Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 31993 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 31993 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3132/2019 R.G. proposto da : COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE per procura speciale in calce al ricorso -ricorrenti- contro
COMUNE DI MEDICINA, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE per procura speciale allegata al controricorso
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 1719/2018 depositata il 21/06/2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato il 12.04.2007, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME convennero in giudizio il Comune di Medicina, esponendo che: avevano acquistato , iure hereditatis , a seguito del decesso di NOME COGNOME avvenuto il 21.05.1991, la proprietà indivisa di 9/27 del terreno sito in Comune di Medicina, censito al Catasto Terreni di detto Comune al Foglio 179, mappali nn. 20 e 347; la COGNOME era a sua volta proprietaria della quota di 9/27 del medesimo terreno, acquistata anch’essa a seguito di successione; il Comune di Medicina aveva dichiarato la pubblica utilità del progetto relativo alla realizzazione di una scuola su detto terreno, con delibera consiliare n. 303 del 28.11.1980; con successiva delibera n. 109 del 30.09.1981 venivano prorogati i termini di avvio e di chiusura della procedura di esproprio; nelle more, il Comune di Medicina comunicava la misura dell’indennità di esproprio agli aventi diritto, successivamente depositata presso la Cassa Depositi e Prestiti a seguito della mancata accettazione da parte degli interessati; il 06.05.1983 l’amministrazione emetteva il decreto di esproprio, poi notificato agli interessati; il 29.06.1993 gli attori, nonché COGNOME NOMECOGNOME dante causa della signora COGNOME, inviavano formale diffida al Comune di Medicina intimando la retrocessione del terreno per mancata esecuzione dell’opera; il Comune dava riscontro a tale comunicazione il 20.05.1994 manifestando la propria disponibilità a un incontro con gli istanti, senza, tuttavia, determinarsi alla retrocessione del terreno; nel contempo, il Comune, sulla strada insistente sui terreni identificati dai mappali 347 e 338, solo il primo dei quali oggetto della procedura di esproprio, aveva posto segnaletica stradale per realizzare una via di accesso alle abitazioni ivi presenti; inoltre, il
29.12.1998 l’amministrazione aveva approvato una variante al P.R.G., disponendo la riclassificazione del terreno di cui è causa al fine di destinarlo alla costruzione di una nuova caserma. Gli attori chiesero, pertanto, la condanna del Comune di Medicina alla restituzione del terreno, oltre al pagamento di una somma a titolo di indennizzo e al risarcimento del danno; in subordine, formulavano domanda di condanna al risarcimento dei danni conseguenti all’occupazione senza titolo dell’area, qualora ne fosse stata accertata la irreversibile trasformazione. Si costituì in giudizio il Comune di Medicina eccependo, in via preliminare, la prescrizione del diritto degli attori alla retrocessione e, in subordine, chiedendo il rigetto delle domande attoree; in via riconvenzionale, chiese l’accertamento dell’intervenuto acquisto per usucapione della servitù di passaggio di uso pubblico sul terreno che non era stato oggetto della procedura di esproprio (mapp. 338). Assunte le prove orali, il Tribunale di Bologna, con sentenza n. 1737 depositata il 27.05.2014, accolse l’eccezione di prescrizione respingendo per l’effetto le domande attoree; in accoglimento della domanda riconvenzionale, dichiarò l’acquisto per usucapione in favore del Comune di Medicina della servitù di pubblico passaggio sul terreno censito al NCT di detto Comune al Foglio 179, mappale 338.
2. Con sentenza n. 1719/2018, pubblicata il 21.6.2018, la Corte d’appello di Bologna rigettava l’appello proposto dagli odierni ricorrenti avverso la citata sentenza. La Corte di merito, in ordine alla prescrizione del diritto alla retrocessione, ribadiva quanto affermato dal Tribunale, e peraltro riconosciuto dagli appellanti, circa la possibilità di interrompere la prescrizione solo mediante l’introduzione dell’azione giudiziale ovvero a seguito del riconoscimento del diritto da parte della parte obbligata e rilevava che, contrariamente a quanto sostenuto dai privati, la comunicazione del 20.05.1994 non conteneva alcun implicito riconoscimento del loro diritto a ottenere la restituzione del
terreno, poiché l’atto non era univocamente riconducibile ad una siffatta manifestazione di volontà, e, in particolare, la mera e generica dichiarazione di disponibilità a un incontro ” per individuare una soluzione che consenta il soddisfacimento delle reciproche esigenze ” non integrava alcun riconoscimento del diritto, ben potendosi ritenere che il potenziale “debitore”, peraltro nella specie una Pubblica Amministrazione, avesse solo inteso evitare di essere coinvolto in una controversia. Il documento, sotto il profilo del riconoscimento del diritto altrui, era quindi da ritenersi ‘ anòdino o, quanto meno, “neutro”, come affermato nella sentenza impugnata e, in quanto tale, è inidoneo a interrompere il termine di prescrizione ai sensi dell’art. 2944 c.c. ‘. La Corte di merito riteneva inammissibile il secondo motivo di appello, con cui si denunciava l’irregolarità o inesistenza della procedura espropriativa, stante la mancata allegazione e deduzione delle ragioni a sostegno di detto assunto, tali da superare l’eccezione di prescrizione formulata da parte convenuta/appellata e accolta dal Tribunale, e ciò ‘ quand’anche fosse superabile l’eccezione formulata dall’amministrazione appellata avente per oggetto la illegittima formulazione del motivo di appello esclusivamente per relationem, vale a dire mediante mero richiamo alle pagine da 22 a 28 della comparsa conclusionale attorea di primo grado ‘. La Corte d’appello aggiungeva che ‘ L’intenzione dei signori COGNOME–COGNOME pare essere implicitamente quella di allegare un diverso titolo (causa petendi) a fondamento dell’azione di restituzione (rivendica?), ma, considerato che su tale decisiva questione neppure si soffermano, si deve concludere per la inammissibilità del motivo’ (pag.7 sentenza impugnata). La Corte d’appello confermava la sentenza impugnata anche nella parte in cui aveva accolto la domanda riconvenzionale del Comune, concernente l’usucapione della servitù di passaggio sul mappale 338, sul rilievo, nel merito, che gli stessi appellanti avevano riconosciuto che la strada fu realizzata negli
anni ’70, non avevano contestato, prima dell’introduzione della causa, che i mappali 338 e 347 erano destinati a strada, come risultante anche dalle dichiarazioni dei testimoni e dalla documentazione proveniente dagli stessi appellanti, che neppure precisavano compiutamente i dedotti profili di incertezza sull’effettivo utilizzo della strada, tali da giustificare la riforma della sentenza del Tribunale.
Avverso questa sentenza NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, resistito con controricorso dal Comune di Medicina.
Il ricorso è stato fissato per la trattazione in camera di consiglio. Le parti hanno depositato memorie illustrative.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorrenti denunciano, con il primo motivo, ai sensi dell’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., la v iolazione degli artt. 106 DPR 616/1977, 2 lett. c n. 2 e 3 DPR 8/1972, 13 e 15 Legge 865/1971, 48 e 50 Legge 2359/1865, 4 e 5 Legge 2248/1865 all. E, nonché ai sensi dell’art. 360 c omma 1 n. 5 c.p.c. , l’omesso esame di fatto decisivo. I ricorrenti ribadiscono l’eccezione di nullità della delibera di esproprio del 1983 per la realizzazione di scuola secondaria, deducendo l’incompetenza assoluta del Comune poiché l’opera era di competenza prefettizia (ante DPR 616/1977) o regionale, richiamando l’art.9 della l. r. Emilia Romagna del 24 -3-1975. Deducono che sussiste il potere/dovere del giudice ordinario di disapplicare provvedimenti amministrativi illegittimi in ogni stato e grado. Rimarcano che i giudici di merito avrebbero dovuto esaminare con maggiore attenzione il documento n.52 dell’ Agenzia del Territorio del 2006, con cui veniva negata la voltura, qualificata impropria per carenza del decreto di esproprio, e che i giudici di merito neppure avevano considerato che era stata omessa la determinazione dell’indennità definitiva di esproprio, sicché il
procedimento espropriativo non si era mai concluso e i soggetti espropriati non avevano neppure avanzare opposizione avverso l’indennità definitiva perché mai determinata.
Con il secondo motivo denunciano, in relazione all’art.360 comma 1 nn.3, 4 e 5 c.p.c., la violazione dell’art. 2935 c.c. e dell’art. 1 primo protocollo addizionale Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Deducono che, in conseguenza della nullità del provvedimento di esproprio, l’occupazione del bene era avvenuta senza l’emissione di un valido decreto di espropriazione, sicché si verteva in ipotesi di illecito avente effetti permanenti che abilitava il privato a chiedere la condanna dell’ente pubblico alla restituzione del bene e/o nel caso di irreversibile trasformazione il risarcimento del danno derivante dalla perdita del diritto di proprietà.
I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro stretta connessione, sono inammissibili.
Secondo l’orientamento di questa Corte che il Collegio pienamente condivide, i n tema di espropriazione per pubblica utilità, il diritto alla retrocessione del bene presuppone la validità e la perdurante efficacia del decreto di espropriazione, e consiste nel diritto potestativo attribuito al proprietario dell’immobile espropriato, ma non utilizzato per la realizzazione dell’opera pubblica a causa di un fatto verificatosi “ex post”, di chiedere all’autorità giudiziaria che gli sia ritrasferito il bene tramite la pronuncia di una sentenza che non dà luogo alla caducazione del precedente acquisto avvenuto in base al decreto di espropriazione, ma attua un nuovo trasferimento a titolo derivativo con effetto ex nunc (Cass. 25825/2021).
Ora, come inequivocabilmente risulta dalla sentenza impugnata, la domanda principale proposta in primo grado dagli odierni ricorrenti concerneva la retrocessione dei beni, sul presupposto che l’opera pubblica non fosse stata realizzata, o in subordine il risarcimento danni, in caso di irreversibile trasformazione dei beni stessi.
Dunque, la domanda presupponeva la legittimità del decreto di esproprio e della procedura espropriativa, mentre, per quanto è dato comprendere, la prospettazione dell’azione ora invocata è del tutto diversa, poiché i ricorrenti sembrano sostenere la sussistenza di un illecito extracontrattuale derivante dalla ‘nullità’ della procedura ablatoria e del decreto di esproprio, in tesi rilevabile d’ufficio dal giudice, e nella memoria illustrativa insistono sull’ ‘inesistenza’ della procedura di esproprio in quanto il Comune, competente solo ed esclusivamente per istituti primari e/o dell’infanzia, non avrebbe potuto procedere all’espropriazione di terreni per la realizzazione di un istituto scolastico secondario.
A ciò si aggiunga che la Corte di merito, nell’esaminare il secondo motivo di appello degli odierni ricorrenti, ha affermato l’inammissibilità della doglianza inerente alla ‘nullità, inesistenza o comunque irregolarità’ della procedura di esproprio (pag.7), sul rilievo dell’irrituale formulazione del mezzo, effettuata solo per relationem , ossia con richiamo ad alcune pagine della comparsa conclusionale di primo grado, e senza esplicitare le ragioni della rilevanza di quelle argomentazioni difensive rispetto alla prescrizione, tra l’altro allegando un diverso titolo. I ricorrenti non censurano compiutamente detta ratio decidendi , ma si limitano a riportare quanto dedotto in appello, ossia a richiamare le difese, non esplicitate, svolte nella comparsa conclusionale di primo grado e deducono che era un dovere del giudice esaminare incidenter tantum la legittimità della delibera di esproprio e della procedura (pag.10 e 11 ricorso). A tale ultimo riguardo occorre ribadire che, secondo il costante orientamento di questa Corte, quando la P. A. è parte nel giudizio non è consentita la disapplicazione incidenter tantum , sicché nel caso di specie non era affatto consentita nel senso invocato la ‘disapplicazione del decreto di esproprio’ (Cass. SU 9543/2021), sicché pure detto profilo di censura non coglie nel segno. Va inoltre rilevato che il controricorrente ha eccepito la
novità della deduzione concernente il difetto di competenza dell’amministrazione comunale, di cui invero non v’è menzione nella sentenza impugnata, e il ricorso difetta di autosufficienza sul punto, poiché non è indicato quando, come e dove detta specifica doglianza era stata svolta nei giudizi di merito.
Nel descritto contesto di integrale inammissibilità delle censure, prive di critiche compiute e pertinenti, risultano vieppiù inconferenti le deduzioni sul documento che si assume non esaminato con attenzione e sull’asserita mancata determinazione dell’indennità definitiva di esproprio.
Con il terzo motivo rubricato come ‘illegittimità derivata’ i ricorrenti, circa l’eventuale perfezionamento di una servitù di pubblico passaggio, deducono che la strada era stata realizzata su un mappale diverso, ossia sul mappale 347 e non sul mappale 338, e che il giudice d’appello avrebbe confuso i mappali. Richiamano, inoltre, l’illustrazione dei motivi primo e secondo circa l’illecita acquisizione del terreno.
Il mezzo, al pari dei precedenti, è inammissibile sotto plurimi profili.
Nello specifico, l’illustrazione della doglianza non consente neppure di comprendere se essa sia riferita alla statuizione sulla servitù di passaggio e/o all”illecita acquisizione’, per una sorta di ‘illegittimità derivata’ rimasta del tutto imprecisata, né su quale fondamento probatorio sia stata dimostrata nei giudizi di merito la dedotta realizzazione della strada su mappale diverso, né, infine, quale sia la rilevanza concreta di detta deduzione sull’oggetto del contendere.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, ove dovuto (Cass. S.U. 23535/2019).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, che liquida in € 5.200,00, di cui €200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima sezione