Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 31995 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 1 Num. 31995 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 28030 R.G. anno 2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME domiciliata presso quest’ ultimo;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME dall’avvocato NOME COGNOME dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME, domiciliata presso gli ultimi due;
contro
ricorrente e ricorrente incidentale avverso la sentenza n. 1094/2020 depositata il 14 maggio 2020 della Corte di appello di Milano.
Udita la relazione svolta all’udienza pubblica dell’11 ottobre 2024 dal
consigliere relatore NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del sostituto procuratore generale NOME COGNOME udite le difese delle parti.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE è divenuta titolare dei seguenti brevetti di invenzione: EP2287076B1 (EP ‘076) , EP 2497612 B1 (EP ‘612) ed EP250015151 A1 (EP ‘151) , tutti afferenti ad una macchina astucciatrice.
RAGIONE_SOCIALE ha venduto a RAGIONE_SOCIALE cinque linee di imballaggio comprensive di una macchina astucciatrice incorporante, secondo quanto sostenuto da Cama 1, i trovati di cui ai brevetti sopra menzionati.
Dopo un procedimento di descrizione introdotto da RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE hanno convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Milano la titolare dei brevetti, chiedendo di accertare e dichiarare la nullità dei titoli di proprietà industriale in questione, di accertare che la macchina astucciatrice oggetto di vendita non interferiva con l’ambito di protezione delle suddette privative e di condannare la convenuta a risarcire i danni che avevano subito a causa dell’iniziativa cautelare di RAGIONE_SOCIALE.
Con successivo atto di citazione RAGIONE_SOCIALE, a sua volta, ha convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Milano, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, oltre che RAGIONE_SOCIALE chiedendo di accertare la contraffazione delle privative di cui è causa e gli atti di concorrenza sleale posti in essere in proprio danno, con pronuncia, a carico delle convenute, di inibitoria e di condanna al risarcimento del danno.
Le due cause, in cui si sono costituite le parti convenute in giudizio, sono state riunite . Dopo l’esperimento di una consulenza tecnica brevettuale, il Tribunale di Milano ha pronunciato sentenza non definitiva con cui: ha accertato la validità della porzione italiana del brevetto EP ’76, la nullità parziale (relativamente alle rivendicazioni 1,
2, 3, 4, 6, 13, 14, e 15) della porzione italiana del brevetto EP ‘612 e la valid ità della porzione italiana del brevetto EP ‘ 151; ha accertato la contraffazione posta in essere con riguardo ad alcune rivendicazioni di EP ‘612 e di EP ‘151; ha disposto l’inibitoria della prosecuzione e della reiterazione della produzione, commercializzazione, importazione, esportazione e pubblicizzazione, anche a mezzo della rete internet, e vendita della macchina della società RAGIONE_SOCIALE ritenuta in contraffazione e di ogni altro macchinario, commercializzato anche con diversa sigla, che implementasse le caratteristiche delle rivendicazioni contraffatte, disponendo, al riguardo, una penale per ogni successiva violazione e per ogni giorno di ritardo nella cessazione delle vietate condotte; ha respinto infine le altre domande.
A seguito di consulenza contabile, lo stesso Tribunale ha pronunciato, poi, sentenza definitiva con cui ha condannato RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALEA. al risarcimento del danno: danno liquidato in euro 231.652,00, oltre rivalutazione e interessi.
Nei confronti delle due sentenze hanno proposto appello sia RAGIONE_SOCIALE che le società RAGIONE_SOCIALE
Con sentenza del 14 maggio 2020 la Corte di appello di Milano ha riformato il capo della sentenza definitiva relativo alla liquidazione del danno; ha ritenuto che sul punto dovesse trovare applicazione non già il criterio della giusta royalty , ma quello della retroversione dell’utile , e ha condannato RAGIONE_SOCIALE, in solido, al pagamento della somma di euro 1.107.196,00, oltre rivalutazione monetaria e interessi, in favore di RAGIONE_SOCIALE.
– Avverso quest’ultima pronuncia ha proposto ricorso per cassazione, con sei motivi, I.M.A.. RAGIONE_SOCIALE ha notificato controricorso con cui ha pure svolto un ‘impugnazione incidentale basata su cinque motivi.
─ Con ordinanza interlocutoria n. 9506 del 23 febbraio 2024 la causa, oggetto di trattazione camerale, è stata rimessa in pubblica
udienza.
Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo «che la Corte, rigettando il ricorso, confermi i principi espressi da Cass. n. 22984 del 2019» e perché «in via subordinata, rimetta la questione alle Sezioni Unite».
Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Col primo motivo la ricorrente principale denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Si ricorda che la Corte di appello ha ritenuto non provata la predivulgazione delle soluzioni tecniche oggetto delle privative oggetto di causa attribuendo valore a un patto di riservatezza intercorso tra le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE. La sentenza impugnata viene censurata nella parte in cui ha definito la questione relativa alla predivulgazione sulla scorta di un obbligo di riservatezza e ha asserito che non sarebbe stata data prova della circostanza per cui la prima società aveva deliberatamente mostrato il macchinario ai dipendenti della società RAGIONE_SOCIALE Il fatto decisivo è individuato nella violazione del patto di riservatezza: violazione di cui la ricorrente avrebbe inteso dar riscontro con la prova testimoniale.
Il secondo mezzo del ricorso principale oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 66 c.p.i. (d.lgs. n. 30/2005) con riferimento all’omessa applicazione della norma modificata attraverso la l. n. 214/2016. Si assume che nella circostanza avrebbe dovuto conferirsi valore determinante a una precisa circostanza: quella per cui, avendo RAGIONE_SOCIALE. fornito macchinari idonei ad attuare il metodo produttivo a un soggetto che si sarebbe avvalso di tale procedimento in Canada, al di fuori – quindi – del territo rio dello Sato italiano o di altro Stato aderente alla convenzione per il brevetto europeo unitario, non poteva dirsi sussistente l’illecito di cui all’art. 66, comma 2 bis c.p.i. (norma, questa reputata di immediata applicazione, ai fini che interessano).
Col terzo motivo la ricorrente principale lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 125 c.p.i. nella parte in cui ha ritenuto sussistente il diritto di Cama 1 di ottenere la retroversione degli utili realizzati da I.M.A.. Viene rilevato che la sentenza impugnata aveva accertato che la sussistenza, nelle macchine astucciatrici, della soluzione brevettata era non solo tecnicamente rilevante, in quanto surrogabile da altre soluzioni costituenti arte nota, ma anche assolutamente inconsistente nell’economia del processo decisionale che aveva portato la cliente canadese a concludere il contratto di acquisto delle stesse. In conseguenza, la Corte di appello avrebbe dovuto respingere la pretesa risarcitoria non potendosi in alcun modo correlare le vendite con la contraffazione brevettuale.
Col quarto motivo IMA oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 125, comma 3, c.p.i. nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto di sottoporre a retroversione l’intero utile realizzato con la vendita delle cinque macchine oggetto di compravendita. Si deduce che gli utili da sottoporre a retroversione sono «solo quelli relativi all’arricchimento ingiustificato realizzato dal contraffattore, con tale espressione dovendosi intendere l’arricchimento coincidente con l’usurpazione delle utilità dipendenti dallo sfruttamento della privativa».
IMA svolge, poi, un quinto motivo di ricorso con cui pone una questione di costituzionalità dell’art. 123, comma 3, c.p.i.. Si assume, in subordine, che ove non si interpreti la norma sopra richiamata «in speciale chiave risarcitoria, nei limiti dell’effettivo arricchimento», si attribuirebbe alla stessa un valore punitivo e si prospetterebbe, in conseguenza, una questione di incostituzionalità. Si osserva infatti che la dir. 2004/48/CE (c.d. direttiva eforcement ) non contempla, all’art. 13.1, lett. a), un diritto alla restituzione degli utili del contraffattore: essa si limita a prevedere che i benefici realizzati illegalmente dall’autore della violazione costituiscono uno dei dati di cui si tiene conto ai fini della liquidazione del danno; la legge italiana di attuazione della
direttiva non autorizzerebbe, quindi, la configurazione di un diritto quale quello enucleato dalla norma con cui la direttiva è stata recepita. Tale incostituzionalità della norma sarebbe evitata – si aggiunge – ove il nesso causale assumesse rilievo quale elemento costituivo del rimedio di cui al cit. art. 125, comma 3, c.p.i..
Il ricorso principale si chiude con un sesto motivo con cui si invoca la rimessione di una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, a norma dell’art. 267 T.F.U.E.. La richiesta è formulata per l’ipotesi in cui questa Corte non intenda discostarsi dall’interpretazione che il Giudice di appello ha dato dell’art. 125, comma 3, c.p.i.. Si deduce, al riguardo, che risulta contraria all’interpretazione del considerando n. 26 della dir. 2004/48, oltre che dei principi dell’ordinamento euro-unitario, una interpretazione della detta norma nazionale che veda «nella retroversione degli utili una sanzione sganciata dalla effettività del pregiudizio e dai principi del nesso causale»: una tale interpretazione ad avviso della ricorrente, attribuirebbe al rimedio una connotazione punitiva confliggente con la direttiva stessa.
Col primo motivo del ricorso incidentale si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 c.c., 40 e 41 c.p. e 125 c.p.i.. Ci si duole che la Corte territoriale abbia escluso il nesso causale con riferimento agli elementi meccanici dell’inter a linea di imballaggio, senza porsi il problema di stabilire se esistessero ulteriori concause che dessero conto della scelta, da parte della società canadese RAGIONE_SOCIALE, di procedere all’acquisto di tali elementi: si menzionano, al riguardo, l’interesse di detta impresa ad avere un unico fornitore per l’intera linea di packaging e l’apprezzamento della stessa RAGIONE_SOCIALE per le competenze di RAGIONE_SOCIALE.
Il secondo motivo del ricorso incidentale prospetta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c.. Il mezzo di censura verte sui plurimi errori di percezione in cui sarebbe incorsa la Corte di appello
nella ricognizione delle prove documentali da cui si era desunto che l’acquisto delle cinque linee di imballaggio acquistate dalla società canadese RAGIONE_SOCIALE non potesse dirsi «trainata» dalla speciale tecnologia della macchina astucciatrice.
Col terzo motivo Cama 1 prospetta la violazione o falsa applicazione degli artt. 115, comma 1, e 116 c.p.c.. Il mezzo si raccorda a quello che precede: la sentenza impugnata e censurata nella parte in cui è affermato che RAGIONE_SOCIALE aveva fornito anche un riassunto in lingua italiana – il cui significato non era stato contestato da Cama 1 – di alcuni documenti; si rileva che essa istante aveva eccepito la mancata produzione di tali scritti e che l’onere di contestazione può avere ad oggetto i fatti allegati da controparte, e non il riassunto o l’interpretazione che l’altra parte dia del contenuto del significato delle proprie produzioni documentali.
Il quarto motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 115, comma 1, e 116, comma 1, c.p.c.. A proposito della mancata contestazione del riassunto in lingua italiana dei documenti di cui al terzo motivo si lamenta che la Corte di appello abbia disatteso la regola secondo cui il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti.
Col quinto motivo la ricorrente per incidente prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 54, comma 2, c.b.e. (convenzione sul brevetto europeo). La censura verte sull’accertamento della nullità parziale del brevetto EP ‘612; si lamenta, in sint esi, che, nell’apprezzamento della predivulgazione del trovato, la Corte distrettuale avrebbe attribuito rilievo a una circostanza inconferente: le 200.000 visualizzazioni di un filmato presente sul web di una macchina, della società americana RAGIONE_SOCIALE, ch e costituirebbe un’anteriorità distruttiva delle rivendicazioni della citata privativa.
2. Con l’ordinanza interlocutoria sopra menzionata questa
Corte ha rilevato che nelle rispettive memorie ex art. 380bis .1 le parti avevano dato atto che i brevetti europei EP ‘612 e EP ‘151 erano stati revocati dal Board of Appeal dell’EPO nella pendenza del presente giudizio di legittimità e che la seconda privativa era stata convertita in modello di utilità; ha reputato il Collegio che a fronte di tale nuova situazione si imponesse il rinvio del ricorso per valutare il rilievo che poteva assumere in questa sede l’intervenuto mutamento di uno dei titoli di proprietà industriale oggetto del giudizio: tanto più in considerazione dell’imminente pronuncia sulla Request for petition for review di cui, a mente di quanto dedotto nelle memorie, era stato investito l’ Enlarged Board od Appeal dell’EPO .
Nelle more l’ Enlarged Board od Appeal ha reso due pronunce con cui le impugnazioni proposte avverso le decisioni di revoca dei brevetti EP ‘612 ed EP ‘151 sono state disattese.
Questi ultimi sono gli unici titoli di privativa di cui oggi si controverta, posto che, come si legge nella sentenza impugnata (pag. 16), EP ‘ 076 è restato estraneo anche al giudizio di appello.
Va qui rammentato quali siano gli effetti derivanti della definitiva statuizione circa la revoca del brevetto europeo. A norma dell’art. 68 c.b.e., in caso di revoca della privativa, la domanda e il brevetto che ne è risultato sono considerati fin dall’inizio privi degli effetti di cui agli articoli 64 e 67: la revoca dei titoli di proprietà industriale ha avuto quindi effetto retroattivo.
Non coglie nel segno il rilievo formulato dal Procuratore Generale, incentrato sull’evocazio ne del principio enunciato da Cass. 16 settembre 2019, n. 22984. Nella circostanza questa S.C. ha affermato che la previsione dell’inefficacia del brevetto italiano nel caso in cui si sia concluso il procedimento di opposizione a quello europeo con il mantenimento dello stesso, contenuta nell’art. 59, comma 1, lett. b), c.p.i. in ossequio al divieto di cumulo delle protezioni, non implica che laddove l’opposizione al brevetto europeo sia stata accolta, perda
automaticamente efficacia anche quello italiano, che costituisce titolo autonomo, la cui validità va accertata facendo applicazione della normativa interna. L’affermazio ne concerne il caso , previsto dall’art. 59 cit., primo comma, in cui un brevetto italiano e un brevetto europeo valido in Italia siano stati concessi con la medesima data di deposito o di priorità per la stessa invenzione. Nel presente giudizio, invece, si fa questione di soli brevetti europei. In tal senso, la decisione da adottare non interferisce con la pronuncia sopra indicata e non si configura l’ eventualità di un contrasto di giurisprudenza sul punto, tale da giustificare la rimessione della causa alle Sezioni Unite (secondo la richiesta formulata in via subordinata dalla Procura Generale).
Il venir meno, con effetto ex tunc , di EP ‘151 e di EP ‘612 è destinato a riflettersi sulla sorte del presente giudizio, avente ad oggetto l’impugnazio ne della sentenza di appello che si è occupata della validità e della contraffazione delle due privative.
Deve tuttavia prendersi in considerazione il fatto che per EP ‘151 è intervenuta, in sede amministrativa, la conversione prevista dall’art. 58, comma 2, c.p.i..
-Quest’ultima norma dispone: « È consentita la trasformazione in domanda nazionale per modello di utilità di una domanda di brevetto europeo respinta, ritirata o considerata ritirata o del brevetto europeo anche con effetto unitario revocato il cui oggetto abbia i requisiti di brevettabilità, previsti dalla legislazione italiana per i modelli di utilità ».
La fattispecie di cui qui si discorre è distinta da quella presa in considerazione d all’art. 76, comma 3, c.p.i., secondo cui la domanda di conversione può essere proposta in ogni stato e grado del giudizio; detta disposizione si riferisce, come è evidente, alla conversione richiesta in sede giudiziale, mentre nel caso in esame viene in questione la conversione della frazione italiana del brevetto europeo che è stata promossa avanti all’UIBM, e quindi in sede amministrativa.
8. La conversione giudiziale introduce una deroga ai principi che regolano la formazione del thema decidendum proprio in quanto può essere domandata in ogni stato e grado del giudizio: espressione, questa, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non implica, peraltro, che la conversione stessa possa essere richiesta in sede di legittimità, dal momento che non è possibile ivi rivalutare le risultanze istruttorie acquisite nella fase di merito per accertare se sulla base delle stesse il trovato sia suscettibile di protezione sotto il profilo del modello di utilità (così Cass. 28 aprile 2010, n. 10218, in motivazione); e il rilievo appare tanto più convincente ove si consideri che lo scrutinio della domanda di conversione giudiziale esige un accertamento di fatto, quanto alla volontà del richiedente di ottenere un brevetto diverso da quello nullo qualora il detto soggetto avesse avuto conoscenza della nullità incidente sul l’originario titolo di privativa (cfr. art. 76, comma 3, cit., c.p.i.).
In termini generali, la deroga di cui si è detto implica un sicuro ampliamento della materia del decidere: per effetto della domanda di conversione il giudice deve infatti accertare i requisiti per la validità del diverso brevetto, come è presupposto dall’art. 76, comma 3, e quindi, nel caso di conversione del brevetto di invenzione in modello di utilità, i requisiti di brevettibilità di quest’ultimo in relazione al fatto che il trovato conferisca particolare efficacia o comodità di applicazione o di impiego a macchine, strumenti, utensili o oggetti (art. 82, comma 1, c.p.i.); alla conversione del brevetto in modello di utilità seguirà, poi, come conseguenza necessitata dal nuovo scenario processuale, che la verifica della contraffazione di cui abbiano dibattuto le parti nel corso del giudizio di merito vada condotta avendo riguardo al modello di utilità in cui è stato convertito il brevetto di invenzione, e non avendo riguardo a quest’ultimo.
Nella diversa fattispecie prevista dall’art. 58, comma 2, c.p.i. il legislatore non ha contemplato eccezioni alle norme del codice di rito
che regolano le preclusioni processuali, onde un ampliamento del thema decidendum nel senso appena indicato non può aver luogo: tanto meno in sede di legittimità, visto che la stessa conversione giudiziale trova ostacolo, come si è detto, nella peculiarità propria del giudizio avanti alla Corte di cassazione.
9. – In definitiva, tornando alla specificità della presente impugnazione, ciò che rileva è che il giudizio originariamente introdotto avanti al Tribunale di Milano e oggi pendente innanzi a questa Corte di legittimità concerna specifici titoli di privativa: titoli che hanno definito i contorni della controversia, dando una precisa identità al petitum e alla causa petendi della stessa. Anche gli accertamenti di cui questa Corte è stata investita in ragione dell’impugnazione della sentenza delle Corte di appello di Milano restano delimitati da quei titoli e non possono essere surrogati da scrutini aventi un diverso oggetto, che investano la validità e la contraffazione del modello di utilità conseguito medio tempore da CAMA 1. Senza contare che è comunque interdetta, avanti a questa S.C., la verifica circa la validità del modello di utilità e circa la sua reale interferenza con la macchina astucciatrice di IMA: tale verifica investirebbe questioni nuove, sottratte alla cognizione della Corte in quanto non riconducibili a profili di mero diritto, implicando esse una qualche ricognizione della nuova privativa.
10. La difesa di COGNOME ha osservato, nella seconda memoria, che IMA ha impugnato la sentenza di appello con riguardo alla validità di EP ‘151 «con un’unica censura, contenuta nel suo primo mezzo di ricorso e legata alla sussistenza o meno di pretesi fatti di predivulgazione del trovato protetto, che la sentenza di primo grado e quella di prime cure hanno concordemente escluso sulla scorta di valutazioni in diritto riguardanti l’esistenza ed il perimetro soggettivo delle obblighi di riservatezza assunti dai soggetti coinvolti nella supposta predivulgazione»; ha aggiunto che, pertanto, ove il detto mezzo di censura sia disatteso nella presente sede, «non residuerà
nessun tema controverso sulla validità del modello di utilità derivante dalla conversione».
Va però ribadito che il titolo di proprietà industriale che oggi viene in questione è diverso da quello originario, definitivamente venuto meno, e che, in conseguenza di ciò, anche la domanda risarcitoria che su di esso si fonda deve considerarsi nuova rispetto a quella inizialmente spiegata. Va aggiunto, per mera completezza espositiva, che, contrariamente a quanto dedotto nell’indicata memoria, l’attuata conversione renderebbe per certo proponibili questioni nuove rispetto a quella, già introdotta con riguardo a EP ‘151 , della predivulgazione del trovato. Proprio in quanto il modello di utilità di cui oggi si lamenta la contraffazione è altra cosa rispetto al brevetto di invenzione di cui si è discusso avanti al Tribunale e alla Corte di appello, una ipotetica ammissibilità del mutamento, nei termini appena indicati, della domanda iniziale non potrebbe di certo privare la convenuta in contraffazione del potere di eccepire i profili di nullità che riguardino il nuovo titolo di privativa: primo tra tutti quello circa la brevettabilità del trovato come modello di utilità. Una diversa soluzione genererebbe una ingiustificata menomazione del diritto di difesa di quella parte.
11 . – Ci si deve arrestare, allora, alla presa d’atto della revoca dei due brevetti europei dedotti in giudizio. L’accertamento della validità del brevetto per modello di utilità e della contraffazione dello stesso non potranno essere oggetto di trattazione che in separato giudizio.
Va correlativamente affermato il seguente principio di diritto: «In tema di controversie sulla validità e contraffazione del brevetto, la trasformazione , a norma dell’art. 58 , comma 2, c.p.i., in modello di utilità, del brevetto europeo che sia stato revocato, costituisce fattispecie diversa dalla conversione giudiziale disciplinata dalla norma di cui all’art. 76, comma 3, c.p.i. e pertanto non giustifica, a seguito del maturarsi, nel giudizio, delle preclusioni assertive, alcuna immutazione del thema decidendum della causa».
12. – Per effetto della irretrattabile pronuncia di revoca intervenuta avanti all’EPO, la sentenza impugnata – che ha ritenuto valido un brevetto e solo parzialmente nullo l’altro, riconoscendo, al contempo, un risarcimento per la contraffazione degli stessi – deve essere cassata senza rinvio. La situazione determinatasi è difatti equiparabile, anche se non completamente sovrapponibile, a quella del giudicato esterno, ostativo dell’esame delle proposte censure (per cui, con riguardo a diversa ipotesi, cfr. Cass. 21 maggio 2014, n. 11219).
13 . – Le spese dell’intero giudizio (sia quelle del merito che quelle di legittimità) possono compensarsi, tenuto conto che la cassazione non è determinata dall’accoglimento dei motivi di ricorso.
P.Q.M.
La Corte decidendo sui ricorsi, cassa senza rinvio la sentenza impugnata; compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione