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Revoca del fallimento: improcedibile l’opposizione

Un Ente Pubblico si opponeva allo stato passivo di una società fallita per un credito da risarcimento danni. La Corte di Cassazione, rilevando che la sentenza di fallimento era stata revocata con decisione passata in giudicato, ha dichiarato l’improcedibilità del giudizio di opposizione. La revoca del fallimento, infatti, fa venir meno il presupposto stesso del procedimento di accertamento del passivo, che ha efficacia solo all’interno della procedura concorsuale.

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Revoca del fallimento: cosa succede all’opposizione del creditore?

La revoca del fallimento è un evento che ribalta completamente lo scenario di una crisi d’impresa. Ma quali sono le conseguenze per i creditori che, nel frattempo, avevano avviato azioni per l’accertamento dei loro crediti? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un punto fondamentale: se il fallimento viene revocato con sentenza definitiva, l’opposizione allo stato passivo diventa improcedibile. Analizziamo insieme il caso per capire la logica di questa decisione.

I Fatti di Causa

La vicenda nasce da un contratto di appalto pubblico tra un Ente Locale e una società edile, avente ad oggetto la ristrutturazione di una palestra. A causa di gravi ritardi nell’esecuzione dei lavori, l’Ente avviava la procedura per la risoluzione del contratto e chiedeva un cospicuo risarcimento danni.

Nel frattempo, la società edile veniva dichiarata fallita. L’Ente Locale, per far valere le proprie pretese, presentava domanda di ammissione al passivo del fallimento, che però veniva respinta. Di conseguenza, l’Ente proponeva opposizione allo stato passivo per ottenere il riconoscimento del proprio credito.

Il colpo di scena arriva quando la Corte d’Appello, con una sentenza passata in giudicato, revoca la dichiarazione di fallimento della società. La questione giunge quindi dinanzi alla Corte di Cassazione: il giudizio di opposizione allo stato passivo può continuare nonostante il fallimento non esista più?

La Decisione della Corte sulla revoca del fallimento

La Corte di Cassazione ha risposto negativamente. Con una decisione processuale netta, ha dichiarato il procedimento di opposizione allo stato passivo improcedibile, cassando il decreto impugnato senza rinvio. La Corte non è entrata nel merito della pretesa risarcitoria dell’Ente, ma si è fermata a una considerazione preliminare e assorbente: la revoca del fallimento fa venir meno la ragione stessa per cui il giudizio di opposizione era stato avviato.

Le Motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda su un principio cardine del diritto fallimentare. Il procedimento di opposizione allo stato passivo (previsto dall’art. 98 della Legge Fallimentare) è uno strumento strettamente connesso alla procedura concorsuale. Il suo unico scopo è quello di accertare un credito con un’efficacia definita “meramente endoconcorsuale”.

Questo significa che il riconoscimento del credito in quella sede serve solo a consentire al creditore di partecipare alla ripartizione dell’attivo fallimentare. Non ha valore al di fuori del fallimento. Di conseguenza, nel momento in cui la procedura fallimentare viene meno a seguito di una revoca passata in giudicato, anche il procedimento che vive solo al suo interno perde ogni funzione e non può più proseguire.

La Corte ha sottolineato che questa conseguenza opera automaticamente e può essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello di legittimità. La revoca del fallimento cancella il presupposto processuale dell’opposizione, rendendola, appunto, improcedibile.

Conclusioni

La decisione offre un’importante lezione pratica. La revoca del fallimento con provvedimento definitivo determina l’improcedibilità di tutti i giudizi di opposizione allo stato passivo pendenti. Questo non significa che il creditore perda il suo diritto. Semplicemente, il creditore non potrà più far valere la sua pretesa nell’ormai inesistente procedura concorsuale. Dovrà invece avviare un ordinario giudizio di cognizione contro la società, che è tornata a essere in bonis (cioè nella piena disponibilità del proprio patrimonio), per ottenere l’accertamento del proprio credito e la successiva condanna al pagamento.

Cosa succede a un’opposizione allo stato passivo se il fallimento viene revocato con sentenza definitiva?
L’opposizione allo stato passivo diventa improcedibile. Il procedimento, essendo strettamente legato alla procedura fallimentare, non può proseguire perché il suo presupposto fondamentale (l’esistenza del fallimento) è venuto meno.

Perché la revoca del fallimento rende l’opposizione improcedibile?
Perché l’accertamento del credito nel giudizio di opposizione ha un’efficacia ‘endoconcorsuale’, cioè vale solo all’interno della procedura fallimentare per partecipare alla distribuzione dell’attivo. Se la procedura cessa di esistere, anche il giudizio di accertamento perde la sua funzione.

Il creditore perde il suo diritto di credito dopo la declaratoria di improcedibilità?
No, il creditore non perde il suo diritto. Perde solo la possibilità di farlo valere all’interno della procedura fallimentare ormai revocata. Dovrà agire in un ordinario giudizio civile contro la società, che è tornata ad essere pienamente operativa, per ottenere il riconoscimento e il pagamento del suo credito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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