Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21450 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21450 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12067/2022 R.G. proposto da
NOME COGNOME COGNOME rappresentato e difeso dall ‘ avv. NOME COGNOME (c.f. CODICE_FISCALE, con domicilio digitale ex lege
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso ex lege dall ‘ Avvocatura Generale dello Stato (c.f. NUMERO_DOCUMENTO), con domicilio digitale ex lege
– controricorrente –
e contro AGENZIA DELLE RAGIONE_SOCIALE RISCOSSIONE
– intimata – avverso la sentenza della Corte d ‘ appello di Roma n. 7245 del 4/11/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/7/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME; lette le memorie delle parti;
RILEVATO CHE
-nel marzo del 2011, NOME COGNOME riassumeva dinanzi al Tribunale di Roma un giudizio precedentemente instaurato presso la Commissione Tributaria Provinciale, chiedendo l ‘ annullamento del decreto ministeriale n. B3/RC9/122845 del 30 maggio 2003, con cui il Ministero dello Sviluppo Economico aveva revocato le agevolazioni concessegli ai sensi della legge n. 488/1992, nonché della cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA notificata da Equitalia per un importo pari a € 55.096,62; chiedeva il risarcimento dei danni derivanti, a suo dire, dall ‘ illegittima revoca del finanziamento;
-nel giudizio di primo grado, il Ministero si costituiva chiedendo il rigetto della domanda, mentre Equitalia eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva;
-il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 17386 del 21 settembre 2016, rigettava la domanda attrice, ritenendo legittimo il provvedimento ministeriale e la conseguente azione di recupero coattivo del credito: il giudice affermava che il decreto di revoca aveva natura autoritativa e che il credito vantato dall ‘ Amministrazione derivava da un indebito oggettivo, in quanto COGNOME era stato condannato con sentenza della Corte d ‘ appello di Reggio Calabria del 23 marzo 1991 per il reato ex art. 416bis c.p., circostanza che, ai sensi dell ‘ art. 10 della legge n. 575/1965, impediva la percezione di contributi pubblici; riteneva poi applicabile alla pretesa restitutoria dell ‘ Amministrazione la prescrizione decennale ex art. 2946 c.c.;
–COGNOME proponeva appello, sostenendo che l ‘ azione ex art. 2033 c.c. era prescritta, poiché il termine avrebbe dovuto decorrere dalla data dell ‘ erogazione del contributo (8 aprile 1998), non già dalla revoca del beneficio; contestava, inoltre, l ‘ applicabilità dell ‘ indebito oggettivo, l ‘ affermata concorrenza di due azioni con termini prescrizionali diversi posti a tutela dello stesso bene giuridico (l ‘ azione ex artt. 2033 c.c. e quella prevista dall ‘ art. 1 della legge 20/1994), l ‘ illegittimità costituzionale delle norme applicate e la violazione del diritto dell ‘ Unione europea; eccepiva, poi, la nullità della cartella per mancata indicazione del criterio di calcolo degli interessi;
-il Ministero dello Sviluppo Economico si costituiva, eccependo l ‘ inammissibilità dell ‘ appello e, comunque, sostenendo che il termine di prescrizione doveva decorrere dalla data del decreto di revoca (30 maggio 2003) dell ‘ agevolazione concessa; si costituiva nel secondo grado anche l ‘ Agenzia delle Entrate-Riscossione (subentrata a Equitalia);
-all ‘ esito del giudizio, la Corte d ‘ appello di Roma, con la sentenza n. 7245 del 4 novembre 2021, rigettava l ‘ appello e confermava la sentenza di primo grado, seppur con diversa motivazione;
-la Corte territoriale riteneva che l ‘ indebito si fosse concretizzato solo con l ‘ adozione del provvedimento di revoca («nel caso in esame non si è trattato di inesistenza della causa originaria, ma di sopravvenuta carenza della medesima»), spostando così in avanti il dies a quo della prescrizione; affermava, inoltre, la legittimità della coesistenza di due azioni ( ex art. 2033 c.c. e contabile) aventi diverse causae petendi , reputava manifestamente infondate le questioni di illegittimità costituzionale e di violazione del diritto eurounitario e, dichiarata assorbita la questione inerente alla legittimazione passiva dell ‘ agente della riscossione, condannava l ‘ appellante al pagamento delle spese del grado;
-avverso la predetta sentenza NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione, fondato su quattro motivi;
-resisteva con controricorso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, mentre non svolgeva difese nel giudizio di legittimità l ‘ intimata Agenzia delle entrate – Riscossione;
-le parti depositavano memorie ex art. 380bis .1, comma 1, c.p.c.;
-all ‘ esito della camera di consiglio del 10/7/2025, il Collegio si riservava il deposito dell ‘ ordinanza nei successivi sessanta giorni, a norma dell ‘ art. 380bis .1, comma 2, c.p.c.;
CONSIDERATO CHE
-col primo motivo, formulato ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deduce «violazione o falsa applicazione dell ‘ art. 2033 cod. civ e dell ‘ art. 3 c. 1 del reg. n. 95/2988 CEE»;
-il motivo è inammissibile;
-il ricorrente invoca l ‘ applicabilità del termine di prescrizione di quattro anni previsto dall ‘ art. 3, comma 1, del Regolamento n. 95/2988 CEE, anziché del termine ordinario ex art. 2946 c.c.;
-la censura è inammissibile per violazione dell ‘ art. 366 c.p.c., posto che dal ricorso (che non può essere integrato a posteriori dalla successiva memoria ex art. 380bis .1 c.p.c., il cui scopo è quello di illustrare le difese già svolte) non risulta se e quando tale questione sia stata proposta innanzi al giudice di merito, circostanza che, peraltro, il Ministero controricorrente nega fermamente (deducendo qui che l’argomento è stato «… proposto per la prima volta in sede di legittimità, considerato che nei gradi di merito non si è mai discusso della durata, ma solo della decorrenza, del termine di prescrizione, come risulta chiaramente dal primo motivo di appello»);
-col secondo motivo, formulato in subordine ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deduce «violazione e falsa applicazione
dell ‘ art. 2033 e 2056 c.c. e dell ‘ art. 1 della l. 20/1994 in relazione all ‘ articolo 3 cost. e i principii comunitario della prevedibilità e ragionevole durata del procedimento. Insufficienza della motivazione»;
-la censura è infondata;
-come già correttamente rilevato dalla Corte d ‘ appello, l ‘ azione di ripetizione del contributo indebitamente erogato, oppure revocato, spiegata dall ‘ Amministrazione ha una causa petendi e un petitum differente rispetto alla domanda risarcitoria avanzata per conseguire il ristoro del pregiudizio arrecato dal beneficiario percettore: la diversità delle azioni e l ‘ evidente differenza tra i beni giuridici che le stesse presidiano (da un lato, il recupero di somme corrisposte senza titolo e, dall ‘ altro, la reintegrazione patrimoniale della P.A. in conseguenza di condotte di fatto illecito) ben giustificano una non coincidente disciplina dei termini di prescrizione;
-l ‘ ontologica differenza tra l ‘ azione di ripetizione di indebito e quella risarcitoria è rimarcata da Cass. Sez. U., 19/11/2019, n. 30007, Rv. 656067-01, secondo cui «L ‘ azione di ripetizione dell ‘ indebito relativa ad erogazioni pubbliche, avendo come fondamento l ‘ oggettiva inesistenza dell ‘ obbligazione adempiuta (senza che assuma alcuna rilevanza lo stato soggettivo dell ” accipiens ‘ ) e come obiettivo l ‘ integrale recupero di una attribuzione patrimoniale priva di causa giustificatrice, non può essere ricondotta né ad una azione risarcitoria per responsabilità contabile né ad un ‘ azione in tema di contabilità pubblica, atteso che la prima si fonda sui medesimi elementi costitutivi, sia oggettivi che soggettivi, della responsabilità civile generale e tende al contemperamento del pubblico interesse all ‘ obbligatorietà e integralità del recupero con altri interessi generali, mentre la seconda presuppone la qualificazione pubblica del denaro o del bene oggetto di gestione e la natura pubblica o equiparabile del soggetto beneficiario; pertanto, la relativa domanda, anche quando proposta nelle forme previste dal r.d. n. 639 del 1910, non rientra nella giurisdizione, tanto
meno esclusiva, della Corte dei conti, ma resta devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario.»;
-ad abundantiam si osserva che nemmeno le domande risarcitorie avanzate dalla P.A. innanzi al giudice ordinario e a quello contabile sarebbero ex se sovrapponibili («In tema di giurisdizione della Corte dei conti, l ‘ azione di responsabilità per danno erariale – in cui il pregiudizio, quale diretta o indiretta conseguenza dell ‘ atto o del comportamento del pubblico dipendente, si realizza in un indebito esborso di denaro pubblico o nella mancata percezione di somme spettanti all ‘ amministrazione oppure nella compromissione di interessi pubblici di carattere generale, connessi all ‘ equilibrio economico e finanziario dello Stato – e quella civilistica, di natura risarcitoria, sono reciprocamente indipendenti, anche quando investono i medesimi fatti materiali, perché la prima ha una funzione prevalentemente sanzionatoria, mentre la seconda ha finalità riparatoria e compensativa; ne consegue che eventuali interferenze tra i giudizi non integrano una questione di giurisdizione, bensì di proponibilità dell ‘ azione di responsabilità innanzi al giudice contabile, a meno che non sia contestata dinanzi alla Corte dei conti la configurabilità stessa, in astratto, di un danno erariale, in relazione ai presupposti normativamente previsti per il sorgere della responsabilità amministrativa contestata dal Procuratore contabile.» (Cass. Sez. U., 14/04/2023, n. 9988, Rv. 670947-01): a maggior ragione, dunque, non è sostenibile l ‘ impraticabilità dell ‘ azione ex art. 2033 c.c. a favore dell ‘ azione ex art. 1 Legge 20/1994;
-infine, la stessa denuncia del vizio di «insufficienza della motivazione» rende evidente l ‘ inammissibilità del motivo, trattandosi di doglianza che non rientra tra quelle elencate dall ‘ art. 360 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis e come sostituito fin dal 2012;
-col terzo motivo, formulato in ulteriore subordine ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., si deduce «nullità della sentenza. omissione
di pronuncia su un motivo di appello (il 3°) ovvero, sotto altro aspetto, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.»;
-col terzo motivo d ‘ appello il ricorrente aveva sostenuto che, dato il carattere personale dell ‘ azione di ripetizione di indebito, l ‘ aver considerato Equitalia come litisconsorte necessario denotava ex se l ‘ inapplicabilità alla fattispecie dell ‘ art. 2033 c.c.;
-se è vero che la Corte territoriale non si è pronunciata sul punto, si deve tuttavia considerare che «La mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un ‘ esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame. In tal caso, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall ‘ ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all ‘ art. 111, comma 2, Cost., ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell ‘ art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un ‘ error in procedendo ‘ , quale la motivazione omessa, mediante l ‘ enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, anche quando si tratti dell ‘ implicito rigetto della domanda perché erroneamente ritenuta assorbita, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto» (Cass. Sez. U., 02/02/2017, n. 2731, Rv. 642269-01);
-nella riscossione coattiva la legge sancisce una scissione fra la titolarità del credito, spettante all ‘ ente impositore, che mantiene la titolarità del credito (Cass. Sez. 3, 09/01/2025, n. 560, Rv. 67350402), e la legittimazione all ‘ esercizio delle azioni ad esso inerenti, attribuita all ‘ agente della riscossione (Cass. Sez. 5, 03/12/2019, n. 31476, Rv. 656103-02);
-perciò, in analogia con quanto statuito da Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 6754 del 13/03/2024, l ‘ affidamento all ‘ agente della riscossione del recupero delle somme iscritte a ruolo dal Ministero non fa affatto venire meno in capo a quest ‘ ultimo la qualità di ente creditore degli importi intimati con la cartella di pagamento: conseguentemente, è inconsistente la contraria tesi sostenuta dall ‘ appellante, oggi ricorrente;
-palesemente inammissibile è la denuncia di «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti», non essendo stato neanche identificato un fatto, da intendersi in senso storico o fenomenico, pretermesso;
-col quarto motivo, formulato in estremo subordine ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., si deduce «violazione o falsa applicazione dell ‘ art. 2946 c.c. in relazione all ‘ art. 1 comma 2 della legge 20/1994»;
-il motivo è inammissibile;
-come già esposto (anche dai giudici di merito), l ‘ azione esperita dal Ministero è da ricondurre all ‘ art. 2033 c.c. e non a quella disciplinata dall ‘ art. 1 della Legge n. 20 del 1994: il motivo mira inammissibilmente ad applicare quest ‘ ultima disciplina ad una fattispecie ad essa estranea, prescindendo dalla qualificazione giuridica fornita nella sentenza impugnata e qui confermata; e senza considerare che la disciplina eurounitaria, tesa a garantire la corretta gestione dei fondi che ne sono oggetto e quindi a scongiurarne un uso indebito o illegittimo, non osta affatto all’operatività di termini prescrizionali anche più ampi, se posti dalle singole discipline nazionali;
-in conclusione, il ricorso va respinto e a tale decisione consegue la condanna del ricorrente a rifondere al controricorrente le spese di questo giudizio, liquidate, secondo i parametri normativi, nella misura indicata nel dispositivo;
-va dato atto, però, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente ed al competente ufficio di merito, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , D.P.R. n. 115 del 2002, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13;
p. q. m.
la Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 6.600,00 per compensi, oltre a spese eventualmente prenotate a debito;
ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente ed al competente ufficio di merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, qualora dovuto, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione