Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 31994 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 1 Num. 31994 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 2667 R.G. anno proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
ricorrente
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME presso cui è domiciliato, dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME
contro
ricorrente
nonché contro
AGEA -Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato;
contro
ricorrente
avverso la sentenza n. 2873/2020 depositata il 15 giugno 2020 della Corte di appello di Roma.
Udita la relazione svolta all’udienza pubblica dell’11 ottobre 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del sostituto procuratore generale NOME COGNOME udite le difese delle parti.
FATTI DI CAUSA
1. – NOME COGNOME ha convenuto in giudizio RAGIONE_SOCIALE deducendo quanto segue. In data 25 novembre 2005 RAGIONE_SOCIALE aveva costituito la società RAGIONE_SOCIALE, alla quale aveva attribuito il compito di gestire e sviluppare il sistema informativo agricolo nazionale. All’atto di costituzione della società, RAGIONE_SOCIALE aveva designato quali componenti del consiglio di amministrazione l’attore e altri due soggetti. A norma dell’art. 19 dello statuto societario il consiglio di amministrazione durava in carica dieci esercizi. Con delibera del 25 agosto 2011, l’assemblea dei soci aveva deciso di trasformare RAGIONE_SOCIALE in società per azioni e di nominare un nuovo organo amministrativo: iniziativa, quest’ultima, assunta al dichiarato scopo di adeguare il detto organo alla disciplina normativa operante per le società per azioni (dato che per tali società il consiglio di amministrazione non può durare in carica per un periodo superiore a tre esercizi). COGNOME ha quindi lamentato essere stato revocato dalla carica in assenza di giusta causa e ha domandato che controparte venisse condannata al risarcimento del danno ex art. 2383, comma 3, c.c., quantificando lo stesso in euro 120.000,00.
RAGIONE_SOCIALE si è costituita in giudizio, domandando il rigetto della domanda di controparte; ha rilevato che RAGIONE_SOCIALE facendo uso della prerogativa che le competeva, sostitutiva della delibera assembleare,
aveva, con propria determinazione del 24 agosto 2011, provveduto a nominare i nuovi membri del consiglio di amministrazione, senza confermare COGNOME ha chiesto, pertanto, di essere autorizzata alla chiamata in causa del proprio socio RAGIONE_SOCIALE, cui era riferibile l’atto di revoca.
Disposta la chiamata in causa, RAGIONE_SOCIALE si è costituita e ha resistito alla domanda attrice.
Il Tribunale di Roma ha definito il giudizio di primo grado dichiarando che RAGIONE_SOCIALE era carente di legittimazione con riferimento alla domanda proposta dall’attore e condannando RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno, il quale è stato quantificato in euro 18.235,00 oltre interessi.
– Hanno proposto appello tutte le parti del giudizio.
La Corte di appello di Roma, con sentenza del 15 giugno 2020, ha respinto i gravami.
Per quanto qui specificamente rileva, la Corte distrettuale ha rilevato: che RAGIONE_SOCIALE si era limitata ad affermare la legittimazione passiva di RAGIONE_SOCIALE in quanto socio di maggioranza che avrebbe deciso le sorti della società e il mutamento degli organi societari mentre COGNOME aveva espressamente affermato di voler agire solo nei confronti di RAGIONE_SOCIALE; che andavano esaminati «solo gli aspetti delle censure relative alla asserita mancanza di legittimazione in capo all’odierna appellante principale e della sussistenza o meno della giusta causa nell’ambito della revoca del RAGIONE_SOCIALE»; che spettava a RAGIONE_SOCIALE l’onere di dimostrare la sussistenza di una giusta causa di revoca; che una giusta causa di revoca nella fattispecie era da escludersi; che, riguardo alla legittimazione passiva di RAGIONE_SOCIALE, andavano condivisi i rilievi svolti dal Tribunale, secondo cui la nomina degli amministratori spettava alla società ex art. 2383 c.c.; che infatti l’amministratore espleta il proprio incarico sulla base di un rapporto di natura contrattuale con la società e prescindere dai soci che nel corso dell’assemblea abbiano votato; che una simile conclusione valeva anche per gli amministratori di società per azioni controllate
dallo Stato o da enti pubblici; che in tali società l’art. 2449 c.c. consente allo statuto di conferire al socio pubblico la facoltà di nominare un numero di amministratori e sindaci proporzionale alla partecipazione al capitale sociale, senza che con ciò sia esclusa l’instaurazione di un rapporto di natura contrattuale tra gli amministratori e la società di riferimento; che, in conseguenza, la sola società legittimata a contraddire, nella presente causa, doveva ritenersi essere RAGIONE_SOCIALE
– Avverso detta sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto un ricorso per cassazione articolato in due motivi. Resistono con controricorso COGNOME e RAGIONE_SOCIALE
La causa, avviata alla trattazione camerale, è stata rimessa in pubblica udienza a seguito della pronuncia di ordinanza interlocutoria.
Il Pubblico Ministero ha concluso per il rigetto del ricorso.
Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– Con propria memoria del 20 settembre 2024 AGEA ha evidenziato che a norma dell’art. 9 -quater della l. n. 101/2024, di conversione del d.l. n. 63 del 2024, S.RAGIONE_SOCIALE è stata incorporata di diritto in RAGIONE_SOCIALE, la quale è subentrata nei rapporti giuridici attivi e passivi anche processuali, della stessa RAGIONE_SOCIALE
Si è quindi determinata una successione nel processo, posto che, in termini generali, la fusione tra società, anche nella forma dell’incorporazione, dà luogo ad una vicenda estintivo-successoria simile alla successione mortis causa a titolo universale tra persone fisiche (Cass. 18 maggio 2023, n. 13685): tale vicenda non ha però riflessi sullo svolgimento del giudizio di legittimità, il quale è dominato dall’impulso di ufficio (per tutte: Cass. 14 giugno 2024, n. 16617).
– Col primo motivo di ricorso si denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 106 c.p.c., 2383, comma 3 e 2909 c.c., nonché dell’art. 345 c.p.c.. Secondo la società istante, la Corte di appello doveva ritenere automaticamente esteso al vero legittimato
passivo, e cioè RAGIONE_SOCIALE, le domande proposte dall’attore. Viene inoltre dedotto che le questioni inerenti alla sussistenza e valutazione di una giusta causa di revoca concernevano il tema della correttezza e della buona fede della condotta della chiamata in causa: tema che era direttamente implicato nel giudizio di responsabilità e che la Corte di appello avrebbe dovuto quindi prendere in considerazione. E’ affermato, infine, che RAGIONE_SOCIALE aveva il potere, in sede di appello, di sollevare la questione relativa alla correttezza e buona fede dell’operato di RAGIONE_SOCIALE «quale titolo della responsabilità circa l’illegittima revoca atteso che i fatti costitutivi di detta questione (i poteri di nomina e revoca autonomi e unilaterali) erano già stati introdotti con estrema chiarezza nel processo».
Col secondo mezzo di censura si lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2383, comma 2, c.c., 2449 e 1218 c.c. e la violazione dell’art. 1362 c.c. con riferimento all’art. 19 dello statuto di RAGIONE_SOCIALE oltre che dei generali principi in materia di responsabilità contrattuale. Si assume che il potere di nomina o revoca dell’amministratore in capo all’ente pubblico non è trasferito, per effetto dell’accettazione della carica, alla società partecipata, ma resta nelle mani del socio pubblico: «con la conseguenza che non è la società a valutare e a ponderare la sussistenza di una giusta causa in quanto è nell’ambito del rapporto amministratore-socio che tale profilo resta confinato e circoscritto». Si aggiunge che la ricostruzione operata dalla Corte di appello finiva con riversare su RAGIONE_SOCIALE le conseguenze dannose di una scelta altrui, enucleando, per tale via, «una sorta di nuova fattispecie di responsabilità oggettiva che, addirittura, supera l’eccezionalità delle attuali norme speciali in quanto prescinde non solo dalla colpa e dalla colpevolezza, ma anche dalla condotta (atteso che nulla ha fatto e nulla avrebbe potuto fare RAGIONE_SOCIALE per evitare la nomina e la revoca degli amministratori di espressione del socio pubblico) e, addirittura, prescinde dal nesso causale in quanto non vi è alcuna
relazione con il danno».
– I due motivi non meritano accoglimento.
4 . – Il nodo centrale della controversia portata all’esame di questa Corte si riassume nell’interrogativo circa la possibilità di imputare la revoca dell’amministratore nominato da RAGIONE_SOCIALE, quale ente pubblico, da cui RAGIONE_SOCIALE era partecipata , a quest’ultima società.
La revoca che qui viene in discorso è quella contemplata dall’art. 2449, comma 2, c.c., a mente del quale « li amministratori e i sindaci o i componenti del consiglio di sorveglianza nominati a norma del primo comma possono essere revocati soltanto dagli enti che li hanno nominati ». Tale norma si pone in continuità con quella contenuta nel primo comma dello stesso articolo: « Se lo Stato o gli enti pubblici hanno partecipazioni in una società per azioni che non fa ricorso al mercato del capitale di rischio, lo statuto può ad essi conferire la facoltà di nominare un numero di amministratori e sindaci, ovvero componenti del consiglio di sorveglianza, proporzionale alla partecipazione al capitale sociale ».
La disciplina è integrata da ll’art. 9 d.lgs. n. 175 del 2016 (testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), il quale dispone, al comma 7: « Qualora lo statuto della società partecipata preveda, ai sensi dell’articolo 2449 del codice civile, la facoltà del socio pubblico di nominare o revocare direttamente uno o più componenti di organi interni della società, i relativi atti sono efficaci dalla data di ricevimento, da parte della società, della comunicazione dell’atto di nomina o di revoca. E’ fatta salva l’applicazione dell’articolo 2400, secondo comma, del codice civile ». Aggiunge il comma 8 dello stesso art. 9: « Nei casi di cui al comma 7, la mancanza o invalidità dell’atto deliberativo interno di nomina o di revoca rileva come causa di invalidità dell’atto di nomina o di revoca anche nei confronti della società ».
5 . -Ora, la censura basata sull’asserita inappropriata applicazione dell’art. 2383 c.c. non coglie la reale portata della ratio
decidendi dell’impugnata pronuncia . La Corte di merito, come si è visto, ha conferito rilievo al dato per cui a norma dell’art. 2449 c.c. «la sola società legittimata a contraddire ritenersi RAGIONE_SOCIALE, essendo questa la titolare passiva del rapporto sostanziale e, quindi, delle eventuali obbligazioni risarcitorie»: rapporto che, secondo il Giudice distrettuale, era restato «in capo alla società partecipata in virtù del rapporto di immedesimazione organica con i suoi organi ed a prescindere dalle modalità della nomina».
Ebbene, ove, al quesito circa la possibilità di imputare l’atto di revoca di RAGIONE_SOCIALE si dia risposta affermativa – e si reputi, in conseguenza, che quell’atto vada parificato alla determinazione assembleare -dovrebbe riconoscersi che l’azione proposta dall’amministratore revocato era stata correttamente portata contro la ricorrente : in tale prospettiva non vi sarebbe spazio per l’accertamento della dedotta scorrettezza della condotta posta in essere, con la richiamata revoca, da RAGIONE_SOCIALE; detta scorrettezza potrebbe semmai rilevare nel quadro del giudizio di rivalsa che la partecipata avesse inteso proporre nei confronti del socio che si era avvalso del potere di cui al cit. art. 2449, comma 2, c.c.: ma un tale giudizio, per stessa ammissione della ricorrente, non è stato introdotto con la chiamata in causa di RAGIONE_SOCIALE
Ove, di contro, sia da escludere che la società partecipata debba rispondere dell’atto di revoca, la domanda attrice andrebbe per ciò solo disattesa visto che, come rilevato dalla Corte di appello, COGNOME aveva inteso agire nei soli confronti di RAGIONE_SOCIALE
In entrambi i casi, dunque, un accertamento circa la correttezza della condotta della chiamata in causa – accertamento evocato col primo motivo di ricorso – non risulta funzionale alla definizione del giudizio.
Non appare concludente, del resto, il rilievo della ricorrente secondo cui nel caso che il terzo sia stato chiamato in causa dal
convenuto come soggetto effettivamente e direttamente obbligato alla prestazione pretesa dall’attore la domanda di quest’ultimo si estende automaticamente a lui senza necessità di una istanza espressa: la Corte di appello non ha negato tale principio, ma ha escluso, in punto di fatto, che la pretesa azionata da COGNOME potesse farsi valere nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, dal momento che la sola società tenuta a rispondere del danno per la revoca illegittima era RAGIONE_SOCIALE
Il primo motivo è dunque inammissibile.
7 . -Venendo al secondo motivo, occorre anzitutto rilevare che il comma 7 dell’art. 9 del d.lgs. n. 175 del 2016 , nel prevedere che la nomina o la revoca di uno o più componenti di organi interni della società « sono efficaci dalla data di ricevimento, da parte della società, della comunicazione » dei relativi atti, fa comprendere come questi siano posti in essere tramite procedure extra-assembleari, non giustificandosi, diversamente, la predetta comunicazione: lo schema che si delinea è, dunque, quello di un atto adottato dal socio pubblico che, in forza della legge, produce effetti diretti nell’ordinamento societario.
L’esistenza di un effetto diretto va ribadita nonostante l’ambigua formulazione dell’ottavo comma del cit. art. 9, secondo cui la mancanza o invalidità dell’atto deliberativo interno di nomina o di revoca « rileva come causa di invalidità dell’atto di nomina o di revoca anche nei confronti della società »: se, infatti, la nomina e la revoca sono efficaci, per la società partecipata, a partire dalla comunicazione dei relativi atti, deve escludersi la necessità di una ulteriore manifestazione di volontà della società stessa, nella forma della nomina o della revoca dei componenti degli organi interni di cui trattasi. Sicché può credersi che la disposizione da ultimo richiamata fornisca una semplice precisazione quanto agli effetti che produce la mancanza o l’invalidità dell’atto deliberativo: e ciò nel senso che l’assenza o la patologia di tale atto non assume rilievo solo per il socio pubblico, ma si riverbera
nell’ordinamento societario della partecipata.
8 . -La speciale modalità con cui è consentito allo Stato o all’ente pubblico che ha la partecipazione in una società per azioni di procedere alla nomina o la revoca di amministratori, sindaci, o componenti del consiglio di sorveglianza, in presenza della previsione statutaria di cui al comma 1 dell’art. 244 9 c.c., integra uno strumento diretto a tutelare il socio pubblico minoritario. Nella versione odierna (seguita al noto arresto di Corte giust. 6 dicembre 2007, C-463/04 e C-464/04, AEM , circa l’incompatibilità del diritto comunitario con un controllo dello Stato non commisurato alla sua partecipazione di capitale nella società di cui lo stesso è socio) la norma può considerarsi espressiva dell’intendimento di assicurare all’azionista pubblico la possibilità di incidere sul processo di formazione degli organi societari in misura proporzionale alla sua partecipazione sociale: è lecito cioè assumere che con detta disposizione si sia voluto escludere che, nelle determinazioni di nomina e di revoca degli amministratori, dei sindaci e dei componenti del consiglio di sorveglianza tale socio, la cui azione è pur sempre orientata da un interesse pubblico, debba totalmente soccombere difronte a una maggioranza assembleare che intenda attuare scelte diverse dalle sue.
9 . -Tanto detto, è noto il dibattito circa la natura, privatistica o pubblicistica, dell’atto di nomina o di revoca contemplato dall’art . 2449, commi 1 e 2, c.c. e dall’art. 9, comma 7, d.lgs. n. 175 del 2016.
10 . -Si è per la verità giustamente dubitato che l’accertamento della natura dell’atto di revoca debba considerarsi decisiva ai fini che qui interessano.
Occorre infatti distinguere il profilo della produzione dell’atto da quello della sua imputazione: e a tal riguardo è innegabile che, indipendentemente dai profili pubblicistici che possano interessare il perfezionamento della fattispecie della revoca, questa è imputata dalla legge alla sfera giuridica della società partecipata.
Come è stato sottolineato in dottrina, la fattispecie della nomina o della revoca, una volta perfezionata, resta assoggettata, in relazione al profilo della sua imputazione, alla disciplina che governa in via generale gli atti di nomina e di revoca degli amministratori e dei sindaci di società per azioni: nomina e revoca non entrano così in gioco quali atti «esterni» alla società, in una prospettiva di carattere interindividuale, ma quali «atti interni», immediatamente e direttamente dotati di «valenza organizzativa».
In sintesi -è stato ancora rimarcato -il rapporto che s’instaura, con la nomina pubblica, tra il designato e la società prescinde dall’atto in base al quale la designazione è avvenuta e la revoca, ancorché deliberata dallo Stato o da altro ente pubblico in forza dei particolari poteri ad esso attribuiti, incide sul rapporto tra il titolare della carica e la società (onde, tra l’altro, non può essere svincolato dalle regole proprie di quel rapporto, ivi compresa quella che ne subordina l’esercizio all’esistenza di una giusta causa o che al difetto di giusta causa ricollega il diritto del revocato al risarcimento dei danni).
11 . -Per quanto il descritto meccanismo di imputazione già spieghi come dell’atto di revoca debba rispondere la società partecipata, è opportuno notare che questa Corte ha preso da tempo posizione sul problema della controversa natura -pubblicistica o privatistica -di quell’atto .
Per la giurisprudenza di legittimità, infatti, la revoca dell’amministratore di nomina pubblica, ai sensi dell’art. 2449 c.c., è un atto uti socius , non iure imperii , dell’ente pubblico (Cass. Sez. U. 23 gennaio 2015, n. 1237). Si è affermato, in proposito, che la società partecipata da un ente pubblico è soggetto di diritto privato che non muta la propria natura in ragione della qualità dell’ente che ne è socio, il quale non può unilateralmente incidere sullo svolgimento del rapporto e sull’attività societaria mediante l’esercizio di poteri autoritativi, ma agisce solo nelle forme previste dal diritto societario (Cass. Sez. U. 19
febbraio 2024, n. 4413; Cass. Sez. U. 14 settembre 2017, n. 21299). In tal senso, la revoca dell’amministratore nominato ai sensi dell’art. 2449 c.c. integra un atto posto in essere dall’ente pubblico «a valle» della scelta iniziale di avvalersi dello strumento societario, compiuto avvalendosi degli strumenti che il diritto comune attribuisce al socio e dunque interamente regolato dal diritto privato, come si evince chiaramente dall’ art. 2449 c.c.: questo, da un lato, individua nello statuto sociale, e dunque in un atto fondamentale di natura negoziale, la fonte esclusiva dell’attribuzione al socio pubblico della facoltà di nominare un numero di amministratori proporzionale alla sua partecipazione, con la correlata facoltà di revocarli e, dall’altro, precisa che gli amministratori così nominati hanno i medesimi diritti e i medesimi obblighi di quelli designati dall’assemblea, sicché, al pari di questi ultimi, godono dei soli diritti previsti dall’art. 2383, comma 3, c.c. (Cass. Sez. U. 11 novembre 2019, n. 29078).
12. -L’ approdo che può guadagnarsi sulla scia di questa giurisprudenza è lo stesso cui conducono le precedenti considerazioni quanto all ‘imputazione dell’atto di revoca.
Se infatti la revoca – come del resto la nomina è un atto di diritto privato incidente sull’organizzazione societaria, è da credere che esso sia destinato ad esprimere la volontà dell’ente alla stessa stregua della deliberazione assembleare. Si tratta di tener conto di questa speciale modalità di formazione della volontà sociale, destinata a produrre i suoi effetti nei confronti della società partecipata nel momento in cui, come si è visto, l’atto è a questa comunicato.
Ne r isulta, allora, che l’attuazione di questo speciale potere di nomina e di revoca si pone sullo stesso piano della delibera assembleare maggioritaria: è un mezzo, rispondente alla richiamata finalità di tutela del socio pubblico, attraverso cui è declinata la formazione della volontà sociale. Secondo quanto hanno incisivamente osservato in passato le Sezioni Unite di questa Corte, la facoltà attribuita all’ente pubblico è
« sostitutiva della generale competenza dell’assemblea ordinaria »: essa trova la sua giustificazione nella peculiarità di una tipologia di soci, e deve essere qualificata estrinsecazione di una potestà di diritto privato, in quanto espressiva di una potestà attinente ad una situazione giuridica societaria (Cass. Sez. U. 15 aprile 2005, n. 7799, in motivazione).
Pertanto, come chiarito da convergente dottrina, l’ente pubblico che nomini o revochi l’amministratore precedentemente nominato non esercita un potere a titolo proprio, ma spende l’ordinario potere dell’assemblea surrogandosi ad essa quale organo della società, onde il potere di cui fa uso assume natura corporativa.
13 . -Tale conclusione non porta alla configurazione della responsabilità oggettiva paventata dalla ricorrente. L ‘art. 2449 c.c. semplicemente delinea un processo di formazione della volontà sociale alternativo a quello fondato sulla delibera dell’assemblea , che ad esso, come detto, si sostituisce.
In quanto imputabile alla società e al contempo espressivo della volontà sociale, l’atto di revoca degli amministratori e dei sindaci genera, dunque, nel caso di sua illiceità, conseguenze risarcitorie di cui deve rispondere la sola società partecipata. L’atto di revoca è , in ultima analisi, atto privatistico da riferire a questa come lo è l’atto di revoca deciso in assemblea secondo il comune schema deliberativo di formazione della volontà sociale. Di esso il socio pubblico non risponde, così come un qualsiasi socio di società per azioni non risponde personalmente del voto espresso in assemblea in funzione dell’assunzione di una delibera di analogo contenuto.
14 . -Il secondo motivo va quindi respinto in base al seguente principio di diritto: «In tema di società per azioni, l’atto di revoca dell’amministratore da parte dello Stato o dell’ente pubblico che abbia nominato il detto amministratore, p revisto dall’art . 2449, comma 2, c.c., è atto di diritto privato imputato alla società partecipata, sicché
dell’illegittimità della revoca (adottata, nella specie, senza giusta causa) deve rispondere la società stessa, non già lo Stato o l’ ente che abbiano la partecipazione in essa».
15 . – Il ricorso deve essere in conclusione rigettato.
16 . – Le spese di giudizio possono compensarsi, tenuto conto, oltre che della novità della questione, della concorde richiesta svolta, in tal senso, da COGNOME e COGNOME.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese di giudizio ; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione