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Revisione prezzi appalti: la giurisdizione del giudice

Una società appaltatrice ha citato in giudizio una Pubblica Amministrazione per ottenere una revisione dei prezzi basata su una clausola contrattuale. La Corte d’Appello ha confermato la decisione di primo grado, dichiarando il difetto di giurisdizione del giudice ordinario. La sentenza chiarisce che, in assenza di un meccanismo automatico di adeguamento nel contratto, la determinazione della revisione prezzi appalti rientra nel potere discrezionale dell’Amministrazione, e le relative controversie devono essere portate davanti al giudice amministrativo.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Revisione prezzi appalti: la giurisdizione del giudice

La corretta individuazione del giudice competente è un passo cruciale in qualsiasi controversia legale, specialmente quando una delle parti è la Pubblica Amministrazione. Una recente sentenza della Corte d’Appello di Roma offre un importante chiarimento sulla revisione prezzi appalti e sulla linea di demarcazione tra la giurisdizione del giudice ordinario e quella del giudice amministrativo. Il caso analizza se la richiesta di adeguamento del compenso da parte di un’impresa appaltatrice costituisca un diritto soggettivo, da far valere in un tribunale civile, o un interesse legittimo, la cui tutela spetta al TAR.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un contratto di appalto per la fornitura di servizi stipulato tra un’Associazione Temporanea di Imprese (RTI) e una Pubblica Amministrazione. Il contratto iniziale prevedeva un meccanismo di calcolo del corrispettivo basato sul costo della manodopera, aggiornato secondo i contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) più recenti al momento dell’ordine.

Alla scadenza del periodo contrattuale originario, il servizio è proseguito attraverso successivi ordinativi. L’impresa ha quindi richiesto l’adeguamento dei prezzi anche per questo periodo successivo, basandosi sulla medesima clausola contrattuale. Di fronte al diniego dell’Amministrazione, l’impresa si è prima rivolta al TAR, che ha riconosciuto il suo diritto a ottenere una revisione, e successivamente, non soddisfatta del criterio di calcolo adottato dalla P.A. (basato sugli indici ISTAT anziché sui CCNL), ha adito il Tribunale ordinario per ottenere il pagamento di un importo maggiore.

Il Tribunale, in primo grado, ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione sulla domanda principale, ritenendola di competenza del giudice amministrativo, ma ha condannato la P.A. al pagamento degli interessi sull’importo che essa stessa aveva già riconosciuto e versato.

La Decisione del Giudice e la questione sulla revisione prezzi appalti

L’impresa ha impugnato la decisione davanti alla Corte d’Appello, sostenendo che la sua richiesta fosse basata su un diritto soggettivo derivante direttamente dal contratto e che, pertanto, dovesse essere decisa dal giudice ordinario. La Corte d’Appello, tuttavia, ha respinto il gravame, confermando integralmente la sentenza di primo grado.

La Corte ha stabilito che la questione centrale non riguarda un semplice inadempimento contrattuale, ma l’esercizio di un potere discrezionale da parte della Pubblica Amministrazione. Poiché le clausole contrattuali invocate regolavano il prezzo solo per il periodo originario dell’appalto e non per le proroghe successive, mancava un meccanismo di adeguamento automatico. Di conseguenza, la determinazione della revisione prezzi appalti per il periodo successivo doveva necessariamente seguire la procedura prevista dalla legge (art. 115 del D.Lgs. 163/2006), che impone alla P.A. di condurre un’istruttoria per stabilire se e in che misura adeguare il compenso. Questa attività istruttoria è espressione di un potere autoritativo e discrezionale, non di un mero obbligo contrattuale.

La distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo nella revisione prezzi appalti

Il fulcro della decisione risiede nella distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo. Si ha un diritto soggettivo quando il contratto definisce in modo puntuale e completo l’obbligo della P.A., senza lasciarle margini di valutazione. In tal caso, l’impresa ha un vero e proprio diritto al pagamento, e la giurisdizione è del giudice ordinario.

Al contrario, quando la legge o il contratto attribuiscono alla P.A. un potere di valutazione per determinare l’adeguamento (ad esempio, bilanciando l’interesse dell’impresa con quello pubblico al risparmio di spesa), la posizione dell’impresa è di interesse legittimo. L’impresa ha il diritto a che la P.A. eserciti il suo potere in modo corretto, ma non ha un diritto automatico a una specifica somma. La contestazione sul come questo potere è stato esercitato (ad esempio, sulla scelta del criterio di calcolo) deve essere proposta davanti al giudice amministrativo.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte d’Appello ha motivato la sua decisione evidenziando che le clausole contrattuali citate dall’appellante non contenevano una regolamentazione “compiuta ed esaustiva” della revisione prezzi per il periodo successivo alla scadenza originaria. La loro applicazione era limitata al quadriennio iniziale. Per gli anni successivi, in assenza di una specifica pattuizione, tornava ad applicarsi la norma generale (art. 115 D.Lgs. 163/2006), che, come interpretato dalla giurisprudenza consolidata, non crea un diritto automatico all’aggiornamento, ma attribuisce alla P.A. una facoltà discrezionale.

Il provvedimento con cui l’Amministrazione ha liquidato la revisione prezzi, sebbene in misura inferiore a quella richiesta, è stato l’atto finale di un procedimento amministrativo. L’impresa, se riteneva scorretto il criterio utilizzato (indici ISTAT anziché CCNL), avrebbe dovuto impugnare tale provvedimento amministrativo davanti al giudice amministrativo, lamentando un non corretto esercizio del potere discrezionale. Agendo invece davanti al giudice ordinario per un presunto inadempimento contrattuale, ha scelto la via processuale sbagliata.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale per le imprese che operano con la Pubblica Amministrazione. La gestione delle controversie sulla revisione prezzi appalti richiede un’attenta analisi della natura della pretesa. Se il contratto non prevede un meccanismo di adeguamento automatico e inequivocabile, la richiesta di revisione attiva un procedimento amministrativo. L’esito di tale procedimento è un atto amministrativo che, se ritenuto illegittimo, deve essere impugnato davanti al TAR entro i brevi termini di decadenza previsti dalla legge. Attendere e agire successivamente in sede civile per l’adempimento può portare a una declaratoria di difetto di giurisdizione, con conseguente perdita di tempo e risorse e, potenzialmente, la perdita del diritto stesso a causa della scadenza dei termini per ricorrere al giudice competente.

Quando una controversia sulla revisione prezzi in un appalto pubblico rientra nella giurisdizione del giudice ordinario?
Quando la clausola contrattuale individua puntualmente e compiutamente un obbligo di adeguamento a carico della Pubblica Amministrazione, senza lasciare a quest’ultima alcuno spazio di valutazione discrezionale. In questo caso, l’appaltatore vanta un diritto soggettivo all’adempimento.

Perché in questo caso la Corte ha stabilito la giurisdizione del giudice amministrativo per la revisione prezzi appalti?
Perché le clausole contrattuali che prevedevano l’adeguamento del prezzo non erano applicabili al periodo di tempo in contestazione. Di conseguenza, si è applicata la norma generale che prevede un’istruttoria da parte della P.A. per determinare la revisione. Questo processo implica l’esercizio di un potere discrezionale, e la contestazione su come tale potere è stato esercitato rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo.

Cosa rischia un’impresa che sbaglia a individuare il giudice competente in una causa contro la Pubblica Amministrazione?
Rischia una declaratoria di difetto di giurisdizione. Questo non solo comporta una perdita di tempo e dei costi legali sostenuti, ma può anche pregiudicare definitivamente la possibilità di tutelare il proprio diritto, qualora nel frattempo siano scaduti i termini di decadenza per adire il giudice amministrativo competente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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