Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27327 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27327 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/10/2024
Oggetto: contrati bancari
ORDINANZA
sui ricorsi iscritti al n. 37386/2019 R.G. proposti da COGNOME NOME, rappresentato e difeso da ll’ AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, sito in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
e da
COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, sito in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente incidentale –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso il suo studio, sito in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE
COGNOME NOME
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione
-intimato – avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 4436/2019, depositata il 27 giugno 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 settembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, depositata il 27 giugno 2019, che, in accoglimento dell’appello della RAGIONE_SOCIALE e in reiezione di quelli avanzati dal COGNOME e da NOME COGNOME, ha confermato il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Viterbo nei confronti del predetto COGNOME;
la Corte di appello ha riferito che con tale decreto ingiuntivo era stato intimato alla RAGIONE_SOCIALE, a NOME COGNOME, a NOME COGNOME e a NOME COGNOME di pagare in favore della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 12.730,07, oltre accessori e spese del procedimento monitorio, la prima quale debitrice del saldo di un conto corrente e gli altri quali suoi fideiussori, e che la relativa opposizione proposta da NOME COGNOME, assistita da chiamata in garanzia degli ingiunti NOME COGNOME e NOME COGNOME, era fondata sulla intervenuta revoca della garanzia, successiva alla sua fuoriuscita dalla compagine sociale, nonché sulla decadenza dall’azione ai sensi degli artt. 1955 e 1957 cod. civ.;
ha dato atto che nel giudizio di opposizione si erano costituiti la banca opposta, NOME COGNOME, NOME COGNOME, il quale aveva proposto
-intimato –
– intimato –
-intimato –
domanda riconvenzionale nei confronti del predetto COGNOME, la RAGIONE_SOCIALE, quale cessionaria del RAGIONE_SOCIALE controverso, e la RAGIONE_SOCIALE, quale successiva cessionaria di tale RAGIONE_SOCIALE;
ha rilevato che il giudice di primo grado aveva revocato il decreto ingiuntivo opposto in ragione del mancato rinvenimento del fascicolo di parte della banca ingiungente, contenente i documenti idonei a dimostrare il RAGIONE_SOCIALE in oggetto, ritirato in data 13 dicembre 2013 e non debitamente restituito;
ha, quindi, osservato che «la documentazione offerta al Tribunale al momento della decisione era sufficiente a decidere la causa nel merito», avuto, in ogni caso, riguardo all’unione al fascicolo di ufficio di tutti gli atti del procedimento monitorio;
ha, infine, ritenuto che il COGNOME, essendosi costituito fideiussore della RAGIONE_SOCIALE, doveva ritenersi responsabile sino alla data di efficacia del recesso dal rapporto di garanzia e, dunque, era tenuto al pagamento del debito della società nei limiti dell’importo di euro 12.045,88, pari all’esposizione bancaria a tale data, giudicando infondate le eccezioni di decadenza dalla garanzia dallo stesso sollevate;
il ricorso è affidato a sette motivi;
resiste con controricorso la sola RAGIONE_SOCIALE;
impugna la sentenza della Corte di appello anche NOME COGNOME con separato ricorso per cassazione anch’esso affidato a sette motivi, parzialmente sovrapponibili a quelli proposti dal ricorrente COGNOME;
anche avverso tale impugnazione resiste con controricorso la sola RAGIONE_SOCIALE;
il ricorrente COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE depositano memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
va preliminarmente osservato che, per il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza, ogni ricorso
successivo al primo si converte in ricorso incidentale, per cui tale deve qualificarsi quello proposto da NOME COGNOME, in quanto successivo a quello di NOME COGNOME;
ciò posto, con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso del giudizio, lamentandosi che «la Corte territoriale è incorsa non soltanto in ultra petizione, ma ha operato una sorta di illegittima condensazione de plurimi temi in disputa»;
in particolare, la Corte di appello avrebbe travisato il motivo di appello della RAGIONE_SOCIALE, consistente nella sua incolpevolezza rispetto alla mancata restituzione del fascicolo di parte della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e non già nell’erroneo accertamento del giudice di primo grado in ordine alla mancata restituzione dello stesso; – aggiunge il ricorrente principale che il giudice di appello avrebbe omesso di rilevare che il fascicolo del procedimento monitorio non conteneva altri documenti che l’originale del decreto ingiuntivo emesso;
identica censura è articolata con il quarto motivo del ricorso incidentale;
i motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili;
è consolidato principio di legittimità quello per cui il vizio di ultra o extra petizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione ( petitum o causa petendi ), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto ( petitum immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso ( petitum mediato) (cfr. Cass. 21 marzo 2019, n. 8048; Cass. 11 aprile 2018, n. 9002), per cui esula dal paradigma invocato la situazione, denunciata con i motivi in esame, in cui il giudice di merito, lungi dal pronunciarsi oltre i limiti della domanda fatta valere dalla parte vittoriosa, abbia erroneamente interpretato i motivi di appello dalla
stessa proposti;
sotto altro aspetto, si rammenta che l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito;
i motivi contengono anche la censura di omesso esame di un fatto decisivo e controverso, ma omettono di indicare il fatto storiconaturalistico asseritamente non esaminato dal giudice di merito, risolvendosi in una contestazione del risultato interpretativo del motivo di appello cui è giunto tale giudice;
con il secondo motivo del ricorso principale, coincidente con il quinto motivo di quello incidentale, si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso del giudizio, nonché la violazione dell’art. 653 cod. proc. civ., per aver la Corte di appello «confermato» un decreto ingiuntivo già revocato in primo grado;
i motivi sono inammissibili;
-le doglianze poggiano sul principio per cui l’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo comporta la definitiva caducazione del provvedimento monitorio, sicché l’eventuale riforma della sentenza di primo grado da parte del giudice d’appello anche ove impropriamente conclusa con un dispositivo con il quale si conferma lo stesso -non determina la riviviscenza del decreto ingiuntivo già revocato (così, Cass. 6 settembre 2017, n. 20868; Cass. 21 ottobre 1987, n. 7777; vedi, anche, Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2010, n. 4071, sia pure con riferimento al rapporto tra l’art. 653, primo comma, cod. proc. civ. e l’art. 393 cod. proc. civ.);
tale principio non trova, tuttavia, applicazione al caso in esame in cui la Corte di appello, nonostante la improprietà lessicale e la genericità delle affermazioni rese nella sentenza, lungi dal dichiarare la legittimità del decreto ingiuntivo opposto e nel disporre una reviviscenza di tale provvedimento, si è limitata a respingere l’opposizione, salvo limitare la responsabilità debitoria dell’opponente COGNOME nei limiti
dell’importo di euro 12.045,88;
con il terzo motivo del ricorso principale si critica la sentenza impugnata per «violazione o falsa applicazione di norme di diritto -omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio -error in procedendo», nella parte in cui «ha omesso ogni valutazione sui motivi d’opposizione nonché ogni valutazione sull’esistenza del diritto di RAGIONE_SOCIALE asseritamente vantato dalla creditrice originaria»;
il motivo è inammissibile;
in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare -con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (cfr. Cass., Sez. Un., 28 ottobre 2020, n. 23745); – parte ricorrente non ha assolto a un siffatto onere, risultando assente, sia nella rubrica, sia nell’illustrazione dell a censura , l’indicazione delle norme di legge asseritamente violate e delle ragioni per cui la sentenza di appello si porrebbe in contrasto con queste;
si osserva, comunque, che il giudice di appello non era tenuto a esaminare i motivi di opposizione al decreto ingiuntivo se non nei limiti in cui gli stessi sono stati interessati dai gravami proposti dinanzi a lui; – quanto, poi, al mancato accertamento della sussistenza del RAGIONE_SOCIALE vantato dalla banca, si osserva che il ricorrente non indica se e in che termini la questione sia stata prospettata dinanzi al giudice dell’opposizione e dell’appello, non consentendo a questa Corte di poter
valutare la ammissibilità della doglianza;
-con il quarto motivo il ricorrente principale allega l’ «omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione/nullità della sentenza», in relazione alla dichiarata inammissibilità del secondo motivo dell’appello, relativo alla domanda di garanzia fondata su titolo contrattuale avanzata nei confronti del COGNOME, in ragione della sua novità, benché la stessa fosse stata formulata in primo grado con la memoria di cui all’art. 183, sesto comma, n. 1, cod. proc. civ.;
con il quinto motivo, coincidente sostanzialmente con il terzo motivo del ricorso incidentale, critica la sentenza impugnata per «contraddittorietà -omessa pronuncia -violazione di legge ed errata applicazione di legge», nella parte in cui ha ritenuto che la domanda di garanzia fondata su titolo contrattuale fosse nuova e, in quanto tale, inammissibile;
i motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili;
la possibilità di modificare domande originariamente proposte con la memoria di cui all’art. 183 cod. proc. civ., anche incidendo su uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa ( petitum e causa petendi ), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali, è subordinata alla circostanza che le domande modificate non siano nuove, nel senso di ulteriori o aggiuntive, ma sostituiscono quelle inziali, ponendosi, rispetto a queste, in un rapporto di alternatività (cfr. Cass., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12310);
una siffatta circostanza non ricorre nel caso in esame in cui con la memoria, come sembra evincersi dal relativo estratto riportato nel motivo, viene proposta la domanda di garanzia «anche sulla scorta dell’obbligazione contrattuale scaturente dall’atto di transazione ripassato tra le parti», in aggiunta a quella fondata sul titolo legale
rappresentato dall’art. 1953 cod. civ.;
nel quinto motivo il ricorrente principale sembra allegare di aver chiesto sin dall’atto di opposizione di essere manlevato dal COGNOME sulla base di un accordo intervenuto (per l’esattezza, la scrittura del 4 febbraio 2009), ma tale allegazione è priva di sufficiente chiarezza e, in ogni caso, la mancata riproduzione del relativo passaggio dell’atto di opposizione non consente a questa Corte di poter valutare la verità di quanto allegato e, dunque, la concludenza del motivo articolato, nonché la sua fondatezza;
con il sesto motivo del ricorso principale, coincidente con il sesto motivo di quello incidentale, si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso del giudizio, in relazione alla mancata valutazione della sussistenza del RAGIONE_SOCIALE azionato dalla banca, ritenendo che i documenti allegati al ricorso per decreto ingiuntivo fossero sufficienti e idonei;
i motivi sono inammissibili;
-l’ art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella vigente formulazione, applicabile al caso in esame, prevede l ‘ omesso esame come riferito ad un fatto decisivo per il giudizio ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a questioni o argomentazioni (così, Cass. 26 gennaio 2022, n. 2268);
ne consegue che tale paradigma è erroneamente invocato, in quanto richiamato per far valere asseriti errori nella valutazione del materiale probatorio, la quale è riservata alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476);
con il settimo motivo del ricorso principale, coincidente con il settimo motivo del ricorso incidentale si deduce la violazione degli artt. 91 e 111 cod. proc. civ., per aver la Corte di appello condannato gli odierni ricorrenti alla rifusione delle spese del primo grado di giudizio;
-si evidenzia, sul punto, che l’accoglimento dell’opposizione era stata
motivata con la mancata restituzione del fascicolo di parte della banca e, dunque, con un fatto non imputabile ai ricorrenti medesimi;
si rappresenta, inoltre, che la banca ingiungente e la RAGIONE_SOCIALE erano, da un punto di vista processuale, un’unica parte, essendo l’una avente causa dell’altra, per cui illegittima era la condanna alla rifusione delle spese sostenute sia dall’una che dall’altra;
si aggiunge, in proposito, che alla banca spetterebbero in astratto solo le competenze relative all’attività processuale posta in essere prima della cessione e alla società cessionaria quelle successive;
i motivi sono in parte infondati e in parte inammissibili;
in tema di disciplina delle spese processuali, la soccombenza costituisce un’applicazione del principio di causalità, in virtù del quale la parte soccombente va individuata in quella che, azionando una pretesa accertata come infondata o resistendo ad una pretesa fondata, abbia dato causa al processo o alla sua protrazione poiché con il suo comportamento antigiuridico (in quanto trasgressivo di norme di diritto sostanziale) ha provocato la necessità del processo (cfr. Cass. 30 marzo 2010, n. 7625; Cass. 27 novembre 2006, n. 25141) e prescinde dalle ragioni – di merito o processuali – che l’abbiano determinata (cfr. Cass. 29 luglio 2021, n. 21823; Cass. 15 luglio 2008, n. 19456);
da ciò consegue che correttamente il giudice di merito ha ignorato le ragioni che hanno determinato la soccombenza nel giudizio di appello; – in ordine, poi, alla condanna inflitta alla rifusione delle spese processuali sostenute sia dalla banca, originaria creditrice e parte opposta nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, sia dalla avente causa a titolo particolare nel diritto controverso, intervenuta nel corso del giudizio, si osserva che queste ultime, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, non costituiscono una parte unica sotto il profilo processuale, trattandosi di soggetti giuridici diversi che si sono costituiti in giudizio con distinti atti e hanno svolto autonome difese, e che correttamente il rimborso delle spese processuali sostenute
dall’interveniente ad adiuvandum è stato posto a carico della parte la cui tesi difensiva, risultata infondata, ha determinato l’interesse all’intervento (cfr. Cass. 14 maggio 2018, n. 11670; Cass. 23 luglio 1983);
la relativa quantificazione, nei limiti fissati dalle tabelle vigenti, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, per cui non può essere dedotta in questa sede la eccessiva liquidazione delle stesse senza una puntuale allegazione del superamento dei parametri normativamente previsti;
con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 644 cod. proc. civ. e l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso del giudizio, per aver la Corte di appello omesso di considerare che il decreto ingiuntivo non era stato notificato a NOME COGNOME, per cui doveva considerarsi inefficace, come d’altra parte riconosciuto espressamente anche dalla RAGIONE_SOCIALE, la quale non aveva avanzato alcuna istanza nei suoi confronti, con la conseguenza che errata era la sentenza impugnata nella parte in cui aveva confermato il decreto ingiuntivo anche nei suoi confronti;
il motivo è inammissibile;
la doglianza muove da una non esatta interpretazione della sentenza impugnata la quale, nonostante le già rilevate improprietà lessicali, lungi dal confermare l’efficacia del decreto ingiuntivo, ha inteso ritenere che l’opposizione proposta a tale decreto non fosse fondata;
poiché nella stessa sentenza si dà atto che l’opposizione è stata proposta dal solo NOME COGNOME, deve ritenersi, anche per ragioni di coerenza logico-giuridica, che la «conferma» del decreto ingiuntivo sia stata pronunciata con riferimento alla sola posizione del medesimo COGNOME e, in quanto tale, sia inidonea a spiegare effetti sulla sfera giuridica soggettiva del ricorrente principale;
questi, dunque, non avrebbe alcun interesse a dolersi del mancato rilievo dell’inefficacia, nei suoi confronti, del decreto ingiuntivo per
difetto di valida notifica;
con il secondo motivo il ricorrente incidentale deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 111 cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata lo ha condannato alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio benché avesse partecipato al giudizio non quale destinatario del decreto ingiuntivo, ma quale chiamato in garanzia dall’opponente COGNOME e benché non sussistenza alcuna soccombenza processuale nei confronti della banca;
il motivo è infondato;
il ricorrente incidentale ha partecipato al giudizio di secondo grado aderendo all’ appello proposto da COGNOME, per cui la reiezione di tale impugnazione determina la sua soccombenza ai fini del governo delle spese processuali;
infatti, in caso di costituzione in giudizio con intervento adesivo, il soggetto diventa parte del giudizio e in ordine alla sua posizione si applicano gli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., potendo, perciò, essere anche condannato alle spese in caso di soccombenza della parte adiuvata (cfr. Cass., Sez. Un., 30 ottobre 2019, n. 27846; Cass. 23 febbraio 2007, n. 4213);
per le suindicate considerazioni, pertanto, sia il ricorso principale, sia quello incidentale vanno respinti;
le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale; condanna il ricorrente principale e quello incidentale, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 4.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del
ricorrente principale e del ricorrente incidentale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, rispettivamente, per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Rom a, nell’adunanza camerale del 10 settembre 2024.