Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21747 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21747 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 22175/2022 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, ed elettivamente domiciliata in Roma, nel loro studio, INDIRIZZO, giusta procura speciale alle liti in calce al ricorso -ricorrente –
contro
Regione Abruzzo, in persona del legale rappresentante pro tempore, COGNOME, in persona del legale rappresentante pro tempore
-intimati – avverso la sentenza della Corte di appello di L’Aquila n . 235/2022, depositata in data 14 febbraio 2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4/6/2024 dal AVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME chiedeva di essere ammessa a beneficiare del contributo nell’ambito del DOCUP Abruzzo 2000-2006, progetti integrati territoriali (PIT) in regime di aiuto a sostegno della micro imprenditorialità in aree protette – nell’ambito aquiliano – per svolgere RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE extra-RAGIONE_SOCIALE da esercitare in un immobile di proprietà di essa istante sito nel Comune di Campotosto.
Il contributo in conto capitale era pari al 50% del costo totale dell’investimento, fino ad un massimale di euro 100.000, con accollo da parte dello Stato, della UE e della Regione Abruzzo.
Veniva approvata la graduatoria definitiva, con la determinazione dirigenziale del 1/7/2003, e con assegnazione alla ricorrente di un contributo pari ad euro 99.960,00.
L’intervento veniva iniziato in data 3/5/2004 con erogazione da parte della Regione della somma di euro 49.980,00, con il provvedimento del 30/9/2004.
Dopo il sisma del 6/4/2009 la Regione con la delibera n. 599 del 26/10/2009 (prima proroga), «in considerazione che l’intervento dell’esponente, e quelli delle altre ditte ammessa al finanziamento, erano stati ultimati, ma che a seguito del sisma hanno riportato ingenti danni», stabiliva di scindere il momento conclusivo del programma, e quindi la relativa erogazione del saldo, da quello amministrativo-abilitativo all’esercizio dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, con modificazione del bando iniziale, a condizione però che le ditte beneficiarie dei finanziamenti «presentassero dichiarazione di impegno a regolarizzare la propria posizione amministrativa entro e non oltre 12 mesi dalla ricezione del saldo, con la costituzione di
idonea fideiussione bancaria o polizza assicurativa e dichiarazione personale di impegno alla iscrizione presso la RAGIONE_SOCIALE» (cfr. ricorso per cassazione).
Con la delibera n. 160 del 7/3/2011 la Giunta regionale, preso atto dell’impossibilità delle ditte beneficiarie dei finanziamenti di iscriversi presso la RAGIONE_SOCIALE, data l’inagibilità degli immobili, differiva di ulteriori 12 mesi il termine per tale iscrizione, dietro presentazione di domanda di proroga, «contenente impegno alla iscrizione presso la RAGIONE_SOCIALE».
Veniva concessa dunque la proroga fino alla 19/2/2012.
Con la successiva delibera n. 151 del 12/3/2012 (terza proroga) la Giunta regionale abruzzese disponeva l’ulteriore proroga di un anno, sempre dietro presentazione della relativa domanda, contenente la dichiarazione di impegno dell’interessata ed il rinnovo della polizza fideiussoria.
Veniva, dunque concessa l’ulteriore proroga sino alla 30/6/2013. Il dirigente del servizio pianificazione territoriale della Regione con diffida del 14/6/2013 invitava la ricorrente a definire la proposizione esibendo la documentazione mancante, ossia «iscrizione alla RAGIONE_SOCIALE l’RAGIONE_SOCIALE» entro il 30/6/2013, a pena in difetto della revoca del finanziamento.
Il dirigente del servizio con la determinazione del 4/7/2013 disponeva la revoca del finanziamento ed ordinava alla COGNOME di restituire l’importo di euro 69.544,41.
Il Tar Abruzzo dichiarava il proprio difetto di giurisdizione riguardo alla domanda di annullamento della determinazione delle 4/7/2013 del dirigente del servizio pianificazione territoriale della Regione
Il tribunale rigettava la domanda.
4. La Corte d’appello di L’Aquila respingeva il gravame proposto dalla COGNOME.
In particolare, la Corte territoriale evidenziava che la tesi dell’appellante, secondo cui nessun inadempimento imputabile può esserle ascritto per effetto del sopraggiunto evento sismico, da intendersi quale causa di forza maggiore, non poteva essere condivisa, «una volta chiarita la rilevanza sostanziale dell’inadempimento appena ricordato (la mancata documentazione dell’attuale esercizio dell’impresa finanziata) e l’assenza di qualsiasi elemento che consenta di ravvisare quale causa del medesimo, intervenuto nel giugno 2013, il sisma verificatosi nel 2009».
Inoltre, il giudice d’appello asseriva che «non vi è idonea prova (non solo della effettiva realizzazione-tempestiva o meno-degli interventi edilizi sugli immobili da destinare all’RAGIONE_SOCIALE imprenditoriale, ma soprattutto e comunque, dell’effettivo danneggiamento degli immobili de quibus in conseguenza dell’evento sismico e della impossibilità di porvi rimedio per inerzia o ritardi delle autorità competente alla ricostruzione, trattandosi di circostanze la cui dimostrazione è stata affidata a mere dichiarazioni del progettista direttore dei lavori (peraltro prodotte dalla Regione appellata e non dall’appellante), del tutto inidonee a ricondurre la mancata produzione dell’attestato di vigenza (o meglio: il mancato inizio dell’RAGIONE_SOCIALE recettizi ex RAGIONE_SOCIALE alla data del 30/6/2013) a cause non imputabili alla odierna appellata».
Del resto, la Regione aveva concesso ripetute proroghe per la consegna della documentazione amministrativa richiesta, proprio in considerazione del sisma del 6/4/2009, ma la COGNOME non aveva documentato la «vigenza della propria impresa».
Infatti, aggiunge la Corte d’appello «né alla data dell’intervenuta revoca, né successivamente nel corso del giudizio, la COGNOME ha
provato (e neanche allegato, in verità) di aver avviato le pratiche per la ricostruzione per i danni occorsi a seguito del sisma, limitandosi ad allegare la conclamata lentezza degli organi pubblici».
Tanto più, che dalle dichiarazioni del progettista direttore dei lavori risultava «che solo uno dei due immobili oggetto degli interventi finanziati sia stato danneggiato dal sisma», sicché non poteva desumersi che l’inizio dell’RAGIONE_SOCIALE e la sua certificazione fossero stati resi impossibili dalle conseguenze del sisma.
Precisa ancora la Corte territoriale che «per – come l’appellante sostiene – alla data del sisma gli interventi edilizi erano già stati compiuti, non viene chiarita la ragione per la quale l’iscrizione dell’impresa e l’inizio dell’RAGIONE_SOCIALE non avessero avuto, allora, luogo».
Chiariva, poi, il giudice d’appello, che la COGNOME, in occasione della richiesta di saldo e delle successive richieste di proroga del termine, aveva sottoscritto dichiarazioni di impegno alla iscrizione camerale ed alla sua documentazione tramite certificato di vigenza, entro i termini di volta in volta prorogati «senza tuttavia adempiere all’impegno, assunto ben dopo la verificazione del sisma, e senza in alcun modo dimostrare di essersi trovata nell’impossibilità di adempiere (cioè di iniziare l’RAGIONE_SOCIALE imprenditoriale e di documentarlo mediante certificato camerale diligenza) per effetto delle conseguenza del sisma medesimo, peraltro a lei già note allorché sottoscrisse le ricordate dichiarazioni di impegno».
Tra l’altro, l’adempimento dell’incombenza relativa al certificato di vigenza non era solo formale, in quanto proprio per la ratio del contributo, di aiuto e sostegno alla micro imprenditorialità in aree protette, gli interventi erano finanziati «in quanto destinati all’RAGIONE_SOCIALE imprenditoriale», sicché era essenziale «che il destinatario documentasse che gli interventi in questione fossero destinati
all’esercizio dell’RAGIONE_SOCIALE imprenditoriale, in essere proprio grazie ad essi».
Anche nelle reiterate proroghe si specificava la necessità di dichiarazione di impegno ad ottenere «il certificato di vigenza dell’impresa».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione, seguito da memoria, NOME COGNOME.
Sono rimaste intimate la Regione Abruzzo e la COGNOME.
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
Sarebbe erronea, in quanto operata in violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., l’affermazione della Corte d’appello per cui la COGNOME non avrebbe prodotto documentazione idonea a comprovare di aver avviato le pratiche per la ricostruzione per i danni prodotti dal sisma, né alla data dell’intervenuta revoca, né successivamente, in corso di causa.
Sarebbe, dunque, pacifico «che l’immobile della ricorrente era inagibile alla data del 30/6/2013, nella quale era ancora in itinere l’approvazione del piano di ricostruzione comunale».
A fondamento dei provvedimenti di proroga della Regione sino alla 30/6/2013 vi era proprio la «inagibilità dell’immobile provocata dal sisma del 6/4/2009».
In realtà, proprio la Regione aveva tenuto conto della inagibilità degli immobili conseguente ai danni prodotti dal sisma, per concedere le proroghe protrattesi poi sino al 30/6/2013.
La ragione delle proroghe era costituita dalla «mancata approvazione del piano di ricostruzione» che, nei comuni del ‘cratere sismico’, costituiva «lo strumento di pianificazione primaria», in assenza del quale non era possibile, per i proprietari degli immobili danneggiati, predisporre i progetti da sottoporre agli uffici speciali deputati alla concessione di contributi pubblici.
Era, dunque, incontroverso che l’immobile oggetto dell’intervento era ancora inagibile in seguito al sisma che lo aveva danneggiato, mentre l’unica motivazione del provvedimento di revoca consisteva «nella mancata attivazione alla data del giugno 2013 dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE».
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della «violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
Il tribunale di L’Aquila aveva ritenuto legittimo il comportamento della Regione in quanto, nonostante le proroghe concesse, alla data del 30/6/2013 la ricorrente risultava ancora «inattiva», per cui era incorsa nella violazione dell’obbligo di inizio dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Con il motivo d’appello la COGNOME aveva evidenziato che era pacifico che l’immobile da ristrutturare con il finanziamento era stato gravemente danneggiato e reso inagibile dal sisma del 6/4/2009.
Trattavasi, dunque, di causa di forza maggiore, sicché la Regione avrebbe dovuto escludere la sussistenza dell’inadempimento.
Nella specie, però, lo scopo perseguito con la concessione del contributo era stato pienamente realizzato «essendo irrilevante la mancata produzione del certificato di vigenza rilasciato dal RAGIONE_SOCIALE, trattandosi di un mero adempimento formale, sicuramente non essenziale ai fini della verifica dell’attuazione del progetto ammesso a contributo».
Ciò sarebbe dimostrato dalla delibera n. 599 del 26/10/2009 con la quale si consentiva l’erogazione del contributo «anche nelle more del perfezionamento degli atti abilitativi all’esercizio dell’RAGIONE_SOCIALE».
Lo scopo della norma peraltro era stato raggiunto in quanto i lavori di riattamento del fabbricato erano stati ultimati prima del sisma del 6/4/2009.
Il ricorso è inammissibile.
3.1. In primo luogo, il ricorso non si appalesa come autosufficiente, in quanto tutti i documenti elencati nei motivi di ricorso non risultano trascritti, neppure per stralcio, non consentendo a questa Corte di comprendere appieno le doglianze della ricorrente.
Quanto al riferimento alla mancata approvazione del «Piano di ricostruzione», non è in alcun modo indicato né il contenuto del piano, né l’anno in cui è stato approvato.
3.2. Inoltre, trattandosi di una «doppia decisione conforme» non vi è spazio per il vizio di motivazione di cui all’art. 348ter c.p.c., nella versione vigente ratione temporis, come declinata dal decretolegge n. 83 del 2012, convertito in legge n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze emesse a partire dall’11 settembre 2012.
Solo nominalmente la ricorrente deduce vizi di violazione di legge, ma, in realtà chiede la rivalutazione del materiale istruttorio, già compiutamente effettuata dai giudici di merito, non consentita in questa sede.
Inoltre, la sentenza della Corte d’appello poggia su distinte rationes decidendi , tutte idonee a sorreggere la motivazione, relativa alla legittimità del provvedimento di revoca del finanziamento.
La Corte territoriale, infatti, evidenzia la legittimità della revoca del finanziamento per varie ragioni: a) mancata documentazione dell’attuale esercizio dell’impresa finanziata; b) assenza di qualsiasi
elemento che consenta di ravvisare quale causa dell’inadempimento il sisma verificatosi nel 2009; c) assenza di idonea prova della effettiva realizzazione – tempestiva o meno – degli interventi edilizi sugli immobili da destinare all’RAGIONE_SOCIALE imprenditoriale; d) assenza di prova dell’effettivo danneggiamento degli immobili in conseguenza dell’evento sismico; e) assenza di prova della impossibilità di porvi rimedio per inerzia o ritardi delle autorità competente la ricostruzione, anche per l’inidoneità delle «mere dichiarazioni del progettista direttore dei lavori» a fornire la dimostrazione; f) mancata dimostrazione di aver avviato le pratiche per la ricostruzione per i danni occorsi a seguito del sisma, limitandosi la ricorrente «ad allegare la conclamata lentezza degli organi pubblici»; g) solo uno dei due immobili oggetto degli interventi finanziati era stato danneggiato dal sisma «sicché l’inizio dell’RAGIONE_SOCIALE e la sua certificazione amministrativa non sembra siano stati resi impossibili dalle conseguenze del sisma»; h) la ricorrente ha assunto l’impegno alla iscrizione camerale ben dopo la verificazione del sisma; i) essenzialità della certificazione della RAGIONE_SOCIALE in ordine all’iscrizione dell’impresa, trattandosi di adempimento essenziale per il destinatario dei fondi pubblici, i quali erano diretti proprio all’esercizio di RAGIONE_SOCIALE imprenditoriali.
Dinanzi alle molteplici rationes decidendi indicate alla Corte d’appello la ricorrente si è limitata ad allegare – oltre alla derivazione dell’inagibilità dal sisma del 6/4/2009 costituente fatto non contestato – la «mancata approvazione del piano di ricostruzione», che avrebbe impedito ai proprietari di «predisporre i progetti da sottoporre agli uffici speciali deputati alla concessione dei contributi pubblici necessari per l’esecuzione degli interventi di ripristino dell’agibilità del patrimonio edilizio gravemente danneggiato dal sisma del 6/4/2009».
La ricorrente ha poi contrastato l’affermazione della Corte d’appello per cui la mancata produzione del certificato di vigenza rilasciato dalla RAGIONE_SOCIALE costituiva un «mero adempimento formale».
Per questa Corte, dunque, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, “in toto” o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, che pur essendo stata impugnata, sia respinta, perché il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (Cass., sez. 1, 27 luglio 2017, n. 18641; Cass., sez. 1, 18 aprile 1998, n. 3951; Cass., sez. 1, 18 settembre 2006, n. 20118; Cass., sez.un., 8 agosto 2005, n. 16602).
Invero, il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali
logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali ” rationes decidendi “, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass., sez. L., 4 marzo 2016, n. 4293; Cass., sez.un., 29 marzo 2013, n. 7931).
Inoltre, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti – sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 n. 5 c.p.c. – (Cass., sez. 3, 29 maggio 2018, n. 13395).
Non si provvede sulle spese del giudizio di legittimità in assenza di RAGIONE_SOCIALE difensiva da controparte.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4 giugno 2024