo di motivare le sue conclusioni, che dinanzi al TAR non era stata chiesta la nullità del provvedimento di revoca della garanzia, ma solo il suo annullamento, con esclusione quindi del nesso di pregiudizialità necessaria che avrebbe imposto, là dove sussistente, la sospensione del giudizio civile per pregiudizialità amministrativa (Cass. n. 9578/2004).
Detta statuizione non è stata colta e dunque non è stata confutata efficacemente dalla ricorrente; il che impedisce di accogliere il motivo di ricorso qui scrutinato, non essendo stato dimostrato che dinanzi al giudice amministrativo si controvertesse di una questione intercorrente tra le stesse parti del giudizio civile di cui si chiedeva la sospensione (Cass, Sez. Un., n. 12901/2013) e inerente la tutela di diritti soggettivi nell’ambito di una materia rientrante nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
In sostanza, la statuizione dei giudici di merito secondo cui non sussiste pregiudizialità fra il giudizio promosso per il riconoscimento dei diritti derivanti dal titolo azionato e quello in cui il medesimo sia impugnato sotto il profilo dell’annullabilità, e non anche sotto quello dell’inesistenza o della nullità che impediscono all’atto di produrre ab origine qualunque effetto, resiste alle censure della odierna ricorrente, oltre ad essere in sintonia con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «i vizi di annullamento potrebbero
portare alla rimozione del titolo medesimo con una sentenza di natura costitutiva, la quale non si porrebbe in conflitto con la pronuncia che ne abbia medio tempore riconosciuto l’efficacia, anche se, in forza della sua retroattività inter partes , comporterebbe l’insorgenza di un debito di restituzione delle prestazioni eseguite; pertanto (…) l’obbligo di sospensione, ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., nasce quando siano dibattute fra le parti in separata sede situazioni in tesi implicanti l’inesistenza o la nullità assoluta del provvedimento autorizzativo di detta occupazione (per radicale carenza di potere o per difetto degli indispensabili requisiti di forma e di contenuto), non la mera annullabilità del provvedimento stesso» (Cass. 09/08/1997, n.7451; Cass. 30/03/1999, n. 3059; Cass. 04/04/2001, n. 3977; Cass. 05/12/2002, n. 17317; Cass. 24/01/2006, n. 1285; Cass., Sez . Un., 27/02/2007, n. 4421; Cass. 20/07/2010, n. 17014).
Va dunque dichiarata sotto questo profilo l’inammissibilità della censura formulata col secondo motivo, perché con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ. (Cass. 24/09/2018, n. 22478; Cass. 25/08/2000, n. 11098; Cass. 17/11/2003, n. 17402; Cass. 23/09/2003, n. 12632).
Né può accogliersi la denuncia di ultrapetizione che si basa su presupposti in iure errati, perché proprio per effetto dell’insussistenza di una pregiudizialità che comporti la sospensione necessaria del giudizio civile (pregiudizialità che evidentemente costituisce una deroga al criterio secondo cui le questioni
pregiudiziali sono risolte, incidenter tantum , dal giudice munito di giurisdizione sulla domanda), è consentito al giudice ordinario di accertare incidenter tantum la questione pregiudiziale al solo fine di consentire la decisione sulla domanda principale con effetti limitati al giudizio in corso.
È, infatti, questo lo schema chiaramente presupposto dall’insussistenza di una pregiudiziale amministrativa che si inserisce coerentemente nel sistema per la radicale diversità delle controversie pendenti dinanzi ai giudici di diverso ordine (l’una sull’atto; l’altra sul rapporto).
Con il quarto motivo parte ricorrente imputa al giudice a quo la violazione e/o falsa applicazione della l. n. 662/96 e della normativa secondaria e cioè delle Disposizioni Operative, per avere erroneamente, ingiustamente e illegittimamente ritenuto fondata la domanda giudiziale proposta dalla BNP Paribas e l’illegittimità del provvedimento di revoca/inefficacia della garanzia adottato dal Consiglio di Gestione del Fondo di Garanzia; alla corte d’appello si rimprovera di non avere applicato: a) la speciale normativa di settore che ritiene ammissibile un’operazione di leasing strutturata in più contratti a condizione che gli stessi presentino la medesima data di erogazione (verbale di consegna), la medesima durata, la medesima scadenza e lo stesso piano di ammortamento; b) il meccanismo di funzionamento delle garanzie pubbliche, perché le operazioni ammesse al Fondo non possono avere una scadenza successiva a quella sottoposta al Consiglio e dallo stesso deliberata.
Il motivo è inammissibile.
La ricorrente insiste nella prospettazione di circostanze pacifiche -quanto alla diversa data di erogazione, alla durata, alla scadenza e al piano di ammortamento dei contratti di leasing -ma non formula alcuna censura rispetto alle rationes decidendi della statuizione impugnata.
Rilevato che la corte d’appello ha escluso la ricorrenza di disposizioni di carattere normativo o convenzionale che imponessero, all’epoca dei fatti, in caso di operazioni di finanziamento aventi ad oggetto più contratti la medesima scadenza la stipulazione nella stessa data di detti contratti ed ha precisato che la limitazione relativa alla stipulazione dei contratti in unica data «non può, ovviamente, desumersi da disposizioni operative entrate in vigore in data successiva alla concessione della garanzia» (p. 16), che, al contrario, le disposizioni operative, parte IX, punto 13, ammettevano esplicitamente ammettevano che i contratti di finanziamento fossero stipulati in date differenti (pp. 16-17) e che solle disposizioni operative del D.M. del 2015 , entrate in vigore successivamente, prevedevano la necessità che i canoni di locazione finanziaria non avessero una scadenza successiva alla scadenza della garanzia (p. 18), la ricorrente avrebbe dovuto contestare che le disposizioni normative, contrattuali e operative vigenti al momento dell’ammissione al beneficio non sanzionassero con la revoca della garanzia operazioni di finanziamento che si fossero concretizzate tramite contratti stipulati in data diversa o che prevedessero la scadenza dei canoni di locazione successivamente alla scadenza della garanzia, e contestare altresì che solo con il Dm del 2015, cui ha fatto riferimento il giudice a quo, fosse stato previsto esplicitamente il divieto di concedere la garanzia per i contratti di finanziamento stipulati in date differenti.
Il che condanna la censura qui formulata all’inammissibilità, perché per denunciare un error in iudicando occorre dapprima individuarlo mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si ritengono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non permettendo, altrimenti,
a questa Corte di adempiere al compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (v. Cass. 26/06/2013, n. 16038; Cass. 01/12/2014, n. 25419; Cass.12/01/2016, n. 287; Cass. 26/07/2024, n. 20870).
All’infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate, in favore della controricorrente, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore di BNP Paribas Leasing Solution che liquida in euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 17 giugno 2025 dalla Terza sezione civile della Corte di Cassazione.
Il Presidente NOME COGNOME