Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11574 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11574 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 8991-2023 proposto da:
NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME tutti domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
Altre ipotesi rapporto privato
R.G.N. 8991/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 04/02/2025
CC
avverso la sentenza n. 1115/2023 del la CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 14/03/2023 R.G.N. 682/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/02/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
I lavoratori, in epigrafe indicati, dipendenti della RAGIONE_SOCIALE e addetti come operai alle stazioni lombarde nell’ambito di un appalto di RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE, deducevano di avere ricevuto, tra il 20 ed il 27 settembre 2021 una comunicazione di risoluzione del rapporto di lavoro a far data dal 15.12.2021 per cessazione dell’appalto e impossibilità di ricollocamento. Rappresentavano, inoltre, che successivamente all’impugnazione dei licenziamenti la RAGIONE_SOCIALE, in data 13.12.2021, aveva comunicato alle OO.SS. la sospensione dei licenziamenti in vista della proroga dell’appalto ed erano seguite comunicazioni, ai singoli dipendenti, data 14.12.2021 relative alla prosecuzione del rapporto di lavoro senza soluzione di continuità, attesa la interven uta proroga dell’appalto. In considerazione del fatto che, secondo i lavoratori, la società era decaduta dalla possibilità di revocare i licenziamenti, essendo trascorso il termine quindicinale di cui all’art. 18 St. lav. e che la avvenuta prosecuzione del rapporto integrava una nuova proposta accettata da essi, i dipendenti chiedevano al Tribunale di Milano che la società fosse condannata al pagamento, in favore di ciascuno di loro, della indennità di giudizio ex art. 3/1 e 10 D.lgs. n. 23/2015, comunque non inferiore a sei mensilità e salvo gravame, giusto il parametro indicato in ricorso.
L’adito Tribunale rigettava la domanda ritenendo assorbente l’assoluta assenza di pregiudizio risarcibile in capo ai lavoratori stante la prosecuzione del rapporto di lavoro senza soluzione di continuità.
La Corte di appello di Milano, con la sentenza n. 1115/2022, confermava la pronuncia di prime cure evidenziando che: a) la prova della tempestività della comunicazione relativa alla prosecuzione del rapporto di lavoro senza soluzione di continuità, che gravava sul
datore di lavoro, era data dalla oggettiva e non contestata prosecuzione dell’attività lavorativa successivamente al 15.12.2021; b) solo a fronte della tempestiva comunicazione della revoca del licenziamento, sarebbe stato possibile proseguire l’attività l avorativa anche nei giorni successivi al 15.12.2021; c) con il loro comportamento i lavoratori avevano accettato la revoca del licenziamento, con la conseguenza che era venuto meno, per concorde volontà delle parti, il fatto generatore in quanto il recesso non aveva spiegato efficacia alcuna sulla continuità del rapporto; d) andava, quindi, esclusa la dedotta instaurazione di un rapporto di lavoro; e) corretto ed improntato a buona fede era stato il comportamento della società rispetto al quale i lavoratori non avevano specificato la sussistenza di un pregiudizio risarcibile.
Avverso la sentenza di secondo grado i lavoratori suddetti proponevano ricorso per cassazione affidato a quattro motivi cui resisteva con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
I ricorrenti depositavano memoria.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si eccepisce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cpc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per avere erroneamente la gravata sentenza ritenuto revocati i recessi e superato il fatto generatore del danno per concorde volontà delle parti, manifestata nella prosecuzione dell’attività lavorativa successivamente al 15.12.2021, quando, invece, era stata la stessa datrice di lavoro ad ammettere di non avere revocato i licenziamenti.
Con il secondo motivo si obietta la nullità della sentenza, per insanabile illogicità e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, perché, qualora si volesse escludere il vizio di ultrapetizione, di cui al primo motivo, la gravata pronuncia sarebbe comunque affetta da insanabile illogicità e contraddittorietà in quanto
le censure degli originari ricorrenti non avevano trovato alcun riscontro nelle conclusioni della Corte territoriale sull’avvenuta revoca dei recessi, sulla tempestività di essa, sul valore della prosecuzione dell’opera e sull’omessa indicazione di un dann o rilevante.
Con il terzo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare in relazione al combinato disposto degli artt. 1334 cc, 2 e 6 legge n. 604/1966, 5 d.lgs. n. 23/2015, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere erroneamente la Corte territoriale ritenuto legittima una revoca dei licenziamenti oltre i limiti temporali previsti dalla legge ed entro e non oltre la scadenza del termine di preavviso, senza poi prevedere le conseguenze in capo al datore di lavoro.
Con il quarto motivo si censura la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare in relazione al combinato disposto degli artt. 2697 cc, 5 legge n. 604/1966, 3 e 10 D.lgs. n. 23/2015, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, perché erroneamente la Corte territoriale non aveva riconosciuto alcun pregiudizio patito dai lavoratori quando, invece, era la stessa legge a prevedere una tutela indennitaria in ipotesi di licenziamento già perfezionato con la manifestazione di volontà del datore di lavoro il quale, successivamente, aveva provveduto alla revoca dello stesso.
I motivi, che per la loro interferenza e connessione logicogiuridica possono essere scrutinati congiuntamente, non sono fondati.
E’ opportuno precisare che i l potere-dovere del giudice di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione incontra il limite del rispetto del “petitum” e della “causa petendi”, sostanziandosi nel divieto d’introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, sicché il vizio di “ultra” o “extra” petizione ricorre solo quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (“petitum” o “causa petendi”), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (“petitum” immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (“petitum” mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (Cass. n. 644/2025;
Cass. n. 9002/2018; Cass. n. 8048/2019): ciò nel caso di specie non è avvenuto essendosi i giudici del merito mossi nel perimetro dei fatti allegati e delle richieste avanzate dalle parti.
In tema di ricorso per cassazione, poi, per vizi della motivazione della sentenza, il controllo di logicità del giudizio del giudice di merito non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto tale giudice ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe, pur a fronte di un possibile diverso inquadramento degli elementi probatori valutati, in una nuova formulazione del giudizio di fatto (Cass. n. 16526/2016).
Ciò premesso -in particolare in relazione alle doglianze di cui ai primi due motivi- rileva, nel resto, il Collegio che, senza dubbio, la fattispecie in esame presenta delle peculiarità in quanto vi sono stati dei licenziamenti, per cessazione dell’appalt o, a dire della società sospesi in vista della proroga dell’appalto, che erano venuti poi meno con la prosecuzione dell’attività lavorativa, senza soluzione di continuità, successivamente alla data di efficacia dei recessi.
Orbene, a fronte a di questa situazione, la Corte territoriale, con un accertamento di fatto e con una ricostruzione del merito della vicenda, ha ritenuto che, in relazione ad una revoca dei licenziamenti, avvenuta in ogni caso prima della loro operatività, i lavoratori avevano accettata la stessa con la conseguenza che era venuta meno, per concorde volontà delle parti, il fatto generatore del danno, in quanto il recesso non aveva spiegato efficacia alcuna sulla continuità del rapporto e sulla ordinaria funzionalità del sinallagma contrattuale.
Inoltre, i giudici del merito hanno sottolineato che alcuna censura poteva essere mossa alla società che aveva agito secondo correttezza e buona fede, in una logica di tutela dei posti di lavoro in vista di una proroga del contratto di appalto poi ottenuta.
La gravata pronuncia è in linea con il precedente di legittimità richiamato dalla stessa Corte distrettuale (Cass. n. 14493/2012) e i giudici di seconde cure, si ribadisce a seguito di un
accertamento di fatto adeguatamente motivato, hanno ritenuto che i licenziamenti adottati fossero sì stati revocati (a differenza di quanto aveva ritenuto la società) oltre i termini di legge, ma che i lavoratori avevano aderito a tale revoca proseguendo nella attività lavorativa, dopo la scadenza di operatività del recesso (15.12.2021) e non avevano patito alcun pregiudizio: il tutto in un contesto in cui alcun addebito, sotto il profilo della correttezza e buona fede, poteva essere imputato alla datrice di lavoro.
Le denunciate violazioni di legge, pertanto, rispetto alla suddetta ricostruzione della vicenda in cui è stata rilevata una concorde volontà delle parti, non sussistono.
E’ un principio, infatti, ormai consolidato quello secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 19547/2017; Cass. n. 29404/2017).
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 febbraio 2025