Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6359 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6359 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13868/2021 R.G. proposto da :
ROMA CAPITALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende per procura in calce al ricorso,
-ricorrente principale-
nei confronti di
ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO RAGIONE_SOCIALE ROMA, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato NOME COGNOME per procura in calce al ricorso incidentale,
-ricorrente incidentale-
nonchè contro
COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende per procura in calce al controricorso,
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n.2262/2021 depositata il 25.3.2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6.3.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con citazione notificata il 12.11.1997, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME convenivano innanzi al Tribunale di Roma il Comune di Roma, ora Roma Capitale, per sentir dichiarare l’intervenuto acquisto per usucapione ordinaria della proprietà di alcuni terreni e fabbricati siti in Roma, che erano stati oggetto di plurimi decreti di espropriazione (nel 1939, nel 1969, ed un terzo successivamente poi revocato nel 1981) in favore del predetto Comune. In subordine, gli attori domandavano l’accertamento del diritto alla retrocessione e la condanna dell’Amministrazione comunale alla restituzione dei beni espropriati e non utilizzati per il fine pubblico.
Si costituiva il Comune di Roma, eccependo la non usucapibilità dei predetti beni, stante la loro natura demaniale, nonché la prescrizione del diritto alla retrocessione degli stessi. Interveniva in giudizio l’Associazione di volontariato ‘RAGIONE_SOCIALE‘, assegnataria di uno degli immobili oggetto di causa, aderendo alle difese dell’Amministrazione Capitolina.
Con sentenza n. 26246/2001 il Tribunale di Roma respingeva la domanda principale di usucapione degli attori ed accoglieva la loro domanda subordinata di retrocessione, disponendo conseguentemente lo svincolo, in favore del Comune, delle somme a suo tempo depositate presso la Cassa Depositi e Prestiti e mai ritirate dagli attori espropriati.
Avverso la predetta sentenza proponevano appello, separatamente, l’Associazione di volontariato ‘RAGIONE_SOCIALE in via principale e Roma Capitale in via incidentale tardiva. I Coppi resistevano ad entrambe le impugnazioni e proponevano appello incidentale condizionato avverso il capo della sentenza che aveva rigettato la loro domanda principale di usucapione.
Riuniti i due procedimenti, con sentenza n. 4689/2013 la Corte di Appello di Roma accoglieva il gravame incidentale.
Avverso tale sentenza sia Roma Capitale, sia l’Associazione di volontariato ‘RAGIONE_SOCIALE proponevano ricorso per Cassazione. I Coppi resistevano con controricorso.
Con ordinanza n. 5134/2019, la Corte di Cassazione accoglieva il secondo motivo di ricorso articolato dalla difesa Capitolina, rilevando che la Corte d’Appello aveva erroneamente esaminato il gravame incidentale condizionato dei Coppi senza esaminare l’appello principale dell’RAGIONE_SOCIALE, da ritenere adesivo a quello incidentale tardivo di Roma Capitale, e rinviava ad altra sezione della stessa Corte territoriale.
Con citazione in riassunzione ex art. 392 c.p.c., notificata il 30.3.2019, i COGNOME riassumevano il giudizio, insistendo per il rigetto degli appelli avversi e per l’eventuale accoglimento del gravame incidentale condizionato a suo tempo proposto.
Si costituivano nel giudizio di rinvio, autonomamente, sia Roma Capitale che l’Associazione di volontariato ‘RAGIONE_SOCIALE, insistendo per l’accoglimento degli appelli in precedenza proposti, che erano stati reputati erroneamente assorbiti.
Con sentenza n. 2262/2021 del 25.3.2021, la Corte di Appello di Roma dichiarava inammissibile l’appello dell’Associazione RAGIONE_SOCIALE‘ e rigettava l’appello di Roma Capitale, con assorbimento del gravame incidentale condizionato dei Coppi e condannava in solido Roma Capitale e l’Associazione RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore dei Coppi delle spese processuali di tutti i gradi di giudizio.
Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso a questa Corte in INDIRIZZO Roma Capitale, sulla scorta di due motivi, ed in via incidentale l’Associazione di volontariato ‘RAGIONE_SOCIALE‘, affidandosi a un unico motivo. I Coppi hanno resistito con controricorso ad entrambi i gravami.
Nell’imminenza dell’adunanza camerale, l’Associazione di volontariato ‘RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Col primo motivo di ricorso Roma Capitale denunzia, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, nn . 3) e 4) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 32, 33, 60 e 63 della L. n. 2356/1865 e delle norme a queste successive, connesse e/o correlate. La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto sufficiente, ai fini della determinazione del prezzo di retrocessione, lo svincolo della somma depositata a titolo di indennità di esproprio ai tempi degli avvenuti decreti di espropriazione, confermando la statuizione di prime cure sul punto. In particolare, la Corte d’Appello avrebbe omesso di rilevare il ruolo essenziale del prezzo nel perfezionamento della retrocessione, nonché di attivare il procedimento di stima previsto dalla legge, necessario per la determinazione del valore di mercato degli immobili già espropriati e non utilizzati all’epoca della retrocessione, poiché non si era verificata una mera caducazione dei precedenti trasferimenti
coattivi, ma si era dato luogo a nuovi acquisti a titolo derivativo con efficacia ex nunc .
2) Col secondo motivo, Roma Capitale lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, nn. 3) e 4) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 132, comma 2° e 112 c.p.c. in combinato disposto con gli artt. 32, 33, 60 e 63 della L. n.2356/1865 e delle norme a queste successive, connesse e/o correlate. La Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto gravante sull’Amministrazione comunale l’onere di dimostrare in giudizio l’entità del prezzo della retrocessione o di eccepirne la rilevabilità d’ufficio, in tal modo omettendo di attivare il procedimento di stima per la determinazione del prezzo, in violazione di quanto previsto dalla Legge n. 2356/1865.
I due motivi del ricorso principale di Roma Capitale, da esaminare congiuntamente, perché entrambi attinenti alla motivazione addotta dalla Corte d’Appello di Roma, nella sentenza impugnata, per confermare la statuizione del Tribunale di Roma, che ha disposto la retrocessione dei terreni e fabbricati a suo tempo espropriati a favore di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME al prezzo rappresentato dalle indennità di esproprio a suo tempo depositate dal Comune di Roma presso la Cassa Depositi e Prestiti, perché mai ritirate dai COGNOME, e svincolate a favore dell’ente pubblico, sono fondati e meritano accoglimento.
L’impugnata sentenza ha dichiarato inammissibile il secondo motivo dell’appello di Roma Capitale, riguardante il mancato riconoscimento del prezzo di ritrasferimento previsto dall’articolo 63, che rinvia all’articolo 60, che a sua volta richiama la procedura della perizia di stima degli articoli 32 e 33 della L.25.6.1865 n.2356, applicabili ratione temporis alla retrocessione invocata dai Coppi, e la richiesta di espletamento di CTU per la determinazione del prezzo di retrocessione per tenere conto del valore di mercato sopravvenuto dei beni, prezzo non identificabile con le indennità di
esproprio a suo tempo depositate dall’Amministrazione, che semplicemente aveva adempiuto con tali depositi, assai risalenti nel tempo, l’obbligazione a suo carico a seguito delle disposte espropriazioni dei beni, con le quali aveva acquistato la proprietà dei beni poi non utilizzati per il fine pubblico, e non poteva subire alcun effetto negativo per il mancato ritiro di quelle somme da parte dei Coppi.
Per pervenire a tale pronuncia in rito, l’impugnata sentenza ha sostenuto, che la decisione del Tribunale di Roma (sentenza n. 26246/2001) di escludere il pagamento del prezzo dei beni da retrocedere ai Coppi secondo i parametri di legge, ritenendo sufficiente disporre lo svincolo a favore dell’ente pubblico delle somme a suo tempo depositate dal Comune di Roma presso la Cassa Depositi e Prestiti, fosse basata su una doppia motivazione: 1) da un lato la considerazione che non essendo mai state riscosse dai proprietari espropriati le indennità di esproprio depositate dal Comune di Roma, doveva considerarsi sufficiente disporre lo svincolo di quelle indennità a favore del Comune, senza il pagamento di ulteriori prezzi di retrocessione; 2) dall’altro la considerazione che il Comune non aveva mai richiesto, nel corso del giudizio di primo grado, la corresponsione di un ulteriore importo, rispetto alle indennità di esproprio a suo tempo depositate, quale prezzo di retrocessione, per l’ipotesi di accoglimento della domanda dei Coppi di retrocessione dei terreni loro espropriati e poi non utilizzati per il fine pubblico.
Orbene, la Corte d’Appello, considerando il secondo motivo di appello inerente solo alla prima e non alla seconda motivazione addotta dal Tribunale, in quanto il Comune nulla avrebbe argomentato sulla proposizione da parte sua di una domanda, o di un’eccezione volte ad ottenere un prezzo di retrocessione superiore alle indennità di esproprio a suo tempo depositate e non ritirate dai Coppi, o sulla rilevabilità d’ufficio dell’insufficienza di esse a coprire
il prezzo di retrocessione, ha ritenuto il mezzo d’impugnazione inidoneo a scalfire la statuizione sul punto del giudice di primo grado, comunque sorretta in forza della seconda motivazione addotta.
Ritiene la Corte, che la motivazione fornita dall’impugnata sentenza sia meramente apparente, ed inidonea a spiegare le effettive ragioni della decisione assunta, in patente violazione degli articoli 63 e 60 della L.25.6.1865 n.2356.
La sentenza impugnata, anzitutto non si é avveduta che le argomentazioni utilizzate dal Tribunale di Roma non erano tra loro autonome, ma interconnesse e irrimediabilmente ed irresolubilmente contrastanti. La prima, infatti, avendo riconosciuto al Comune di Roma, senza una specifica domanda, o eccezione delle parti, il diritto allo svincolo delle somme molti anni prima depositate presso la Cassa Depositi e Prestiti a titolo di indennità di esproprio e mai ritirate dagli espropriati, le ha sia pure implicitamente considerate come prezzo delle disposte retrocessioni in favore dei Coppi, ritenendo quindi che nella domanda subordinata da essi avanzata di retrocessione fosse ricompresa anche l’offerta del prezzo di retrocessione (vedi in tal senso Cass. ord. 23.10.2019 n. 27078, secondo la quale la determinazione del prezzo costituisce un necessario adempimento giudiziale in vista della pronuncia domandata al giudice, tenuto ex lege ad indicare il corrispettivo di retrocessione). La seconda argomentazione, invece, ha ritenuto, in senso opposto, che per il riconoscimento del prezzo di retrocessione, nel superiore importo previsto dagli articoli 63 e 60 della L. n. 2359/1865, a favore del Comune di Roma, fosse necessaria una specifica domanda, o eccezione, e non fosse quindi sufficiente il fatto che quelle disposizioni ponessero il prezzo stabilito secondo quei criteri come corrispettivo indispensabile della retrocessione invocata dai Coppi, dagli stessi implicitamente offerto
con la proposizione della domanda di retrocessione, che senza di esso non avrebbe potuto trovare accoglimento.
Ulteriormente l’impugnata sentenza, ha apoditticamente sostenuto, che Roma Capitale, col secondo motivo d’impugnazione non avesse neppure sostenuto la rilevabilità d’ufficio dell’insufficienza delle indennità di esproprio, molti anni prima depositate dal Comune di Roma, e non ritirate dagli espropriati, a coprire il prezzo della retrocessione ex artt. 63 e 60 della L. n. 2359/1965, ma non é dato comprendere su che base la Corte d’Appello abbia fondato tale assunto. Col secondo motivo d’impugnazione, infatti, Roma Capitale aveva lamentato il mancato riconoscimento del prezzo di ritrasferimento previsto dall’articolo 63, che rinvia all’articolo 60, che a sua volta richiama la procedura della perizia di stima degli articoli 32 e 33, tutti della L. 25.6.1865 n. 2356, applicabili ratione temporis alla retrocessione invocata dai Coppi, norme che impongono al giudice anche d’ufficio, una volta accertata la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e la mancata realizzazione dell’opera pubblica, e prima di disporre la retrocessione dei beni, di accertare il prezzo della stessa secondo i parametri fissati dalla legge. Roma Capitale, inoltre, nella comparsa di riassunzione nel giudizio di rinvio, che doveva riesaminare l’appello principale dell’ente pubblico relativo alla retrocessione, che era stato erroneamente ritenuto assorbito, in ragione dell’accoglimento dell’appello incidentale condizionato di usucapione dei COGNOME, nella prima sentenza della Corte d’Appello di Roma, poi cassata, aveva anche avanzato specifica richiesta di espletamento di CTU per la determinazione del prezzo di retrocessione per tenere conto del valore di mercato sopravvenuto dei beni. In questo modo Roma Capitale aveva inequivocamente invocato l’esercizio dei poteri istruttori che erano imposti alla Corte d’Appello dalla formulazione stessa della normativa in tema di retrocessione, ma anche su tale richiesta istruttoria, che é stata
immotivatamente disattesa, Roma Capitale non ha ottenuto alcuna plausibile spiegazione, che non sia quella meramente apparente dell’inammissibilità del motivo di impugnazione.
In realtà la retrocessione dei beni espropriati attua, nel concorso delle condizioni previste dalla legge, un nuovo trasferimento di proprietà, con efficacia ” ex nunc “, del bene espropriato e non utilizzato dall’espropriante, in conseguenza dell’esercizio del diritto potestativo dell’espropriato di ottenere il ritrasferimento mediante una sentenza costitutiva che modifichi la situazione giuridica posta in essere dal provvedimento espropriativo; ne consegue che il prezzo di retrocessione va determinato con riferimento al momento della pronuncia di retrocessione, costituendo essa il titolo di trasferimento del bene espropriato (Cass. sez. un. 8.6.1998 n. 5619).
La giurisprudenza consolidata di questa Corte ha poi ripetutamente affermato, che il prezzo della retrocessione, che é disposta con sentenza costitutiva sulla base dell’esercizio del diritto potestativo dell’espropriato, a fronte del quale l’espropriante si trova in posizione di mera soggezione e non di obbligazione (Cass. 4.4.2023 n.9304), va determinato ex novo, seppure in base agli stessi criteri legali utilizzati a suo tempo per stabilire l’ammontare dell’indennità di esproprio, con riferimento al momento della retrocessione (Cass. 24.5.2004 n.9899; Cass. 3.9.1994 n. 7628; Cass. 6.3.1992 n.2715; Cass. sez. un. 15.1.1987 n. 245), ed é di tutta evidenza che con la mera attribuzione al Comune delle indennità di esproprio depositate presso la Cassa Depositi e Prestiti a seguito dei decreti di espropriazione del 1939 e del 1976, e mai ritirate dagli espropriati, i suddetti criteri, desumibili dal combinato disposto degli articoli 63, 60, 32 e 33 della L. n. 2359/1865, e dalla richiamata giurisprudenza di questa Corte, risultano violati.
3) Con un unico motivo di ricorso, l’Associazione di volontariato ‘RAGIONE_SOCIALE lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 4)
c.p.c., la falsa applicazione dell’art. 334 c.p.c. La Corte di Appello avrebbe erroneamente dichiarato l’inammissibilità del gravame di ‘RAGIONE_SOCIALE‘ ritenendo che l’Associazione, in quanto interveniente adesivo dipendente, non avesse autonomo interesse a proporre appello. Secondo la ricorrente, poiché il suo interesse ad impugnare la pronuncia di prime cure discendeva direttamente dalla sentenza, sia pure allo scopo di far valere adesivamente le ragioni di Roma Capitale contro la pronuncia di retrocessione, incidente di riflesso sull’assegnazione di alcuni terreni in suo favore, non poteva trovare applicazione la disciplina di cui all’art. 334 c.p.c. sull’impugnazione incidentale tardiva, dovendosi piuttosto applicare gli ordinari termini di impugnazione, ex artt. 325 e 327 c.p.c.
Il ricorso proposto dall’Associazione di RAGIONE_SOCIALE, da qualificare come incidentale adesivo a quello di Roma Capitale, ricorrente principale, relativo alla retrocessione a favore dei Coppi dei terreni espropriati e non utilizzati, che il Comune medesimo aveva assegnato alla suddetta Associazione, deve ritenersi fondato, sulla base delle argomentazioni spese nel corpo del motivo, nonostante l’improprio riferimento nella rubrica alla falsa applicazione dell’art. 334 c.p.c., relativo alle impugnazioni incidentali tardive, ed al vizio dell’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c..
L’eccezione d’inammissibilità sollevata nel controricorso dei COGNOME é priva di pregio, perchè l’indicazione delle norme che si assumono violate non si pone come requisito autonomo e imprescindibile ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, ma come elemento richiesto per chiarire il contenuto delle censure formulate e identificare i limiti dell’impugnazione. Ne deriva che la mancata o anche l’erronea indicazione delle disposizioni di legge che si assumono violate non comporta l’inammissibilità del gravame ove gli argomenti addotti dal ricorrente, valutati nel loro complesso,
consentano di individuare quelle norme o quei principi di diritto che si assumono infranti e rendano così possibile la delimitazione del quid disputandum (Cass. 20.12.2016 n. 26329; Cass. n.4233/2012; Cass. n.12929/2007).
Orbene, l’RAGIONE_SOCIALE si lamenta del fatto che l’appello principale da essa riproposto nel giudizio di riassunzione davanti alla Corte d’Appello di Roma, dopo che l’ordinanza di questa Corte n. 5134 del 21.2.2019 aveva cassato con rinvio alla suddetta Corte d’Appello, in diversa composizione, la prima sentenza emessa dalla medesima, che aveva erroneamente ritenuto assorbito il suddetto appello principale e quello incidentale di Roma Capitale a seguito dell’accoglimento dell’appello incidentale condizionato dei COGNOME, vertente sulla loro domanda di usucapione dei terreni, sia stato dichiarato inammissibile dall’impugnata sentenza, perché proposto da un soggetto che nel giudizio di primo grado aveva spiegato intervento adesivo dipendente, in quanto tale sprovvisto di autonoma legittimazione all’impugnazione salvo che per le spese processuali, omettendo di considerare che anche la parte adiuvata, Roma Capitale, aveva proposto appello nel giudizio di rinvio al fine di ottenere la riforma della statuizione di primo grado relativa alla retrocessione, incidente di riflesso anche sull’assegnazione dallo stesso disposta a favore dell’Associazione in questione, sicché l’appello di quest’ultima, alla quale in quanto interveniente adesiva dipendente nel giudizio di primo grado, non era applicabile l’art. 334 c.p.c. sull’impugnazione incidentale tardiva, anche se l’appello di Roma Capitale era stato proposto successivamente, doveva essere considerato comunque come appello incidentale adesivo a quello della parte adiuvata, come peraltro già stabilito dall’ordinanza della Corte di Cassazione n.5134/2019, che aveva cassato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Roma n.4689/2013 (nello stesso senso anche Cass. n. 23235/2013).
Nella sostanza l’Associazione RAGIONE_SOCIALE, al di là dell’impropria indicazione della rubrica, ha lamentato la violazione dell’art. 384 comma 1° c.p.c. in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., in quanto il giudice di rinvio ha disatteso il principio di diritto che era stato enunciato dall’ordinanza n. 5134/2019 di questa Corte, che nel cassare con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 4689/2013, proprio in relazione al ricorso proposto da quella Associazione in via principale nel medesimo giudizio, ossia che ” il ricorso per cassazione proposto in via autonoma e principale dall’interveniente adesivo dipendente va esaminato come ricorso incidentale adesivo rispetto a quello della parte adiuvata, da intendersi quale ricorso principale, posto che il predetto interveniente – cui è preclusa l’impugnazione in via autonoma della sentenza sfavorevole alla parte adiuvata, salvo che per la statuizione di condanna alle spese giudiziali pronunziata nei suoi confronti – conserva in tal modo la sua posizione processuale secondaria e subordinata, potendo aderire all’impugnazione della parte adiuvata “.
Riqualificato in questi termini, il motivo d’impugnazione dell’RAGIONE_SOCIALE é fondato e merita accoglimento, in quanto per giurisprudenza consolidata di questa Corte ‘ a norma dell’art. 384 comma 1° c.p.c., l’enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, con conseguente preclusione della possibilità di rimettere in discussione questioni, di fatto o di diritto, che siano il presupposto di quella decisione’ , e perfino ‘ di tener conto di eventuali mutamenti giurisprudenziali della stessa Corte, anche a Sezioni Unite, non essendo consentito in sede di rinvio sindacare l’esattezza del principio affermato dal giudice di legittimità’ (vedi in tal senso Cass. sez. lav. 26.5.2021 n. 14691; Cass. n. 1995/2015; Cass. n.17353/2010; Cass. n. 23169/2006; Cass. n. 16518/2004; Cass. n.11290/1999). Avendo quindi questa Corte già stabilito con
l’ordinanza n. 5134/2019, nel respingere l’eccezione d’inammissibilità sollevata dai Coppi, che il ricorso autonomamente e tempestivamente proposto dall’Associazione RAGIONE_SOCIALE che aveva spiegato in primo grado intervento adesivo dipendente, proponendo poi in secondo grado appello principale, doveva essere esaminato come impugnazione incidentale adesiva all’impugnazione tardivamente proposta in via incidentale da Roma Capitale, parte adiuvata, non poteva l’impugnata sentenza dichiarare inammissibile l’appello principale riproposto in sede di rinvio dall’RAGIONE_SOCIALE, considerandolo separatamente rispetto al riproposto appello incidentale tardivo della parte adiuvata, Roma Capitale, anziché come appello incidentale adesivo a quello, posto che l’RAGIONE_SOCIALE in quanto aveva spiegato intervento adesivo dipendente, poteva solo proporre appello principale adesivo nel termine d’impugnazione, e non avvalersi dell’art. 334 c.p.c., ossia dell’appello incidentale tardivo, che è utilizzabile solo per l’impugnazione incidentale in senso stretto, che è quella proveniente dalla parte contro la quale è stata proposta l’impugnazione principale, o che sia stata chiamata a integrare il contraddittorio a norma dell’art. 331 c.p.c. (vedi in tal senso Cass. 20.12.2016 n. 26329; Cass. sez. lav. n. 10243/2016; Cass. n. 21990/2015; Cass. n.1120/2014).
La sentenza impugnata va quindi cassata con rinvio, in relazione ai motivi accolti, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso principale di Roma Capitale ed il ricorso incidentale adesivo dell’Associazione di volontariato RAGIONE_SOCIALE Roma, cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in
diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 6.3.2025