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Revoca del mandato: l’avvocato non può intervenire

Un avvocato, a seguito della revoca del mandato da parte di un ente comunale, interveniva nello stesso giudizio per contestare la decisione. La Corte di Cassazione ha confermato l’inammissibilità del suo intervento, chiarendo che le questioni relative al rapporto professionale sono distinte e separate dall’oggetto della causa principale. La sentenza sottolinea che la revoca del mandato è un atto di autonomia privata e le relative contestazioni devono essere sollevate in un procedimento autonomo.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Revoca del mandato: l’avvocato non può contestarla nello stesso processo

La revoca del mandato professionale è un momento delicato nel rapporto tra avvocato e cliente. Ma cosa succede se il legale ritiene illegittima tale revoca? Può far valere le sue ragioni all’interno dello stesso procedimento da cui è stato estromesso? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito una risposta netta, stabilendo una chiara linea di demarcazione tra la causa principale e le controversie legate al rapporto professionale.

I Fatti del Caso: La controversia sull’incarico professionale

La vicenda trae origine da un’azione legale avviata da un Comune per accertare la proprietà demaniale di un complesso immobiliare. L’ente pubblico aveva inizialmente conferito l’incarico a un avvocato. Tuttavia, nel corso del giudizio, il Comune decideva di revocare l’incarico al professionista, nominando un nuovo difensore.

Ritenendo illegittima la decisione, il primo avvocato compiva un passo inusuale: interveniva nello stesso processo sia dichiarando di agire ancora come difensore del Comune, sia “in proprio”, ovvero per tutelare un suo personale diritto, chiedendo la “disapplicazione” del provvedimento di revoca. I giudici di primo e secondo grado dichiaravano inammissibili le sue richieste, spingendo il legale a ricorrere in Cassazione.

La Decisione della Corte: inammissibile l’intervento dopo la revoca del mandato

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei gradi precedenti. La Suprema Corte ha distinto nettamente le due posizioni assunte dal legale:

1. Come (presunto) difensore del Comune: L’appello era inammissibile perché, a seguito della revoca del mandato, il legale aveva perso lo ius postulandi, ossia il potere di rappresentare l’ente in giudizio.
2. Come parte “in proprio”: L’intervento per contestare la revoca era inammissibile perché la controversia sul rapporto professionale è del tutto estranea all’oggetto del giudizio originario (che riguardava diritti immobiliari). Le questioni tra avvocato ed ex cliente devono essere risolte in un procedimento separato.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte ha fondato la sua decisione su principi procedurali e sostanziali molto chiari. In primo luogo, ha specificato che la revoca del mandato da parte di un ente pubblico non è un atto amministrativo autoritativo, ma un atto di autonomia privata, assimilabile a un recesso contrattuale. Come tale, non può essere oggetto di “disapplicazione” da parte del giudice civile nel contesto di un’altra causa.

Il fulcro della motivazione risiede nel principio di pertinenza dell’intervento di un terzo. L’articolo 105 c.p.c. consente a un terzo di intervenire in un processo se vanta un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo. Nel caso di specie, il diritto del legale a proseguire l’incarico o a ottenere un risarcimento per la sua revoca attiene al contratto di patrocinio, un rapporto del tutto distinto e autonomo rispetto alla controversia sulla proprietà degli immobili.

In sostanza, consentire all’avvocato di innestare la propria lite personale all’interno della causa del suo ex cliente creerebbe una confusione processuale inaccettabile. La Corte ha inoltre confermato la condanna dell’avvocato al pagamento delle spese legali. Poiché era intervenuto come parte e le sue domande erano state respinte, egli risultava soccombente e, secondo il principio generale, doveva farsi carico dei costi del giudizio da lui provocati.

Conclusioni: Le implicazioni pratiche della sentenza

L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale per la correttezza e l’ordine processuale: le controversie tra il difensore e la parte assistita devono rimanere al di fuori del giudizio principale. Le implicazioni pratiche sono evidenti:

Un avvocato che subisce una revoca del mandato perde immediatamente lo ius postulandi* e non può più compiere alcun atto processuale in nome e per conto dell’ex cliente.
* Qualsiasi contestazione relativa alla legittimità della revoca o eventuali pretese economiche (come il risarcimento del danno) devono essere fatte valere in un procedimento giudiziario separato e autonomo.
* L’intervento “in proprio” nel processo originario per contestare la revoca è inammissibile per estraneità all’oggetto della causa. L’avvocato che tenta questa strada rischia non solo il rigetto della sua domanda, ma anche la condanna al pagamento delle spese legali in favore di tutte le altre parti.

Un avvocato può contestare la revoca del mandato all’interno dello stesso processo in cui è stato revocato?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la controversia relativa alla revoca del mandato è estranea all’oggetto del giudizio principale. Pertanto, qualsiasi contestazione deve essere sollevata in una sede processuale separata e autonoma.

La revoca dell’incarico da parte di un ente pubblico è un atto amministrativo che il giudice civile può disapplicare?
No. Secondo la Corte, la revoca dell’incarico a un legale da parte di un ente pubblico non ha natura di provvedimento amministrativo autoritativo, ma è espressione di autonomia privata, assimilabile a un recesso contrattuale. Di conseguenza, non è soggetto alla disapplicazione da parte del giudice ordinario.

Se l’intervento di un avvocato in proprio viene dichiarato inammissibile, può essere condannato a pagare le spese legali?
Sì. Intervenendo in giudizio per far valere un proprio diritto personale, l’avvocato assume la qualità di parte processuale a tutti gli effetti. Se la sua domanda viene respinta o dichiarata inammissibile, egli è considerato la parte soccombente e, in base al principio di soccombenza, viene correttamente condannato al pagamento delle spese di lite sostenute dalle altre parti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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