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Revoca amministratore srl: violazione non compete

La Corte di Cassazione ha esaminato un caso di revoca amministratore srl per giusta causa, originato dalla violazione di un patto di non concorrenza contrattuale. La Corte ha rigettato sia il ricorso dell’ex amministratore, specificando che la base della revoca era il patto specifico e non una norma di legge generale, sia quello della società, che intendeva negare i compensi pregressi. È stato chiarito che per una violazione passata e definitiva, il rimedio è il risarcimento del danno (se provato) e non la sospensione del pagamento.

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Revoca Amministratore SRL per Violazione del Patto di Non Concorrenza: L’Analisi della Cassazione

La revoca amministratore srl per giusta causa è un tema delicato che interseca diritto societario e contrattuale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un caso emblematico, chiarendo i confini tra violazione di un patto contrattuale di non concorrenza e le norme di legge, e precisando le conseguenze sul diritto al compenso dell’amministratore. L’analisi della Suprema Corte offre spunti fondamentali per società e amministratori sulla gestione dei rapporti e sulla validità delle clausole di non concorrenza.

I Fatti di Causa

Il caso nasce dalla revoca per giusta causa di un amministratore delegato di una S.r.l. attiva nel settore degli eventi fieristici. La società contestava all’amministratore di aver violato un patto di non concorrenza, sottoscritto con la società controllante, per aver promosso l’espansione di una fiera concorrente in settori merceologici di diretto interesse per la S.r.l. da lui amministrata.

La Corte d’Appello aveva confermato la legittimità della revoca, riconoscendo la violazione dell’accordo contrattuale come una rottura del rapporto fiduciario. Tuttavia, aveva stabilito che l’amministratore avesse comunque diritto a percepire i compensi maturati fino al momento della revoca, respingendo la richiesta della società di trattenerli.

Contro questa decisione, sia l’erede dell’amministratore (per la parte relativa alla legittimità della revoca) sia la società (per la parte relativa al pagamento dei compensi) hanno proposto ricorso in Cassazione.

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato e rigettato entrambi i ricorsi, fornendo chiarimenti cruciali su due fronti distinti.

Il Ricorso dell’Amministratore: la Centralità del Patto Contrattuale

L’erede dell’amministratore basava il suo ricorso su diversi motivi, tra cui la presunta inapplicabilità agli amministratori di S.r.l. del divieto di concorrenza previsto dall’art. 2390 c.c. per le S.p.A.

La Cassazione ha giudicato inammissibile questo motivo, sottolineando un punto fondamentale: la ratio decidendi (la ragione fondante della decisione) della Corte d’Appello non era la violazione della norma di legge, ma la violazione del patto contrattuale di non concorrenza specificamente sottoscritto. Il riferimento all’art. 2390 c.c. era stato fatto solo ad abundantiam, ovvero come argomento aggiuntivo e non essenziale. La giusta causa per la revoca amministratore srl derivava, quindi, dall’inadempimento di un obbligo assunto volontariamente tramite contratto, che aveva irrimediabilmente compromesso il legame di fiducia con la società.

Gli altri motivi, relativi all’interpretazione del patto e alla valutazione delle prove, sono stati parimenti dichiarati inammissibili in quanto miravano a un riesame del merito dei fatti, non consentito in sede di legittimità.

Il Ricorso della Società e il Principio “Inadimplenti Non Est Adimplendum”

La società, dal canto suo, sosteneva di non dover pagare i compensi maturati nel periodo in cui l’amministratore aveva tenuto la condotta concorrenziale, invocando il principio inadimplenti non est adimplendum (art. 1460 c.c.), secondo cui chi è inadempiente non può pretendere l’adempimento altrui.

Anche questo ricorso è stato rigettato. La Corte ha spiegato che tale principio ha un’efficacia dilatoria e non definitiva. Si applica legittimamente quando serve a stimolare la controparte a eseguire una prestazione ancora possibile. Nel caso di specie, l’obbligo violato era un’obbligazione negativa: astenersi da atti di concorrenza. Una volta compiuto l’atto concorrenziale, la violazione è consumata e definitiva. Non è più possibile ‘adempiere’ a posteriori a un obbligo di non fare già violato.

Di conseguenza, all’inadempimento definitivo non si può opporre il rifiuto di pagare il corrispettivo, ma si sostituisce l’obbligazione risarcitoria. La società avrebbe potuto chiedere il risarcimento dei danni, che però, nel corso del giudizio di merito, non era riuscita a provare nel loro nesso causale con la condotta dell’amministratore.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si concentrano sulla distinzione netta tra obblighi legali e obblighi contrattuali, e sulla natura delle tutele a disposizione delle parti. La decisione di revocare l’amministratore era legittima perché fondata sulla violazione di un preciso accordo contrattuale, che aveva minato la fiducia, elemento essenziale del mandato. D’altra parte, il diritto al compenso per l’attività già svolta non poteva essere negato sulla base di una violazione passata e irreversibile. La tutela per la società risiedeva nella possibilità di chiedere i danni, un percorso che richiede però una prova rigorosa del pregiudizio subito e del suo legame diretto con l’inadempimento.

Conclusioni

L’ordinanza offre importanti indicazioni pratiche:

1. Per le società: L’efficacia di un divieto di concorrenza per un amministratore di S.r.l. è massima se formalizzata in un patto contrattuale specifico e ben redatto. Questo costituisce una solida base per un’eventuale revoca amministratore srl per giusta causa.
2. Per gli amministratori: La sottoscrizione di patti di non concorrenza comporta obblighi precisi la cui violazione può portare non solo alla revoca, ma anche a richieste di risarcimento danni.
3. Sui compensi: Una violazione passata di un obbligo di non fare non giustifica automaticamente il mancato pagamento dei compensi maturati. Il rimedio corretto per la società è l’azione di risarcimento del danno, che deve essere adeguatamente provato in giudizio.

La regola sul divieto di concorrenza per gli amministratori di S.p.A. si applica direttamente a quelli di S.r.l.?
La sentenza chiarisce che il punto centrale non è l’applicazione analogica della norma (art. 2390 c.c.), ma la violazione di uno specifico patto contrattuale di non concorrenza. La revoca è stata ritenuta legittima sulla base dell’inadempimento di questo accordo privato, a prescindere dall’applicabilità diretta della norma di legge.

Una società può rifiutarsi di pagare i compensi a un amministratore che ha violato un patto di non concorrenza?
No, se la violazione si riferisce a un periodo passato ed è definitiva. La Corte ha stabilito che il principio ‘inadimplenti non est adimplendum’ non si applica a inadempimenti di obblighi di ‘non fare’ già consumati. In questi casi, il diritto al compenso per l’attività svolta rimane, mentre alla società spetta il diritto di chiedere il risarcimento del danno, se riesce a provarlo.

Qual è il fondamento principale per la revoca per giusta causa in caso di concorrenza sleale da parte di un amministratore di S.r.l.?
Il fondamento è la rottura del rapporto fiduciario. Come evidenziato dalla Corte, la condotta in violazione di un patto di non concorrenza fa venir meno l’affidamento che i soci ripongono nelle capacità gestionali e nella lealtà dell’amministratore, integrando così una giusta causa per la sua revoca.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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