Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23835 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23835 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/08/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 03992/2020 R.G.
proposto da
Confartigianato Imprese Provincia di Lodi , in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo Studio Legale COGNOME, RAGIONE_SOCIALE e Associati, in virtù di procura speciale in atti;
ricorrente
contro
Regione Lombardia , in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME dell’Avvocatura regionale, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio del prof. NOME COGNOME, in virtù di procura speciale in atti;
contro
ricorrente
avverso la sentenza n. 2691/2019 della Corte d’appello di Milano, pubblicata il 18/06/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel maggio 2006 la Regione Lombardia (di seguito, la Regione) e Unioncamere Lombardia (di seguito, RAGIONE_SOCIALE) stipulavano una Convenzione, con la quale i due enti regolavano i reciproci impegni per l ‘ attuazione di iniziative comuni, impegnandosi alla costituzione a tal fine di un fondo di € 42.000.000,00, finanziato per il 50% della Regione e per il 50% da Unioncamere.
Nell’ambito di tale Convenzione, con il decreto n. 7730/2009, la Regione pubblicava il bando per il finanziamento di ‘ proposte progettuali di filiera o territoriali per la promozione e lo sviluppo del comparto artigiano ‘, al quale partecipava Confartigianato, presentando il progetto ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ , per il valore di € 200.000,00.
In data 02/12/2009 Confartigianato veniva ammessa al finanziamento per € 1 00.000,00 e, a seguito delle spese ammissibili rendicontate, le veniva liquidato un contributo pari a € 51.969,02.
In data 27/11/2012, la Guardia di Finanza-Nucleo Polizia Tributaria di Pavia trasmetteva alla Regione il verbale di contestazione redatto il 20/11/2012 nei confronti di Confartigianato, da cui emergeva che le fatture n. 31 e n. 32 del 22/02/2011, emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE avevano contribuito alla formazione del totale della spesa ammessa per la liquidazione del finanziamento, ma, poi, erano state stornate senza che risultasse la restituzione di somme da parte della Confartigianato, con la conseguenza che il 50% degli importi dovevano ritenersi indebitamente percepito a titolo di finanziamento, come pure le somme corrispondenti a undici fatture, emesse da un legale, che risultavano essere state falsamente create per ottenere il contributo pubblico.
Con missiva dell ’01/02/ 2013 la Regione comunicava a Confartigianato il preavviso di revoca del contributo erogato, con un termine di 10 giorni per presentare le controdeduzioni.
Presentate le controdeduzioni, accertata l’insussistenza di ulteriore documentazione attestante le spese sostenute, la Regione, con decreto n. 4852 del 06/06/2013, disponeva la revoca totale del finanziamento,
con diffida e ingiunzione di pagamento della somma di € 51. 969,02, ai sensi dell’art. 14 d el bando.
Con atto di citazione notificato in data 12/07/2013 Confartigianato conveniva in giudizio la Regione Lombardia, opponendosi al provvedimento ingiunzione, riferito alla revoca del finanziamento precedentemente concesso.
Costituitasi la Regione, il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 870/2017, rigettava l ‘opposizione, condannando l’attrice al pagamento delle spese di lite.
Avverso tale sentenza proponeva appello Confartigianato, lamentando l’erroneità degli assunti posti alla base della sentenza del Tribunale, di cui chiedeva la riforma per i seguenti motivi: 1) erronea individuazione dei soggetti titolari rispettivamente della legittimazione attiva e di quella passiva in relazione alla specifica causa petendi ed allo specifico petitum azionato nel procedimento monitorio; 2) erronea ricostruzione in fatto e diritto dei presupposti asseritamente legittimanti la revoca del finanziamento disposta dalla Regione Lombardia; 3) omessa considerazione di un elemento di fatto dirimente ai fini della pronuncia, insussistenza nel merito delle contestazioni e illogicità del provvedimento di revoca totale del finanziamento erogato; 4) carenza di motivazione su eccezione essenziale e assorbente e inottemperanza dell’onere probatorio; 5) violazione del diritto di prova di parte opponente.
La Regione, nel costituirsi, chiedeva il rigetto dell’impugn azione.
La Corte d’appello respingeva il grava me, condannando l’appellante al pagamento delle spese di lite e al pagamento di un ‘ ulteriore somma in favore dell’appellata a titolo di responsabilità processuale aggravata.
In ordine al l’eccepito difetto di legittimazione attiva della Regione e al difetto di legittimazione passiva della Confartigianato, la Corte di merito rilevava che sia la Convenzione, stipulata tra la Regione e Unioncamere, sia il bando successivamente pubblicato erano il risultato di una collaborazione avviata tra i due enti, aventi l’obiettivo comune di operare a sostegno della qualificazione e della competitività delle imprese
artigiane, aggiungendo che all’interno di tale rapporto le due contraenti detenevano eguali poteri e facoltà, dato che avevano entrambe finanziato in misura paritaria l ‘ iniziativa, come si evinceva dagli artt. 6 e 12 della Convenzione, sicché sia la Regione sia Unioncamere, agendo ai sensi dell’art. 14 del bando, potevano legittimamente esercitare il potere di controllo e di successiva revoca del contributo nei confronti di Confartigianato, la quale, in quanto percettore dell ‘ importo finanziato da entrambi gli enti, era la legittimata passiva alla pretesa restitutoria.
Con riferimento alle ulteriori doglianze, la Corte rilevava che nessuna violazione del principio di trasparenza e di tutela del contraddittorio era stata commessa dall’Amministrazione, avendo la Confartigianato ricevuto il preavviso di revoca, che menzionava dettagliatamente i fatti e le valutazioni posti a base della decisione assunta, con la possibilità di difesa a mezzo delle controdeduzioni che aveva pure depositato.
In ordine alla dedotta non necessità della consegna della documentazione giustificativa, per essere sufficiente, ad opinione dell’appellante , la sola rendicontazione, la Corte d’appello rilevava che l’art. 13 del bando richiede va una ‘dettagliata’ rendicontazione , con la conseguenza che era ragionevole ritenere che il soggetto finanziato dovesse custodire e mettere a disposizione, in caso di richiesta, la documentazione fiscale attestante le spese indicate nel rendiconto, mentre nella specie la Confartigianato aveva consegnato alla Unioncamere una rendicontazione che si era rivelata falsa, in quanto non corrispondente a spese effettivamente sostenute e, chiamata a interloquire sul punto, non aveva smentito il contenuto del verbale della Guardia di finanza, né aveva contestato nel merito gli addebiti mossi, limitandosi a dedurre che i progetti per i quali aveva ottenuto il finanziamento erano stati comunque realizzati e che la segnalazione dell’indagine della polizia tributaria non costituiva accertamento di responsabilità.
In ordine all’eccepita revoca del finanziamento per motivi non previsti dall’art. 14 del bando, la Corte territoriale evidenziava che l’art. 14 del
bando prevedeva la revoca del finanziamento per il caso di mancato adempimento degli ‘altri obblighi imposti dal bando’ , con la conseguenza che la presentazione di un rendiconto fondato su fatture false e non corrispondenti alle spese sostenute ben poteva costituire una ipotesi della violazione di detti obblighi.
La Corte d’appello riteneva non fondata la censura con la quale era stata contestata la revoca del finanziamento integrale, invece che per la parte non coperta dalle fatture risultate false o comunque non corrispondenti a spese effettivamente sostenute, poiché tale parte copriva quasi interamente l’ammontare del contributo concesso (€ 51.682,90 su € 51. 969,02 di finanziamento).
La menzionata Corte riteneva infondata anche la censura riferita alla mancata ammissione della prova testimoniate che, secondo l’appellante , le avrebbe consentito il superamento della contestazione di assenza di validi documenti giustificativi collegati alla rendicontazione. Secondo la Corte, l ‘ unico mezzo idoneo a dimostrare le modalità d’impiego del contributo avrebbe dovuto consistere in documenti comprovanti la pertinenza, regolarità e legittimità degli esborsi, non fomiti da Confartigianato né in sede di contestazione del verbale della Guardia di finanza, né con l ‘ invio delle controdeduzioni all’amministrazione regionale, né, tantomeno, nel giudizio di primo grado.
La Corte d’appello statuiva, inoltre, come segue: «A tutto quanto fin qui esposto la Corte aggiunge che aveva già avuto occasione di rigettare pretese del tutto simili a quelle avanzate in questo giudizio in un procedimento tra le stesse parti ed avente il medesimo oggetto, ossia la revoca di un altro finanziamento precedentemente ottenuto da Confartigianato nell’ambito dello stesso bando (Corte d’Appello di Milano, sentenza n. 3309/2018). Quest’ultima. notazione rende ancor più evidente la pretestuosità del presente gravame così che si giustifica la condanna dell’appellante ai sensi dell’ art. 96/3 c.p.c.»
La Confartigianato ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza, affidato a cinque motivi di ricorso.
L’intimata si è difesa con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione di legge ai sensi dell’a rt. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. e, in particolare, la «Erronea applicazione delle norme in tema di legittimazione ad agire in relazione all’art. 81 c.p.c., 2697 c.c. in punto di onere probatorio e sua ripartizione, e al Decreto regionale del 07/06/2013 Prot. n. Rl.2013.0011971, di revoca del finanziamento erogato, diffida e conseguente ingiunzione di pagamento. Violazione dell’orientamento espresso da Cass. SU civ. con sent. n. 295112016.»
La ricorrente ha dedotto che la Corte d’appello ha confuso tra il potere di controllo sull’utilizzo dei fondi, attribuito congiuntamente ad Unioncamere e Regione Lombardia dal bando, con il diritto autonomo ad ottenere la restituzione diretta a proprio favore dall’utilizzatore finale delle somme erogate da Unioncamere e ad essa fomite dalla Regione, affermando che nessuna disposizione normativa giustificava l’ opinione espressa dalla Corte d’appello, in contrasto con le espresse previsioni del bando in punto di attribuzione di poteri e individuazione dei ruoli spettanti alla Regione, da un lato, e a Unioncamere dall ‘ altro, mentre ciò che valeva era il fatto che Unioncamere avesse erogato il 50% delle somme finanziate iure proprio, aggiungendo che il fatto che il bando parlasse sempre ed esclusivamente di “ruolo paritetico” dei due enti e di poteri “congiunti”, escludeva qualsivoglia attribuzione alla Regione in via autonoma e o esclusiva del potere di disporre la revoca del finanziamento, di talché la facoltà di revoca, cui faceva riferimento il bando, presupponeva eventualmente o una deliberazione congiunta tra i due soggetti distintamente finanziatori e controllori (la Regione e Unioncamere) o, in alternativa, il conferimento alla Regione di un potere di azione anche a nome e per conto di Unioncamere, cosa che nel caso di specie non eran avvenuta.
La stessa ricorrente ha, poi, aggiunto, che, come precisato nella menzionata sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. U, Sentenza n. 2951 del 16/02/2016), la legittimazione ad agire riguarda una condizione propria dell’azione (e della sua titolarità) e che, quindi, la parte che fa valere una pretesa , in applicazione dell’art. 2697 c.c., ha l’onere probatorio in ordine alla titolarità del diritto, soprattutto quando, come nel presente caso, la legittimazione ad agire della Regione era stata oggetto di specifica e reiterata contestazione sin dal primo grado di giudizio.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la «Violazione, erronea ed illogica applicazione dell ‘ art. 14 del Bando del 2009 in relazione alle ragioni ed ai presupposti del Decreto Regionale di revoca del finanziamento del 7.06.2013 Prot. N. R1.2013.0011971, nonché violazione dell’art. 3 Legge 241/1990 in relazione agli elementi costitutivi dell’atto amministrativo (i.e. decreto Regionale di revoca del finanziamento) e dell’art. 112 c.p.c.»
Secondo la ricorrente, la Regione ha revocato il finanziamento in una ipotesi in cui la revoca non poteva essere disposta, in base a quanto previsto dall’art. 14 del bando , e la Corte d’appello ha sovrapposto una propria personale motivazione delle ragioni della risoluzione a quella espressa dalla Regione, violando in tal modo il limite della deduzione ed allegazione della parte, che regola il processo civile e definisce l’ambito valutativo del giudice, secondo il principio della rispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 c.p.c.
In particolare, la Confartigianato, che ha riprodotto in ricorso il testo del Decreto regionale di revoca del finanziamento, ha dedotto che la contestazione, come motivo di risoluzione per violazione delle regole del rapporto di finanziamento, non poteva essere legittimamente fondata sulla mancata allegazione della documentazione fiscale e probatoria unitamente alla rendicontazione finale, che non era prevista come specifica causa di risoluzione dall’art 14 del bando, con la conseguenza
che, nella specie, la revoca del finanziamento era fondata su un presupposto inesistente.
La stessa ricorrente ha criticato la decisione della Corte di merito, laddove ha dato rilievo al fatto che l ‘appella nte non solo non aveva prodotto giustificativi correlati alla rendicontazione, ma aveva consegnato prima alla Unioncamere e poi alla Guardia di Finanza documenti che erano risultati falsi e non corrispondenti a spese realmente sostenute, poiché aveva operato una affermazione in contraddizione con quanto in precedenza affermato (nella parte in cui aveva ritenuto che il finanziato deve conservare ed eventualmente mettere a disposizione i documenti fiscali attestanti le spese effettuate), per poi giustificare la revoca del finanziamento sulla base di una valutazione (la falsità della documentazione consegnata a Unioncamere) che sostituiva al motivo indicato dalla Regione un motivo del tutto ulteriore, peraltro, non previsto nel bando.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la «Violazione ed erronea applicazione dell ‘ art. 2700 c.c. in relazione alla erronea valenza attribuita dalla Sentenza al verbale della Guardia di Finanza, oltreché del consolidato orientamento della Suprema Corte di legittimità, da ultimo confermato con ordinanza n. 9037 del 1° aprile 2019 proprio in relazione appunto alla valenza probatoria dei verbali della GdF; nonché violazione dell’Art. 3 della Legge 241/1990 in punto di motivazione dell’atto amministrativo. Conseguente erronea applicazione del criterio di ripartizione dell’onere probatorio e del diritto alla prova ex art. 2967 c.c. alla luce dell’art. 24 Cost., e del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c.»
La ricorrente ha affermato che la falsità dei documenti in questione è stata dalla Corte d’appello collegata al contenuto del verbale della Guardia di Finanza e al fatto che la Confartigianato, chiamata ad interloquire sul punto, non avesse né smentito il contenuto del verbale di contestazione della Guardia di Finanza, né contestato nel merito gli addebiti mossi dall ‘A mministrazione e nemmeno allegato documenti che
provassero il corretto utilizzo del finanziamento (p. 10 della sentenza impugnata). Tuttavia, ad opinione della parte, le valutazioni della Guardia di Finanza non erano munite di fede privilegiata, poiché il verbale redatto dal pubblico ufficiale fa piena prova solo delle attività dallo stesso poste in essere direttamente, ma non certo delle considerazioni valutative tratte e che riguardano, peraltro, la commissione di atti costituenti reato.
Ad opinione della parte, inoltre, la pretesa motivazionale di far derivare la falsità, come fatto certo, dalla mancata smentita del contenuto del verbale della Guardia di Finanza o dalla mancata allegazione e deduzione di prove che avessero certificato la realtà delle spese, rendicontate come realmente sostenute, aveva avuto l’effetto di ribaltare inammissibilmente il criterio dell’onere della prova e non era neppure pertinente alla materia del contendere, perché la Regione non aveva revocato il finanziamento per tale motivo.
La ricorrente ha, poi, censurato la mancata ammissione della prova testimoniale richiesta, quale violazione del diritto alla prova e, dunque, del diritto di difesa, volta proprio a dimostrare l’ esistenza dei documenti giustificativi delle spese confluite nella rendicontazione.
Con il quarto motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la «Violazione dell’ art. 13 del Bando 2009 e sua erronea ed illogica applicazione in punto di determinazione dell’importo della somma revocata.»
La ricorrente ha impugnato la statuizione relativa alle ragioni della revoca dell’intera somma finanziata, ritenuta dalla Corte d’appello sostanzialmente riconducibili alle somme portate dalle fatture risultate false o comunque a ll’indicazione di importi non corrispondenti a spese effettivamente sostenute, perché il giudice avrebbe dovuto tenere conto delle modalità previste per l’erogazione oltre che del fatto che il finanziamento copriva metà delle spese sostenute.
Con il quinto motivo di ricorso è dedotta ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 96, comma 3,
c.p.c. e dell’art. e dell’art. 2909 c.c. oltreché delle regole in tema di identificazione dell’azione processuale e dei suoi elementi costitutivi.»
Secondo la Confartigianato, la Corte d’appello ha condannato la ricorrente per responsabilità processuale aggravata, dando rilievo al fatto che la stessa fosse risultata già soccombente in un’altra controversia del tutto simile, senza tenere conto che la sentenza non era ancora passata in giudicato e che la stessa Corte d’appello aveva ritenuto di non procedere alla riunione dei due giudizi, risultando la decisione illogica e fondata su argomenti inconferenti, oltre che in violazione dell’art. 2909 c.c.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
2.1. Com’è noto, l a determinazione della volontà delle parti nella stipulazione di un contratto costituisce un’attività di valutazione di fatto demandata al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità, a meno che non venga dedotta una violazione delle norme che disciplinano l’interpretazione contrattuale o un vizio radicale della motivazione in ordine alla ricostruzione della volontà negoziale. Pertanto, il ricorrente, che si duole di un’errata interpretazione del contratto in sede di merito, deve non solamente richiamare con specificità le disposizioni legali di interpretazione presumibilmente violate (artt. 1362 e ss. c.c.), ma anche delineare in che modo il giudice di merito si sia allontanato dai canoni legali o, se è dedotto il vizio di motivazione, abbia fondato la propria decisione su ragionamenti non logici o manifestamente carenti. Non è ammessa, in sintesi, una censura che si configuri come una semplice diversa lettura dei fatti già esaminati dal giudice di merito (v. da ultimo Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 35277 del 31/12/2024; Cass., Sez. L, Ordinanza n. 25115 del 18/09/2024; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 23258 del 28/08/2024).
Lo stesso principio vale per l’interpretazione di un atto amministrativo, quale è il bando per la concessione di un finanziamento, in relazione al quale, trattandosi di atto unilaterale, assume particolare
rilievo il canone ermeneutico del senso letterale (Cass., Sez. L., Ordinanza n. 31422 del 03/11/2021).
2.2. Nel caso di specie, il Giudice di merito ha operato una interpretazione delle clausole della Convenzione intercorsa tra la Confartigianato e la Unioncamere e delle previsioni contenute nel bando relativo al finanziamento in questione, cui la parte, pur facendo valere la violazione di legge, peraltro in riferimento a norme diverse da quelle relative all’interpretazione dei contratti , ha semplicemente contrapposto la propria diversa interpretazione, così operando una inammissibile censura attinente al merito dell’interpretazione operata.
2.3. Anche la ritenuta violazione delle regole di riparto dell’onere probatorio si sostanzia in una censura inammissibile, non avendo il ricorrente colto la ratio della decisione, che non ha respinto l’eccezione di difetto di legittimazione attiva e passiva in ragione della mancata prova dei fatti fondanti l’eccezione stessa, ma ha operato un’interpretazione della menzionata Convenzione e del bando in questione che ha portato ad escludere la fondatezza della doglianza.
3. Il secondo motivo è infondato.
Nella sentenza della Corte d’appello si legge quanto segue: «Quanto alle ipotesi di revoca del finanziamento, appare, a questa Corte oltremodo pretestuosa la tesi di parte appellante secondo cui la causa per la revoca del contributo individuata dall’amministrazione non rientrerebbe in alcuna ipotesi tassativa prevista; invero l’art 14 del bando prevede che “il finanziamento potrà essere revocato, integralmente o parzialmente, qualora il proponente ( … ) non adempia agli altri obblighi imposti dal presente bando”, di tal ché la presentazione di una rendicontazione fondata su fatture false o non corrispondenti alle spese sostenute ben può rappresentare un’ipotesi di violazione degli obblighi imposti dal bando. Pertanto, a fronte di un inadempimento degli obblighi primari imposti dalla legge speciale la revoca totale del finanziamento da parte della Pubblica Amministrazione risulta essere un atto, oltre che doveroso, conforme al bando stesso.»
Come sopra evidenziato, il ricorrente ha riportato per intero il decreto regionale con il quale è stato revocato il finanziamento, ove è chiaramente spiegato: che all’esito dell’ attività di verifica della Guardia di finanza , quest’ultima aveva tramesso alla Regione il verbale di costatazione redatto il 20/11/2012, dal quale risultava la «indebita percezione di finanziamenti pubblici da parte dell’associazione stessa per il progetto RAGIONE_SOCIALE per un importo complessivo di euro 52.969,02» , specificate con riferimento alle due note di credito per storno della RAGIONE_SOCIALE e alle 11 fatture relative a consulenze legali indirizzate ad un soggetto diverso dalla ricorrente (RAGIONE_SOCIALE); che la ricorrente aveva depositato le proprie controdeduzioni , all’esito dell a cui lettura la Regione aveva chiesto alla Unioncamere eventuale documentazione integrativa relativa alle spese sostenute depositata dalla Confartigianato, che però risultava assente; che per tali motivi è stato revocato per intero il finanziamento concesso (p. 18-20 del ricorso per cassazione).
È pertanto evidente che le ragioni dell’operata revoca, considerate dalla Corte d’appello sono le stesse indicate nel decreto regionale.
Né può ritenersi che tali ragioni non possano essere ricondotte nelle ipotesi di revoca menzionate nell’art. 14 del bando, richiamato proprio nel decreto regionale, quale mancato adempimento degli obblighi derivanti dal bando, posto che il finanziamento era stato previsto per coprire il 50% delle spese per la realizzazione del progetto finanziato, che ovviamente devono essere effettive, come evidenziato proprio dalla Corte d’appello.
Il terzo motivo è inammissibile in ogni suo profilo.
4.1. Nella sentenza della Corte d’appello si legge quanto segue: «Nel caso di specie, invece, Confartigianato non solo non ha prodotto giustificativi correlati alla rendicontazione, ma gli unici documenti presentati ad Unioncamere in un primo momento e consegnati poi alla Guardia di Finanza sono risultati falsi o non corrispondenti a spese realmente sostenute; inoltre, chiamata ad interloquire sul punto, l’appellante non ha né smentito il contenuto del verbale di contestazione
della Guardia di Finanza, né contestato nel merito gli addebiti mossi dall’amministrazione e nemmeno allegato documenti che provassero il corretto utilizzo del finanziamento, ma si è limitata a rilevare che: ” … i progetti per i quali quei finanziamenti sono stati concessi hanno correttamente e puntualmente avuto luogo e la segnalazione del l’ indagine della polizia tributaria non costituisce accertamento di responsabilità o comportamenti illegittimi e meno che mai confutazione di insussistenza dell’oggetto proprio del finanziamento di scopo. Ne consegue che la pretesa restitutoria da voi anticipata è priva di fondamento giuridico opponibile e contraria alle determinate assunte, agli affidamenti di diritto ingenerali e ai costi sostenuti … “(cfr. doc. 10 fasc. Regione , controdeduzione dell’avv. COGNOME del 7/2/13).»
Come si evince dalla statuizione appena riportata, la Corte d’appello non ha attribuito alla constatazione della Guardia di finanza alcun valore privilegiato, ma ha tenuto conto che, a fronte dei fatti riscontrati dalla Guardia di Finanza (lo storno di fatture prima utilizzate per indicare le spese da sostenere per compiere l’attività finanziata e il computo, quali spese, di fatture per consulenze legali effettuate che risultavano effettuate a un altro ente), la Confartigianato in sede amministrativa ed anche in sede giurisdizionale non ha smentito il contenuto del verbale di contestazione, né ha contestato nel merito gli addebiti mossi e nemmeno ha offerto documenti che provassero il corretto utilizzo del finanziamento, limitandosi a dedurre che il progetto era comunque stato realizzato e che il verbale della Guardia di Finanza non costituiva accertamento della responsabilità.
Ciò che la Corte d’appello ha considerato, in sintesi, non sono state le valutazioni della Guardia di Finanza, ma i fatti derivanti dalla documentazione contabile acquisita, valutati come prova del fatto che alcune spese indicate per la realizzazione del progetto in realtà non erano tali (perché non sostenute o riferite a consulenze prestate ad altro ente), senza che la Confartigianato avesse allegato e provato in contrario.
Né è ravvisabile alcuna violazione del riparto dell’onere della prova, tenuto conto che la decisione non ha posto a carico della Confartigianato le conseguenze di una omessa prova, ma ha valutato le emergenze contabili acquisite con le verifiche della Guardia di Finanza, quale prova della non riconducibilità di alcune spese alla realizzazione del progetto, non contrastata da allegazioni o prove contrarie, proprio nel pieno rispetto del disposto dell’art. 2967 c.c.
Anche la doglianza riferita alla mancata ammissione delle prove testimoniali è da ritenersi inammissibile, non risultando specifica, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., tenuto conto che la parte ha dedotto la rilevanza delle prove richieste, senza riportare i relativi capitoli, ai fini di una generica dimostrazione della consegna dei documenti giustificativi delle spese confluite nella relazione di rendicontazione, mentre, come sopra evidenziato, la materia del contendere non ha riguardato la generica presentazione dei documenti giustificativi delle spese indicate nel rendiconto, quanto piuttosto l’ effettiva destinazione delle spese indicate nel rendiconto alla realizzazione del progetto finanziato, con particolare riferimento a quelle oggetto di storno da parte della RAGIONE_SOCIALE e a quelle relative alle consulenze legali che risultavano effettuate in favore di un altro ente.
5. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
La ricorrente ha censurato la decisione della Corte d’appello nella parte in cui ha ritenuto corretta la revoca dell’intero finanziamento , e non la revoca parziale dello stesso, ma non ha indicato in virtù di quale previsione normativa o di bando la stessa avrebbe potuto esigere una risoluzione solo parziale.
Gli argomenti riferiti alla procedura di erogazione del finanziamento, disciplinata d all’art. 13 del bando , sono infatti del tutto inconferenti, poiché la revoca del beneficio, con le conseguenti restituzioni, regolata dall’art. 14 del bando, è correlata ad evenienze del tutto diverse dal fisiologico svolgimento del rapporto.
La ricorrente ha ipotizzato una corrispondenza con la procedura di finanziamento, senza evidenziare fonti normative o disposizioni del bando che potessero giustificare tale ricostruzione.
C ome più volte evidenziato dalla stessa ricorrente l’art. 14 del bando prevedeva semplicemente quanto segue: «Il finanziamento potrà essere revocato, integralmente o parzialmente, qualora il proponente non realizzi il progetto o non presenti le relative rendicontazioni entro i termini previsti o non adempia agli altri obblighi imposti dal presente bando. Regione Lombardia e Unioncamere Lombardia si riservano di effettuare ispezioni e controlli al fine di verificare il corretto utilizzo delle somme erogate. Qualora essi diano esiti negativi, eventuali somme già erogate dovranno essere restituite con la maggiorazione di interessi pari all’interesse legale maggiorato del 5%, da calcolarsi dalla data dell’erogazione fino a quella della restituzione.»
Una volta decisa la revoca totale del finanziamento è, pertanto, conseguenza necessaria la restituzione dell’intero importo finanziato.
La censura si sostanzia nella dedotta erroneità e illogicità della soluzione adottata dal la Corte d’appello, sulla base di argomenti che non trovano nella legge o nel bando supporto, ma che rispecchiano una valutazione in fatto semplicemente diversa da quella operata prima dall’Amministrazione e poi anche dal giudice di merito.
Il quinto motivo di ricorso è infondato.
6.1. La Corte d’appello , nell’ esaminare i motivi di gravame ha palesemente rappresentato la ritenuta natura pretestuosa delle censure mosse (v. p. 9 e 10 della sentenza impugnata), illustrando le ragioni della decisione senza evidenziare aspetti di complessità, per poi statuire quanto segue: «A tutto quanto fin qui esposto la Corte aggiunge che aveva già avuto occasione di rigettare pretese del tutto simili a quelle avanzate in questo giudizio in un procedimento tra le stesse parti ed avente il medesimo oggetto, ossia la revoca di un altro finanziamento precedentemente ottenuto da Confartigianato nell’ambito dello stesso bando (Corte d’Appello di Milano, sentenza n. 3309/2018). Quest’ultima
notazione rende ancor più evidente la pretestuosità del presente gravame cosi che si giustifica la condanna dell’appellante ai sensi dell’ art. 96/3 c.p.c.»
6.2. Questa Corte ha già evidenziato che la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. richiede un accertamento -da effettuarsi caso per caso e in base al parametro indefettibile della correttezza, distinto da quella della lealtà -dell’esercizio ad opera della parte soccombente delle sue prerogative processuali in modo abusivo, cioè senza tener conto degli interessi confliggenti in gioco, sacrificandoli ingiustificatamente o sproporzionatamente in relazione all’utilità effettivamente conseguibile, da desumersi in termini oggettivi dagli atti del processo o dalle condotte processuali, senza che il giudizio sulla antigiuridicità della condotta processuale possa farsi derivare automaticamente dal rigetto della domanda o dalla inammissibilità o dall’infondatezza della impugnazione (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 26545 del 30/09/2021, n. 26545; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 15232 del 30/05/2024).
Questa stessa Corte ha, poi, precisato che la condanna per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. non può essere fondata sul mero aggravamento del carico giudiziario dell’ufficio che l’introduzione della lite ha contribuito a determinare, essendo necessario individuare a tal fine la specifica condotta abusiva da imputare al soggetto soccombente, così come si verifica nel caso di insistenza colpevole in tesi giuridiche già reputate manifestamente infondate dal primo giudice, ovvero in censure della sentenza impugnata la cui inconsistenza giuridica avrebbe potuto essere apprezzata dall’appellante in modo da evitare il gravame, nonché in ipotesi di abuso del processo, di proposizione di una impugnazione dai contenuti estremamente distanti dal diritto vivente e dai precetti del codice di rito e, ancora, in ipotesi di errori grossolani nella redazione dell ‘ impugnazione (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 34429 del 25/12/2024).
6.3. Nel caso di specie, la Corte d’appello , con una valutazione in fatto insindacabile in sede di legittimità ha ritenuto pretestuose e
suscettibili di facile rigetto le censure mosse, ritenendo che la consapevolezza dell ‘ infondatezza delle ragioni poste a fondamento delle stesse in capo alla Confartigianato derivasse anche dal fatto che quest’ultima aveva promosso un analogo giudizio, riferito alla revoca di un altro finanziamento ottenuto in relazione allo stesso bando, che era stato ugualmente respinto dalla stessa Corte d’appello prima che venisse decisa in secondo grado la presente controversia.
È evidente, pertanto che nessun rilievo assume la mancata riunione dei due procedimenti o il mancato passaggio in giudicato della statuizione in precedenza assunta, poiché la precedente statuizione della Corte d’appello è stata considerata dalla Corte territoriale come conferma della ritenuta consapevolezza della pretestuosità delle doglianze, certamente infondate, in virtù di una valutazione in fatto non sindacabile in sede di legittimità (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 15232 del 30/05/2024).
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
La statuizione sulle spese segue la soccombenza.
Come sopra evidenziato, è configurabile la responsabilità processuale aggravata quando l ‘inconsistenza giuridica delle censure avrebbe potuto essere apprezzata dall’appellante in modo da evitare il gravame, oltre che in caso di proposizione di una impugnazione dai contenuti estremamente distanti dal diritto vivente e dai precetti del codice di rito e nell’ ipotesi di errori grossolani nella redazione dell ‘ atto (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 34429 del 25/12/2024).
Nel caso di specie, sussistono, anche nel presente giudizio, i presupposti per la condanna della ricorrente ex art. 96, comma 3, c.p.c., nella misura indicata in dispositivo, tenuto conto dei criteri appena indicati e considerato che, nella specie i motivi di doglianza, per gran parte, non hanno superato il vaglio di ammissibilità in base ragioni evidenti e, per il resto, sono risultati palesemente infondati , all’esito di un giudizio che non poteva non essere prevedibile.
Ai sensi del l’art. 13, comma 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite sostenute dalla controricorrente che liquida in € 7.000,00 per compenso, oltre € 200 ,00 per esborsi e accessori di legge;
condanna la ricorrente al pagamento d ell’ulteriore somma di € 7.000,00 in favore della controricorrente a titolo di responsabilità aggravata;
dà atto, ai sensi del l’art. 13, comma 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile