Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 17760 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 17760 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18998/2021 R.G. proposto da :
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE DI BARIRAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
DCOGNOMENOME COGNOME elettivamente domiciliato in TARANTO INDIRIZZO DIGINDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BARI n. 1246/2021 depositata il 30/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Ritenuto che:
Con sentenza nr 1246/2021 la Corte di appello di Bari accoglieva il gravame proposto da NOME COGNOME nei confronti dell’Azienda Sanitaria locale della Provincia di Bari avverso la pronuncia nr 277/2020 del Tribunale di Bari con cui era stata respinta l’impugnativa della delibera di revoca di NOME COGNOME dall’incarico di amministratore della società RAGIONE_SOCIALE
Rilevava la Corte che in data 28.12.2017 l’Assemblea della RAGIONE_SOCIALE aveva deliberato ‘ la risoluzione del contratto di prestazione d’opera intellettuale regolante il rapporto con l’Amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE sottoscritto in data 21.07.2016 con NOME COGNOME dichiarando la decadenza dall’Amministratore Unico’ della predetta società giusta previsione contenuta nell’art 7 del contratto predetto sottoscritto in data 21.07.2016 e comunque la revoca per giusta causa dell’Amministratore Unico prevista dall’art 14 dello Statuto.
Osservava che il socio unico aveva motivato la revoca rilevando che l’organo amministrativo aveva sottoscritto due contratti di consulenza legale, uno in data 22.2.2017 con l’avv NOME COGNOME per la durata di un biennio con la previsione di un
compenso di € 10.00,00 l’altro in data 31.3.2017 con l’avv NOME COGNOME per la durata di un triennio al costo di € 3166,00 mensili in violazione degli obblighi sanciti dalla normativa vigente, in spregio ai criteri di organizzazione e gestione della società strumentali alle attività delle Aziende ed Enti del servizio sanitario regionale ,fissati dalla deliberazione della Giunta regionali nr 2271 del 3.12.2013 ed in contrasto con gli obblighi contrattuali e statutari vigenti; sempre in tale delibera veniva dato atto che era venuto meno il rapporto fiduciario fra il Direttore generale e l’Amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE e che data la gravità delle contestazioni e la relativa urgenza il provvedimento di risoluzione veniva adottato ‘senza la preventiva contestazione formale dell’addebito all’interessato’.
Riteneva la Corte che in base all’art 7 del contratto di prestazione d’opera, che costituiva una lex specialis del rapporto intercorrente fra le parti come integrato dall’art 14 comma 10 dello Statuto societario che prevede la possibilità di revoca per giusta causa in qualunque tempo da parte del socio unico, salvo il diritto al risarcimento del danno, la delibera impugnata doveva ritenersi illegittima per la mancata contestazione degli addebiti.
Osservava che, se pur in base all’art 2383, terzo comma e dell’art 14, comma 10 dello statuto societario non presupponeva la preventiva contestazione tale necessità era prevista dal contratto di prestazione d’opera intellettuale che sul punto andava ad integrare la disciplina codicistica e quella statutaria.
Rilevava altresì che in base all’art 9 commi 7 e 8 del dlvo 2016 nr 175 qualora lo statuto delle società partecipate preveda ai sensi dell’art 2449 c.c., la facoltà di socio pubblico di nominare o revocare direttamente uno o più componenti di organi interni della
società, i relativi atti sono efficaci dalla data di ricevimento, da parte della società, della comunicazione dell’atto di nomina o di revoca; la mancanza o l’invalidità dell’atto di nomina o revoca nei confronti della società.
Escludeva poi che nella specie sussistesse l’urgenza idonea ad escludere la necessità di una contestazione preventiva degli addebiti, in quanto non era configurabile alcun danno in concreto per la società durante il periodo di durata del procedimento amministrativo finalizzato alla revoca previa contestazione degli addebiti.
Riteneva che all’illegittimità della delibera legata alla mancanza della preventiva contestazione degli addebiti avrebbe dovuto conseguire la reintegra ma poiché era ormai decorso il termine triennale di durata dell’incarico previsto dall’art 6 del contratto di prestazione d’opera intellettuale non poteva essere disposta la suddetta reintegra e andava quindi riconosciuto in favore dell’appellante il risarcimento pari alla mancata percezione delle retribuzioni non percepite sino alla scadenza del contratto pari ad € 146.200,00 maggiorate degli interessi legali dalla singole scadenze delle retribuzioni sino al soddisfo.
Avverso tale sentenza l’Asl Bari RAGIONE_SOCIALE Bari RAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi cui ha resistito NOME COGNOME con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative in vista dell’udienza camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1362,1363,1372,1374, 2383 comma terzo, 2449 e
2479 ter c.c. nonché dell’art 9 del dlvo 2016 nr 175 per avere il Giudice di appello esteso l’onere della preventiva contestazione dell’addebito all’ipotesi di revoca per giusta causa che invece era stato attribuito dallo Stato al socio unico.
Si lamenta altresì che il giudice del merito avrebbe erroneamente riconosciuto l’illegittimità della delibera adottata da RAGIONE_SOCIALE in data 28.12.2017 per la mancata contestazione dell’addebito e dell’adozione del provvedimento di revoca nelle forme tipiche dell’atto amministrativo.
Con un secondo motivo si deduce la violazione degli articoli e falsa applicazione degli articoli 1362,1363,1372 e 1374 c.c. nonché degli articoli 7 e 21 octies, comma secondo della legge 1990 nr 241.
Si rileva che qualora si volesse interpretare il contenuto della clausola nel senso di estenderla anche al caso di revoca unilaterale per giusta causa occorreva tenere conto della espressa esclusione convenzionale dell’onere di preventiva contestazione dell’addebito ai casi ‘ di particolare gravità ed urgenza’.
Si osserva che l’affidamento di incarichi di assistenza legale di tipo generale, stabile e continuativo, aventi durata pluriennale, che ponevano a carico della società l’obbligazione di pagamento di compensi fissi e predeterminati, a prescindere dalle prestazioni effettivamente ricevute, costituiva una violazione delle regole di evidenza pubblica codificate dagli articoli 4 e 17 del Dlvo 2016 nr 50, certamente applicabili in materia di affidamento di servizi legali non ricollegati ad un singolo procedimento, ma aventi ad oggetto la prestazione generale di attività di consulenza e assistenza in materia giudiziale e stragiudiziale per una durata pluriennale, dietro corrispettivo da liquidarsi in misura fissa nonché in violazione dei
principi di economicità, efficacia ed imparzialità, trasparenza e proporzionalità sanciti dall’art 97 della Cost.
Si sostiene che tali fatti tipizzati quali inadempimento erano idonei a giustificare l’esercizio del potere di risoluzione unilaterale del rapporto da parte del socio ai sensi dell’art 7 comma sesto lett a) e c) del contratto sottoscritto tra le parti in data 21.7.2016.
A tali considerazioni si aggiunge che ai sensi dell’art 14 comma 12 dello Statuto ricorreva una giusta causa di revoca posto che l’amministratore aveva dato esecuzione a tali incarichi senza che il socio unico avesse espresso il suo parere per iscritto certamente necessario in forza della previsione statutaria.
Si sottolinea che il Direttore generale dell’Asl Ba nel motivare il provvedimento aveva rimarcato come fosse venuto meno il rapporto di fiducia con il socio unico oltre che la violazione delle norme statutarie e contrattuali sicchè erano configurabili a fronte di tali comportamenti di rilevante gravità ragioni di urgenza che giustificavano la revoca per giusta causa senza contestazione degli addebiti.
Con un terzo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo ex art 360 primo comma nr 5 c.p.c. per non avere la Corte tenuto conto che la questione relativa all’affidamento di alcuni singoli incarichi di assistenza legale da parte dell’amministratore era stata già sollevata a seguito della segnalazione di una associazione sindacale e NOME COGNOME aveva inoltrato al Direttore dell’Asl la propria lettera del 25.8.2017 fornendo le sue giustificazioni poco pertinenti con gli addebiti che gli erano stati mossi.
Con un quarto motivo si censura la decisione sotto il profilo della violazione degli articoli 2383 terzo comma,2449 secondo comma,
dell’art 1, comma terzo del dlvo 2016 nr 175 per avere la Corte di appello riconosciuto la tutela reale poi convertita in un risarcimento del danno malgrado l’insussistenza di alcun accertamento della mancanza della giusta causa.
Con un quinto motivo si lamenta la violazione dell’art 112 c.p.c. in relazione all’art 360 primo comma nr 4 c.p.c. per avere la Corte di appello una volta riconosciuto non correttamente una tutela risarcitoria, omesso di pronunciarsi sulla questione sollevata dall’appellante in relazione alla validità della clausola 14 comma 11 che prevedeva in caso di revoca senza giusta causa il pagamento in favore dell’amministratore di una somma pari al compenso mensile sino al massimo di sei mensilità
Con un sesto motivo si denuncia la violazione degli articoli 1372.1374. 2383, comma terzo e 2449 primo e secondo comma in relazione all’art 360 primo comma nr 3 c.p.c. per avere la Corte di appello liquidato il quantum risarcitorio dalla revoca sino alla scadenza del contratto senza tener conto della clausola che prefissava in via convenzionale il limite massimo del risarcimento dovuto all’amministratore revocato senza giusta causa in sei mensilità.
Il primo motivo è infondato.
Ai fini di un corretto inquadramento del problema veicolato con il mezzo in esame è opportuno distinguere fra il contratto di prestazione d’opera intellettuale e la disciplina societaria.
Nel primo è stato previsto al punto 7 del quale causa di risoluzione, e conseguenziale decadenza dall’incarico, la violazione del principio di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione, la previa contestazione formale dell’addebito ai sensi della legge 241/1990.
Nella disciplina societaria invece ‘la giusta causa di revoca consiste nell’esistenza di circostanze sopravvenute, anche non integranti inadempimento, siano o no provocate dall’amministratore, le quali pregiudicano l’affidamento nelle sue attitudini e capacità, ossia il “rapporto fiduciario” (Cass 18182/19; 23 marzo 2017, n. 7475;15 ottobre 2013, n. 23381; 14 maggio 2012, n. 74255 agosto 2005, n. 16526; 7 agosto 2004, n. 15322; 21 novembre 1998, n. 11801; 22 giugno 1985, n. 3768).
La giusta causa è ritenuta nozione più lata dell’inadempimento contrattuale, in quanto rinvia alla giusta causa di revoca del mandato di cui all’art. 1725 c.c. (Cass. 4586/23).
Ciò posto nel caso di specie la Corte distrettuale ha accertato che attraverso la sottoscrizione dei due contratti di consulenza legale del 22.2.2017 e del 31.3.2017 l’amministratore aveva violato il principio di buon andamento ed imparzialità sicchè a norma dell’art 7 trattandosi di inadempimento contrattuale la revoca avrebbe dovuto essere preceduta dalla contestazione degli addebiti.
Tale disposizione come interpretata dal giudice di appello è coerente con il dato testuale laddove richiede per ogni forma di risoluzione e quindi anche di quella unilaterale la preventiva contestazione degli addebiti.
La disciplina convenzionale rispetto a quella codicistica dell’art 2383 c.c. condiziona l’esercizio del potere di revoca all’espletamento di determinate formalità non previste dalla regolamentazione legale. Si tratta di una disciplina derogatoria che le parti ben possono stabilire nell’ambito della loro autonomia negoziale a garanzia di una di esse.
La Corte di appello ha poi ritenuto che la delibera di revoca dell’amministratore per giusta causa fosse invalida ravvisando
anche un vizio legato all’organo deliberante che in base all’art 9, comma 8 del dlvo 175/2016 spettava al socio pubblico che avrebbe dovuto esprimersi tramite un atto interno.
Sul punto giova ricordare che il comma 7 dell’art. 9 del D.Lgs. n. 175 del 2016, nel prevedere che la nomina o la revoca di uno o più componenti di organi interni della società “sono efficaci dalla data di ricevimento, da parte della società, della comunicazione” dei relativi atti, fa comprendere come questi siano posti in essere tramite procedure extra-assembleari, non giustificandosi, diversamente, la predetta comunicazione: lo schema che si delinea è, dunque, quello di un atto adottato dal socio pubblico che, in forza della legge, produce effetti diretti nell’ordinamento societario.
L’esistenza di un effetto diretto va ribadita nonostante l’ambigua formulazione ulteriore manifestazione di volontà della società stessa, nella forma della nomina o della revoca dei componenti degli organi interni di cui trattasi. Sicché può credersi che la disposizione da ultimo richiamata fornisca una semplice precisazione quanto agli effetti che produce la mancanza o l’invalidità dell’atto deliberativo: e ciò nel senso che l’assenza o la patologia di tale atto non assume rilievo solo per il socio pubblico, ma si riverbera nell’ordinamento societario della partecipata ( Cass 2024 nr 31994).
Alla luce di quanto sin qui esposto è condivisibile il ragionamento svolto dalla Corte distrettuale laddove ha ritenuto che la revoca avrebbe dovuto essere adottata attraverso un atto interno del socio pubblico e non dall’Assemblea, la quale al più avrebbe potuto recepire la volontà di quest’ultimo.
Il secondo motivo è inammissibile.
La Corte ha escluso l’esistenza dell’urgenza, non essendo configurabile un danno per la società durante il periodo del procedimento amministrativo di contestazione dell’addebito.
La contestazione sollevata dalla ricorrente investe il merito andando ad attingere proprio l’apprezzamento del fatto compiuto dai giudici del merito, che costituisce la prerogativa insindacabile di questi ultimi.
Con riguardo poi alla censura relativa all’omesso esame della lettera del 25.8.2017 che secondo le ricorrenti costituirebbe una’ prova inconfutabile’ della preventiva contestazione degli addebiti si deve rilevare l’inammissibilità.
Va infatti rilevato che la deduzione è nuova non essendovi traccia nella decisione impugnata.
Parte ricorrente non ha indicato e neppure localizzato in quale atto delle fasi precedenti l’avesse sollevata.
Deve quindi darsi continuità alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, in virtù del principio di autosufficienza, indicare in quale specifico atto del grado precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito e non rilevabili di ufficio (Cass. n. 18018/2024).
Sotto altro profilo la censura è inammissibile per inerenza al giudizio di fatto.
La Corte di merito ha infatti escluso l’esistenza dell’urgenza non essendo configurabile un danno per la società durante il periodo del procedimento amministrativo di contestazione dell’addebito.
Il terzo motivo è parimenti inammissibile.
Il fatto pretermesso (omesso esame del fatto che la contestazione dell’addebito, a parte la segnalazione dell’associazione sindacale, era avvenuta nel corso dell’assemblea dei soci, ove il direttore generale aveva contestato l’addebito e l’intimato si era difeso) è privo di decisività alla luce del fatto che la contestazione formale dell’addebito è procedimentalizzata, facendo rinvio il contratto alla l. 241/1990.
Il quarto motivo è fondato.
Per la giurisprudenza di legittimità, infatti, la revoca dell’amministratore di nomina pubblica, ai sensi dell’art. 2449 c.c., è un atto uti socius, non iure imperii, dell’ente pubblico (Cass. Sez. U. 23 gennaio 2015, n. 1237).
Si è affermato, in proposito, che la società partecipata da un ente pubblico è soggetto di diritto privato che non muta la propria natura in ragione della qualità dell’ente che ne è socio, il quale non può unilateralmente incidere sullo svolgimento del rapporto e sull’attività societaria mediante l’esercizio di poteri autoritativi, ma agisce solo nelle forme previste dal diritto societario (Cass. Sez. U. 19 febbraio 2024, n. 4413; Cass. Sez. U. 14 settembre 2017, n. 21299). In tal senso, la revoca dell’amministratore nominato ai sensi dell’art. 2449 c.c. integra un atto posto in essere dall’ente pubblico “a valle” della scelta iniziale di avvalersi dello strumento societario, compiuto avvalendosi degli strumenti che il diritto
comune attribuisce al socio e dunque interamente regolato dal diritto privato, come si evince chiaramente dall’art. 2449 c.c.: questo, da un lato, individua nello statuto sociale, e dunque in un atto fondamentale di natura negoziale, la fonte esclusiva dell’attribuzione al socio pubblico della facoltà di nominare un numero di amministratori proporzionale alla sua partecipazione, con la correlata facoltà di revocarli e, dall’altro, precisa che gli amministratori così nominati hanno i medesimi diritti e i medesimi obblighi di quelli designati dall’assemblea, sicché, al pari di questi ultimi, godono dei soli diritti previsti dall’art. 2383, comma 3, c.c. (Cass. Sez. U. 11 novembre 2019, n. 29078).
La revoca – come del resto la nomina – è un atto di diritto privato incidente sull’organizzazione societaria, destinato ad esprimere la volontà dell’ente alla stessa stregua della deliberazione assembleare. Si tratta di tener conto di questa speciale modalità di formazione della volontà sociale, destinata a produrre i suoi effetti nei confronti della società partecipata nel momento in cui, come si è visto, l’atto è a questa comunicato.
L”ente pubblico che nomini o revochi l’amministratore precedentemente nominato non esercita un potere a titolo proprio, ma spende l’ordinario potere dell’assemblea surrogandosi ad essa quale organo della società, onde il potere di cui fa uso assume natura corporativa.
L’art. 2449 c.c. semplicemente delinea un processo di formazione della volontà sociale alternativo a quello fondato sulla delibera dell’assemblea, che ad esso si sostituisce.
Da quanto sopra ne discende che la revoca illegittima non può che comportare l’applicazione del regime risarcitorio previsto per la società, e non già una tutela reale.
Il quinto motivo, con cui si lamenta che la Corte distrettuale sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 112 cpc per aver omesso di pronunciare sulla questione della validità della previsione statutaria che limita ad un massimo di sei mensilità il risarcimento nel caso di revoca mancante della giusta causa, è inammissibile.
La Corte di merito ha ritenuto che per effetto della caducazione della delibera assembleare di revoca dovesse trovare applicazione la tutela reale e non quella risarcitoria ritenendo quindi assorbita la questione relativa alla validità della previsione statutaria.
Non è pertanto ravvisabile alcuna violazione dell’art 112 c.p.c. e la doglianza qui sollevata è completamente fuori fuoco rispetto alla predetta ratio decidendi di assorbimento di tutte quelle censure che riguardavano infatti il quantum debeatur.
La declaratoria di assorbimento improprio (che si ha quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero determina un implicito rigetto di altre domande) non comporta infatti né un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, né l’assenza di motivazione, che è proprio quella dell’assorbimento (Cass. 28663/2013; Cass. 28995/2018; Cass. 33764/2019).
Il sesto motivo è assorbito dall’accoglimento del quarto motivo. La Corte di appello ha erroneamente parametrato il quantum risarcitorio sull’impossibilità della reintegrazione, per essere decorso il triennio dell’incarico.
Criterio questo che, per quanto su esposto è venuto meno unitamente al parametro utilizzato per quantificare il danno.
Il giudice del rinvio dovrà dunque procedere ad una nuova valutazione verificando la sussistenza o meno di un danno conseguenza disciplinato dall’art. 1223 cod. civ. , correlato all’illegittima revoca dall’incarico di amministratore ed in caso positivo determinarne la misura.
Alla stregua della considerazione il ricorso va accolto limitatamente al quarto motivo la decisione va conseguentemente cassata e rinviata alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione anche per le spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo, dichiara infondato il primo e inammissibili il secondo, terzo e quinto, assorbito il sesto, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione anche per le spese di legittimità.
Così deciso in Roma 20.6.2025