Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 13900 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 13900 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 20/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18974/2020 R.G. proposto da:
NOME, NOME NOME, rappresentate e difese dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura speciale in calce al ricorso
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO presso lo studio dell’AVV_NOTAIO e rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO per procura speciale a margine del controricorso
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOME, NOME, NOME, COGNOME NOME, COGNOME RUGGIERO, COGNOME NOME, COGNOME
NOME COGNOME, COGNOME NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BARI n. 2446/2019 depositata il 22/11/2019; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/02/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n.2446/2019 pubblicata il 22 -11 -2019 la Corte d’Appello di Bari rigettava l’appello proposto da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, in qualità di eredi di COGNOME NOME, nei confronti del Comune di Barletta e di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOME e per l’effetto confermava la sentenza del Tribunale di Trani n.838/2015 che, per quanto ora di interesse, aveva ritenuto prescritto il diritto di retrocessione dei suoli espropriati per mancata realizzazione dell’opera pubblica azionato dagli attori. La Corte di merito riteneva prescritto il suddetto diritto in data 09.03.2007, dovendo trovare applicazione l’art. 63 L. n. 2359/1865; in particolare i lavori avrebbero dovuto essere iniziati entro i due anni dalla data del decreto di esproprio del 9 -3 -1993, ossia entro il 9 -3 -1995 e completati al massimo entro ulteriori due anni (9 -7 -1997), sicché da tale ultima data gli espropriati avrebbero potuto far valere il diritto alla restituzione del suolo, diritto pertanto prescritto al più tardi il 9 -3 -2007. In ogni caso la Corte d’appello accertava che, anche qualora si fosse applicato il d.p.r. n. 327 del 2001, il diritto si sarebbe comunque prescritto alla data del 9 -3 -2013, in quanto ex art.46 citato il termine sarebbe
decorso dalla data di esecuzione del decreto di esproprio, coincidente nella specie con la data di esproprio, in quanto l’immissione in possesso e l’apprensione del bene erano avvenuti prima, con l’occupazione d’urgenza, e quindi l’esecuzione era da ritenersi avvenuta contestualmente all’emanazione del decreto di esproprio.
Avverso questa sentenza propongono ricorso per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME, affidato a due motivi, resistito con controricorso dal Comune di Barletta. Le altre parti sono rimaste intimate.
Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ.. Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Le ricorrenti denunciano: i) con il primo motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 57 del d.P.R. n. 327 del 2001, per avere la Corte di merito fatto erronea applicazione del citato art. 57, e di seguito, altrettanto erroneamente, dell’art.63 della legge n. 2359/1965; in particolare deducono che l’art.57 riguarda norme transitorie applicabili a fasi fisiologiche del procedimento espropriativo in corso, mentre la fattispecie riguarda la retrocessione, che si configura, ad avviso delle ricorrenti, come una situazione patologica che opera ab externo del procedimento espropriativo propriamente detto; ii) con il secondo motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 23 del d.P.R. n. 327 del 2001, in quanto il dies a quo avrebbe dovuto individuarsi nel giorno di notificazione del decreto di espropriazione, e non nella data di adozione del provvedimento; deducono che la notificazione del decreto, disciplinata dal citato art. 23, è una condizione sospensiva del passaggio di proprietà del bene ablato, e poiché il decreto di esproprio era stato notificato il 16.09.1993 il diritto si sarebbe
prescritto solo nel 15.09.2013, ossia dopo la notifica della citazione di primo grado, avvenuta l’8 -4 -2013.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Le ricorrenti censurano, in realtà, essenzialmente solo la violazione dell’art. 57 del d.P.R. 327/2001, e non anche quella dell’art. 63 r. d. 2359/1865, così come applicato dalla Corte di merito alla fattispecie concreta, poiché si dolgono solo del fatto che l’art. 57 cit. – che prescriverebbe l’applicazione della normativa precedente (quella del 1865), quando la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera è precedente, come nel caso concreto, l’entrata in vigore del d.P.R. 327/2001 – non troverebbe applicazione anche nel caso «patologico» della retrocessione, nel quale la procedura espropriativa sarebbe ormai esaurita.
La Corte di merito si è, invece, correttamente attenuta ai principi affermati da questa Corte, e richiamati anche nella sentenza impugnata, secondo cui «nei giudizi aventi ad oggetto la determinazione dell’indennità di espropriazione, relativi a procedimenti in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia stata emessa prima del 30 giugno 2003, data di entrata in vigore del d.P.R. n.327 del 2001, opera la disciplina transitoria prevista dall’art. 57 dello stesso d.P.R., secondo cui le disposizioni del testo unico non si applicano ai progetti edilizi per i quali, alla data di entrata in vigore del decreto, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, cui continuano invece ad applicarsi tutte le normative vigenti a quella data» (Cass. 22373/2019). Ed applicando la normativa previgente – come ha fatto la Corte territoriale, sulla scorta anche della giurisprudenza di questa Corte, e tale applicazione non è contestata – il diritto alla retrocessione si era prescritto già il 9 marzo 2007, mentre la domanda giudiziale è stata proposta dai privati solo l’8 aprile 2013. Né ha fondamento l’assunto delle ricorrenti, secondo cui la retrocessione sarebbe vicenda «patologica» che non inerisce ai
procedimenti espropriativi in corso, ai quali soltanto si applicherebbe l’art. 57 d.P.R. 327/2001, essendo l’espropriazione ormai chiusa. Ed invero, in tema di espropriazione per pubblica utilità, il diritto alla retrocessione del bene presuppone la validità e la perdurante efficacia del decreto di espropriazione, e consiste nel diritto potestativo attribuito al proprietario dell’immobile espropriato, ma non utilizzato per la realizzazione dell’opera pubblica a causa di un fatto verificatosi ex post , di chiedere all’autorità giudiziaria che gli sia ritrasferito il bene tramite la pronuncia di una sentenza che non dà luogo alla caducazione del precedente acquisto avvenuto in base al decreto di espropriazione, ma attua un nuovo trasferimento a titolo derivativo con effetto ex nunc (Cass. 25825/2021; Cass. 10843/2022).
In altre parole, non si tratta affatto di una ‘situazione patologica’ perché il decreto di esproprio era, e deve essere, valido, ma l’opera non è stata realizzata, la fattispecie si è esaurita prima del 30 -6 -2003 e la retrocessione attua un nuovo trasferimento di proprietà con effetto ex nunc , sicché non può trovare applicazione nella specie il d.p.r. 327/2001. Va soggiunto, sotto ulteriore profilo, che il bene ablato non può essere restituito al proprietario, il quale legittimamente ha subito l’esproprio, sulla base di una inammissibile revoca del provvedimento di esproprio per sopravvenuti motivi di pubblico interesse. Infatti, è stato chiarito da questa Corte che il decreto di esproprio resta valido ed efficace, anche nella ipotesi che, astrattamente, integrerebbe i presupposti della retrocessione totale, potendo solo il soggetto espropriato chiedere ed ottenere la retrocessione dello stesso suolo (così Cass. 10843/2022, secondo cui in tema di espropriazione per pubblico interesse, una volta concluso il procedimento ablativo, la legge non consente lo ius poenitendi dell’espropriante, mediante la revoca del decreto di esproprio per sopravvenuti motivi d’interesse pubblico e la restituzione del bene acquisito, potendo quest’ultima intervenire
solo previo esercizio, da parte del soggetto espropriato, del diritto alla retrocessione, che non dà luogo alla caducazione del decreto di esproprio, ma attua un nuovo trasferimento a titolo derivativo con effetto ex nunc). Inoltre, come precisato da Cass. 25285/2021, se il decreto di esproprio, e non solo la dichiarazione di pubblica utilità, avesse perso la sua efficacia, non sussisterebbe alcun interesse, né legittimazione, alla proposizione della domanda di retrocessione, il cui presupposto logico -giuridico insiste proprio sulla precedente valida espropriazione del bene.
Infine, non è oggetto di specifica censura il computo del termine di prescrizione dalla data di ultimazione lavori, come effettuato dalla Corte d’appello ex art.63 previgente.
Il secondo motivo è inammissibile, poiché censura una argomentazione resa dalla Corte d’appello ad abundantiam , ossia riguarda una ratio decidendi aggiuntiva e autonoma (Cass. 18429/2022; Cass. 8755/2018).
In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, ove dovuto (Cass. S.U. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna le ricorrenti al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, che liquida in € 6.200,00, di cui €200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima sezione