Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7562 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7562 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22668/2023 R.G. proposto da
REGIONE SICILIANA -ASSESSORATO REGIONALE RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore e domiciliata ope legis in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende
-ricorrente –
contro
COMUNE DI ACI CATENA , in persona del Sindaco pro tempore , domicilio digitale c/o PEC EMAIL, rappresentato e difeso da ll’avvocato NOME COGNOME
Oggetto:
Pubblica
Amministrazione
–
Revoca finanziamenti
R.G.N. 22668/2023
Ud. 12/03/2025 CC
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO CATANIA n. 749/2023 depositata il 24/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 12/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 749/2023, pubblicata il 24 aprile 2023, la Corte d’Appello di Catania, nella regolare costituzione dell’appellato COMUNE DI ACICATENA, ha respinto l’appello proposto dall’ASSESSORATO REGIONALE DELL’ECONOMIA DELLA REGIONE SICILIANA avverso la sentenza del Tribunale di Catania n. 771/2022, pubblicata in data 16 febbraio 2022.
Quest’ultima, a propria volta, aveva accertato il diritto del COMUNE DI ACICATENA all’erogazione integrale del finanziamento concesso con D.R.G. Regione Siciliana -Assessorato Regionale dell’Economia n. 488 del 12.03.2013 nella misura di € 406.953,19, e quindi all’erogazione della somma residua di € 28.953,19.
Il COMUNE DI ACICATENA aveva adito il Tribunale di Catania, riferendo in fatto che con D.R.G. nn. 488 del 12 marzo 2013 l’Assessorato convenuto aveva ammesso a finanziamento l’operazione proposta dal medesimo COMUNE per un importo complessivo di €. 420.000,00, procedendo alla successiva erogazione di €. 378.000,00, ma successivamente negando l’erogazione della somma finale di €. 26.021,87 ed anzi comunicando l’avvio del procedimento di annullamento del D.R.G. n. 488, di invalidità derivata del disciplinare stipulato il 5/9/2013 e di recupero della quota del finanziamento già
erogata, motivando l’iniziativa con la constatazione di irregolarità nella procedura di pubblicazione del bando.
Aveva ulteriormente riferito che l’ASSESSORATO REGIONALE DELL’ECONOMIA DELLA REGIONE SICILIANA, con D .D.R. n. 49 del 24/4/2017, aveva revocato in autotutela il DRG n. 488, comunicando il recesso dagli obblighi di cui al disciplinare, il recupero della quota già erogata e il disimpegno della somma residua.
Il COMUNE DI ACICATENA aveva quindi dedotto l’illegittimità del D.D.R. n. 49/2017, in quanto adottato dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 21 -nonies , Legge n. 241/1990 e comunque viziato da eccesso di potere e carenza di motivazione.
Costituitosi l’ASSESSORATO REGIONALE DELL’ECONOMIA DELLA REGIONE SICILIANA, il Tribunale di Catania aveva accolto la domanda, rilevando che il provvedimento impugnato era stato adottato in violazione del termine massimo di 18 mesi previsto dall’art. dell’a rt. 21nonies , Legge n. 241/1990, introdotto dall’art. 6, comma 1, lettera d), n. 1), Legge n. 124/2015.
La Corte d’appello, nel disattendere il gravame dell’ASSESSORATO REGIONALE DELL’ECONOMIA DELLA REGIONE SICILIANA ha osservato, in sintesi, che erano infondate le deduzioni dell’appellante in ordine all’applicabilità dell’art. 57 del Regolamento CE n. 1083 dell’11 luglio 2006, essendo quest’ultimo finalizzato ad assicurare la stabilità dei progetti finanziati, laddove nel caso in esame a venire in rilie vo era l’esigenza di sottrarre i beneficiari dei fondi europei al rischio senza limiti di tempo di una revoca dei fondi medesimi , esigenza tutelata appunto dall’art. 21 -nonies, Legge n. 241/1990, richiamata dal giudice di prime cure.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Catania ricorre l’ASSESSORATO REGIONALE DELL’ECONOMIA DELLA REGIONE SICILIANA.
Resiste con controricorso il COMUNE DI ACICATENA.
In data 24 gennaio 2024, il Consigliere delegato, ha formulato proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c. segnalando la inammissibilità del ricorso.
A detta proposta ha fatto seguito istanza della parte ricorrente per la definizione del giudizio.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Nella proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c. -cui si può rinviare anche per la sintesi dei motivi di ricorso -si osserva testualmente:
‘(…) Con unico motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n.3, c.p.c., dell’art. 21 nonies l. n. 241/1990.
Il motivo presenta profili di inammissibilità misti a profili di infondatezza.
Da un lato, il ricorrente introduce un profilo di censura nuovo diverso dall’unico motivo di appello con il quale aveva sostenuto che la legislazione europea, e segnatamente l’art.57 del regolamento CE n. 1083 dell’11 luglio 2006, prevede che il potere di revoca per i fondi europei, quale è quello di specie, permane per il quinquennio successivo al provvedimento di concessione del beneficio, allorché afferma «Lo Stato membro o l’autorità di gestione accertano che la partecipazione dei fondi resti attribuita ad un’operazione comprendente
investimenti in infrastrutture o investimenti produttivi esclusivamente se quest’ultima, entro cinque anni dal completamento dell’operazione, non subisca modifiche sostanziali causate da un cambiamento nella natura della proprietà di un’infrastruttura o dalla cessazione di un’attività produttiva e che alterino la natura o le modalità d’esecuzione dell’operazione o procurino un vantaggio indebito a un’impresa o a un ente pubblico.» Disposizione, questa, ritenuta inapplicabile alla fattispecie dai giudici del merito, con statuizione non censurata.
D’altra parte, il ricorrente assume, peraltro in modo del tutto generico, che la disciplina dell’annullamento d’ufficio del provvedimento amministrativo di cui all’art.21 nonies della legge 241 del 1990 e s.m.i.- e di conseguenza i relativi termini – non si applicherebbe a un provvedimento di carattere sanzionatorio e non spiega per quali ragioni il provvedimento impugnato con cui l’amministrazione ha inteso sanzionare irregolarità nella procedura dovrebbe sottrarsi alle regole in tema di annullamento officioso del provvedimento amministrativo.’ .
La proposta di definizione ex art. 380-bis c.p.c. deve trovare conferma.
2.1. Si deve, infatti, rilevare che, come rilevato nella proposta, il motivo di ricorso non solo viene a dedurre -in modo radicalmente inammissibile -un profilo che appare comunque nuovo rispetto a quanto dedotto in sede di appello ma anche deduce la violazione e falsa applicazione de ll’art. 21nonies , Legge n. 241/1990 in modo sostanzialmente assertivo, omettendo di sviluppare specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, volte a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse
fornite dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016), ed anzi esondando in modo inammissibile con le proprie argomentazioni in profili di mero fatto.
2.2. Si osserva, anzi, che vi è un ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso che deve essere rilevato in questa sede, e cioè il fatto che il ricorso viene a basarsi su presupposto radicalmente diverso da quello accertato dal giudice di merito.
Mentre, infatti, la Corte d’appello confermando il giudizio del Tribunale -ha ritenuto che il provvedimento adottato dalla stessa ricorrente dovesse essere qualificato come revoca, il ricorso, per contro, viene a dedurre -peraltro ‘ i n linea preliminare’ , in modo generico e, come visto in precedenza, senza evidenziare concretamente la fallacia del ragionamento seguito dalla decisione impugnata -la ‘ natura sostanzialmente decadenziale ‘ del provvedimento, senza che, tuttavia, l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia reso oggetto di specifica impugnazione, limitandosi la ricorrente ad opporre in via apodittica una diversa qualificazione all’accertamento medesimo.
2.3. Si deve, del resto, dare atto che la ricorrente, pur avendo depositato istanza di decisione ex art. 380bis c.p.c., non si è neppure avvalsa della facoltà di deposito di memoria ex art. art. 380bis. 1 c.p.c.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Avendo questa Corte deciso in conformità della proposta, deve trovare applicazione l’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., il quale richiama, in caso di decisione conforme alla proposta, il disposto di cui
all’art. 96, terzo e quarto comma, c.p.c. con la conseguente condanna ulteriore della ricorrente soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata nonché, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma di denaro non inferiore ad € 500,00 e non superiore ad € 5.000,00, somme che si liquidano come da dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 6.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente , della somma equitativamente determinata in € 6.000,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di € 2.500,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima