Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25649 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25649 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3644/2023 R.G. proposto da : COGNOME difeso dagli avvocati COGNOME e COGNOME
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME difesa da ll’avvocato COGNOME
; -controricorrente e ricorrente incidentale- avverso ORDINANZA di TRIBUNALE PIACENZA n. 48/2022 depositata il 13/01/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il giudizio trae origine da una complessa vicenda processuale iniziata con un decreto di liquidazione compensi del 12/12/2017 del Tribunale di Piacenza in favore del notaio NOME COGNOME incaricata della vendita immobiliare nel procedimento esecutivo promosso da NOME COGNOME. Contro tale decreto il COGNOME proponeva
opposizione, cui faceva seguito, tuttavia, la revoca d’ufficio dello stesso decreto da parte del giudice dell’esecuzione, che emanava un nuovo decreto di liquidazione, in misura superiore a quella originaria. Il Tribunale dichiarava improcedibile l’opposizione avverso il primo decreto, in ragione della sopravvenuta revoca, e respingeva anche l’opposizione proposta avverso il secondo decreto. Dopo una prima dichiarazione di inammissibilità del ricorso in cassazione avverso la pronuncia di improcedibilità (Cass. n. 32062/2021), questa Corte (Cass. n. 36340/2021) accoglieva invece il successivo ricorso, proposto contro l’ordinanza di rigetto dell’opposizione al secondo decreto, stabilendo l’illegittimità della revoca d’ufficio del primo decreto e l’invalidità radicale del secondo emesso dal giudice dell’esecuzione. In sede di rinvio, il Tribunale, con ordinanza in epigrafe, dichiarava la nullità del decreto di liquidazione del 24/05/2019 e l’efficacia definitiva e originaria del primo decreto del 12/12/2017, condannando il notaio a restituire la differenza rispetto le somme liquidate. Le spese venivano integralmente compensate tra le parti.
Contro tale ordinanza ricorre in cassazione NOME COGNOME con quattro motivi. NOME COGNOME resiste con controricorso contenente anche ricorso incidentale con un motivo, illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo di ricorso principale deduce la nullità del provvedimento per violazione degli artt. 190 c.p.c. e 111 Cost., dovuta alla mancata concessione dei termini per comparsa conclusionale e replica. Il ricorrente fa valere che, nonostante la sua richiesta specifica in tal senso formulata nelle note scritte, il Tribunale ha deciso la causa immediatamente, senza consentire di replicare alle eccezioni della controparte e alla domanda nuova introdotta in sede di riassunzione dalla stessa controparte.
La parte censurata del provvedimento impugnato è la seguente: « Attesa la natura documentale e su questioni di mero diritto, questo G iudice fissava l’udienza del 21.10.2022 invitando le parti sì a precisare le proprie conclusioni -incombente necessario comunque -ma concedendo termini unicamente per note d’udienza e per istanza di trattazione, essendo udienza in forma c.d. cartolare. Il che probabilmente induceva in equivoco la difesa di parte opponente (COGNOME che, in sede di istanza di trattazione, chiedeva i termini ex art. 190 c.p.c.; con ciò ponendo un problema pratico di non poco momento poiché la questione involgeva quella della forma del provvedimento decisorio, a sua volta dipendente dall’analitica ricostruzione della non semplicissima vicenda processuale intercorsa ».
Il primo motivo è infondato.
In relazione all’opposizione alla liquidazione ex art. 170 D.P.R. n. 115/2002 , l’art. 15 d.lgs. n. 150/2011 richiama il procedimento semplificato di cognizione ex artt. 702-bis e ss. c.p.c. (con specifiche modifiche). Ciò esclude l’applicabilità (automatica) delle disposizioni generali del rito ordinario in tema di scambio di comparse conclusionali e memorie di replica ex art. 190 c.p.c., ferma restando la facoltà del giudice, nell’esercizio dei suoi poteri di direzione del processo, di concedere alle parti termini per tale scambio finale di atti in relazione al grado di complessità della controversia.
Di conseguenza, la mancata concessione di tali termini non determina alcuna violazione di legge, salvo che non si argomenti in modo specifico, preciso e circostanziato che da ciò sia derivata una lesione della garanzia costituzionale del diritto di difesa e del contraddittorio. Nel caso di specie, non si possono cogliere i tratti di una tale specificità e precisione nella doglianza che non sia stato consentito di replicare alle «molteplici eccezioni di controparte e alla nuova domanda da essa formulata» (pertanto, non giova al ricorrente l’accenno di argomentazione che egli svolge sulla base di Cass., Sez. Un., n. 36596 del 2021).
Il primo motivo è rigettato.
2. – Il secondo motivo lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c. per ultrapetizione, avendo il Tribunale deciso sulla reviviscenza del decreto del 12/12/2017, nonostante tale domanda non fosse stata originariamente formulata dalla controparte, ma introdotta solo successivamente, senza possibilità di replica. Si sostiene che il Tribunale di Piacenza avrebbe accolto una domanda nuova, avanzata per la prima volta solo in sede di riassunzione del giudizio, relativa alla dichiarazione di efficacia definitiva del primo decreto di liquidazione compensi del 12/12/2017, già revocato dal giudice dell’esecuzione. Tale domanda, secondo il ricorrente, sarebbe stata tardivamente introdotta, modificando inammissibilmente l’originaria posizione processuale del notaio, e il Tribunale avrebbe pronunciato oltre i limiti delle domande iniziali, senza consentire al ricorrente una tempestiva replica.
Il terzo motivo fa valere la violazione degli artt. 324 c.p.c. e 111 Cost., sostenendo che la revoca del primo decreto fosse passata in giudicato e non potesse quindi più essere rimessa in discussione. Si argomenta che il Tribunale di Piacenza avrebbe errato nel riconoscere la reviviscenza del primo decreto di liquidazione del 12/12/2017, poiché il provvedimento di revoca dello stesso decreto, seppur illegittimo, non era mai stato impugnato e aveva così acquisito l’autorità di cosa giudicata formale, non potendo più essere rimesso in discussione. Il ricorrente aggiunge che tale reviviscenza ha determinato un’ingiusta compressione del proprio diritto di difesa e ha leso il principio costituzionale del giusto processo, causando al medesimo un pregiudizio concreto e ingiusto.
Il secondo e terzo motivo sono da esaminare congiuntamente poiché le questioni che essi sollevano sono due facce della stessa medaglia.
Essi sono infondati.
Per spiegare le ragioni dell’infondatezza conviene muovere da una citazione ampia della parte del provvedimento censurata: « Nel merito le domande della parte riassumente sono infondate e devono essere respinte. Anzitutto, deve escludersi che lo scopo della cassazione con rinvio dell’ ordinanza del Presidente del Tribunale in data 3.6.2020 possa limitarsi alla declaratoria -invocata dalla parte COGNOME -di inesistenza, illegittimità, invalidità e inefficacia del decreto 29.5.19. Se, invero, avesse ritenuto che il procedimento potesse chiudersi con una tale declaratoria, la Suprema Corte non avrebbe cassato con rinvio, ma avrebbe deciso la causa nel merito, come consentito dell’art. 384, co. 2°, c.p.c. Il fatto che la Suprema Corte abbia accolto il ricorso e cassato con rinvio dimostra la necessità che questo Giudice decida il merito della vicenda relativa al compenso del notaio Fiengo per l’attività svolta, e decida in conformità al principio di diritto enucleato dalla Cassazione stessa. Sul punto, posto che non è ipotizzabile che il notaio COGNOME non abbia diritto ad alcun compenso per la sua attività di ausiliario del giudice dell’esecuzione non si sfugge all’irredimibile alternativa: (a) o deve ritenersi la nullità di entrambi i decreti di liquidazione (quello del 12.12.2017, oggetto del separato giudizio di opposizione, conclusosi con l’ordinanza Cass. n. 32062/2021), con conseguente dovere di questo Giudice di provvedere a una nuova (terza) liquidazione; (b) oppure deve affermarsi la permanente vigenza del primo decreto di liquidazione del 12.12.2017, in considerazione dell’inidoneità del successivo decreto di revoca a sancirne l’inefficacia. Poiché questo Giudice è tenuto ad attenersi al principio di diritto desumibile dall’ ordinanza n. 36340/21, deve essere accolta la seconda delle soluzioni prospettate, che corrisponde alla richiesta principale di parte convenuta ».
Per difendere il provvedimento, la controricorrente afferma di avere sempre sostenuto la definitiva efficacia del decreto originario di liquidazione (12/12/2017) e che, anche nell’atto di costituzione
nella fase di riassunzione del giudizio, si era limitata a ribadire e precisare questa posizione, senza introdurre una nuova domanda. Pertanto, la decisione del Tribunale sarebbe del tutto conforme alle domande tempestivamente avanzate.
Orbene, il problema che sta dinanzi a questo Collegio è di salvaguardare il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (e quindi il diritto dell ‘ausiliario a percepire il compenso per l’opera prestata) nel contesto di una vicenda processuale caratterizzata da un errore – la revoca del primo provvedimento di liquidazione – cui a questo punto non si può porre rimedio se non conducendo la vicenda verso la sua definitiva conclusione, in armonia con quanto disposto dalla seconda pronuncia di questa Corte e nel rispetto dell’art. 112 c.p.c .
A tale scopo conviene muovere da uno stralcio ampio della motivazione di Cass. n. 36340/2021, cui si rinvia anche per l’indicazione dei precedenti : « È da escludere che il Tribunale potesse revocare il primo decreto di liquidazione o emetterne uno nuovo, quali che fossero le ragioni della revoca e della nuova liquidazione. Per insegnamento di questa Corte, il decreto di liquidazione del compenso in favore dell’ausiliario ha natura giurisdizionale e non amministrativa e, pertanto, può essere modifica to solo a seguito dell’opposizione ex art. 170 D.P.R. 115/2002 . Il decreto non poteva essere quindi revocato d’ufficio: il giudice aveva consumato il potere decisorio, non avendo alcuna facoltà di operare in autotutela con modalità tipiche dell’azione amministrativa . Anche il secondo provvedimento, oggetto dell’opposizione definita con l’ordinanza impugnata, era di conseguenza – radicalmente viziato, non avendo il GE il potere di adottarlo. Infondatamente il Tribunale ha inoltre ritenuto che l’annullamento del provvedimento fosse precluso dalla mancata contestazione della revoca del primo decreto di liquidazione: al contrario, a fondamento dell’opposizione il ricorrente aveva difatti
dedotto l’illegittimità della revoca da ritenere, comunque, tamquam non esset – e la definitività della prima liquidazione».
Dalla conclusione dell’argomentazione di Cass. n. 36340/2021 si desume con chiarezza che questa Corte ha assunto come corretto che la revoca tamquam non esset e che quindi la liquidazione operata con il primo decreto dovesse avere carattere definitivo. Non aiuta osservare a questo punto -con lo sguardo rivolto all’indietro -che allora Cass. n. 36340/2021 avrebbe potuto decidere nel merito, mentre è decisivo constatare -con lo sguardo rivolto alla risoluzione di questa vicenda – che il provvedimento in epigrafe si è attenuto al dictum di questa Corte. Non vi è stata alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c. (né tanto meno dell’art. 324 c.p.c.) , ma al contrario esso è stato attuato nell’unico modo possibile (a questo punto).
Il secondo ed il terzo motivo sono rigettati.
3. – Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c. per la compensazione integrale delle spese, ritenuta illegittima poiché il COGNOME non sarebbe risultato soccombente. La parte ricorrente afferma di essere risultato totalmente vittorioso rispetto alla domanda origina ria volta a dichiarare l’inefficacia e la nullità del secondo decreto di liquidazione compensi del 24/05/2019. Secondo il ricorrente, il giudice avrebbe erroneamente ravvisato una reciproca soccombenza tra le parti, poiché la domanda relativa alla reviviscenza del decreto originario del 12/12/2017 costituiva domanda nuova e inammissibile formulata solo in sede di riassunzione, non potendo quindi influire sulla regolamentazione delle spese di lite, che avrebbero dovuto essere poste integralmente a carico della controparte, unica effettivamente soccombente.
Il quarto motivo è infondato.
Censurata è la seguente parte del provvedimento impugnato: « Considerata la reciproca soccombenza, tanto nel presente giudizio quando nella fase di prima opposizione ex art. 170 DPR n. 115/2002, nonché della singolarità della vicenda -che ha condotto addirittura
a un implicito, ma evidente contrasto tra quanto ritenuto dalla Suprema Corte con l’ ord. n. 32062/21 (da cui si desume la definitività della revoca del decreto di liquidazione, per mancata impugnazione della stessa) e quanto ritenuto, invece, con l’ ord. n. 36340/2021 (che stabilisce la nullità tout court del provvedimento di revoca) -sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di tutte le fasi del giudizio ».
L ‘argomentazione adottata dal Tribunale è plausibile, e quindi non vi è stata alcuna violazione dell’art. 91 c.p.c.
Il quarto motivo è rigettato.
L’unico motivo del ricorso incidentale si fonda sulla deduzione di un errore materiale di calcolo nella determinazione dell’import o spettante alla ricorrente in via incidentale/controricorrente.
La censura è inammissibile giacchè ogni profilo relativo all’errore di calcolo è emendabile, ove sussistente, con una istanza di correzione al Giudice del merito (Cass. Sez. 2, n. 13629 del 19/05/2021).
-La Corte rigetta entrambi i ricorsi. Induce a compensare le spese di questo giudizio la stessa considerazione relativa alla singolarità della vicenda che il giudice ha posto a fondamento della compensazione delle spese del giudizio che si è chiuso con il provvedimento impugnato.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente principale e di quella incidentale, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale;
Dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente principale e di quella incidentale, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile, il 15/04/2025.
La Presidente
NOME COGNOME